«Ho smesso di essere un numero»: i dieci anni della rivoluzione di chi i rifugiati li ha accolti a casa propria
Ibrahim è un ragazzo della Sierra Leone arrivato in Italia poco più che diciottenne. Aveva studiato e aveva l’ambizione di iscriversi all’università, ma se fosse rimasto all’interno del circuito di accoglienza tradizionale – quello fondato sui Cas e sui Sai – sarebbe stato probabilmente costretto a mettere da parte il suo sogno e accontentarsi del primo lavoro buono, perché avrebbe dovuto pensare a sopravvivere. Invece, è stato accolto in casa da una famiglia di Ostia, che ha preso a cuore il suo desiderio di studiare e lo ha aiutato: prima a prendere la terza media, poi il diploma in un prestigioso college vicino a Trieste, poi a salire su un volo intercontinentale per andare a studiare negli Stati Uniti, dove si è laureato e dove ora vive. Ma nonostante la distanza, il legame non si è spezzato: quando deve partire per le vacanze, torna in Italia, che ormai considera il suo Paese d’origine, e va a Ostia, dalla «sua» famiglia. Quella di Ibrahim è una delle mille e passa storie che Sara Consolato, responsabile Comunicazione di Refugees Welcome Italia, potrebbe raccontare, raccolte nei 10 anni di vita dell’organizzazione, che si festeggiano oggi 11 dicembre. «Un giorno Ibra mi ha detto: “Grazie a questa opportunità ho smesso di essere un numero e mi sono riappropriato della mia identità e umanità“. È una frase che mi è rimasta impressa, anche perché me l’hanno ripetuta in tanti».
In 10 anni, Refugees Welcome ha accolto oltre mille persone grazie alla rete di famiglie che hanno deciso di mettere aprire le porte di casa propria. «Se me lo avessero detto allora, sarei stata incredula e sorpresa», commenta Consolato, che fa parte dell’organizzazione praticamente da sempre, da subito dopo la fondazione. A questi numeri vanno aggiunti quelli, dello stesso ordine di grandezza, raggiunti dai programmi di mentoring, cioè quelli che si preoccupano di costruire nuove relazioni mettendo in contatto persone con un percorso migratorio e persone del territorio, per favorire la creazione di relazioni di amicizia e sostegno reciproco. «Il core della nostra mission è sempre quello della cittadinanza attiva: la nostra idea è che l’inclusione si fa con e nella comunità, perché per arrivare davvero all’inclusione non basta occuparsi degli aspetti economici e abitativi, ma serve anche creare legami. In questo modo, tra l’altro, si rafforzano anche gli altri due aspetti dell’inclusione», sottolinea Consolato.
A trarre giovamento da questo scambio non sono solo i rifugiati. «Un mese fa ho incontrato Alice, una giovane donna di Roma che sta ospitando una rifugiata afghana, che mi ha detto una cosa che mi ha colpito: “Questa esperienza mi sta aiuta a essere la persona che voglio essere, perché mi insegna a scoprire altri lati di me”. È una cosa che riconoscono in tanti, sia di coloro che accolgono le persone in casa propria, sia di chi fa da mentore». Per rendersi conto di questo arricchimento, basta guardare il video celebrativo dei 10 anni di Refugees Welcome Italia: «Ti aiutano a vedere la vita in maniera diversa, con occhi diversi con occhi nuovi», dice una ragazza. «Questa esperienza ha dato forse più a me di quanto possa aver dato a Mohamed», dice un altro.
Dalla sua fondazione, l’organizzazione è cresciuta in numeri e struttura, arrivando a collaborare con Unicef e con l’Unhcr (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e con diverse istituzioni italiane, prime fra tutti i comuni. «Per esempio, abbiamo costituito diversi albi delle famiglie accoglienti, come a Padova, Roma e Ravenna, così da facilitare il sistema di accoglienza e le procedure. In generale, possiamo dire che abbiamo sempre cercato di sistematizzare le nostre metodologie di lavoro, per renderle replicabili e scalabili», spiega Consolato. Da ormai qualche tempo, però, Refugees Welcome registra un calo nella disponibilità delle famiglie ad accogliere i rifugiati in casa propria, che per Consolato è in parte dovuto a un discorso di carattere economico e in parte al generale clima di ostilità verso gli stranieri che si respira in Italia, in Europa e nel mondo. «Di contro, però, aumenta il numero di persone che vogliono impegnarsi in altre forme, per esempio il mentoring, per accompagnare le persone migranti a raggiungere la propria autonomia».
Festeggiati i 10 anni, è già tempo di guardare al futuro, che Consolato si immagina di lotta. «La stretta dell’Ue e la costruzione della “fortezza Europa” farà arrivare ancora meno persone. Andiamo verso uno scenario in cui si prospettano leggi che svuotano di senso il diritto di asilo, ma è proprio per questo che servirà ancora di più l’occhio vigile e l’azione di denuncia della società civile». Questo clima genera può generare due tipi di risposta: o la chiusura, oppure l’apertura a maggior ragione. «In un’Italia e un’Europa che si stanno sempre più chiudendo, accogliere, come famiglia, è un modo per dire che noi non siamo d’accordo», dice una signora nel video citato sopra. Aggiunge Consolato: «Suo figlio ha sottolineato un altro punto, cioè che queste pratiche ti aiutano a umanizzare l’altro, a ridare un’identità a persone che magari di solito si considerano entità astratte: i “migranti”, i “rifugiati”, eccetera. Invece sono persone, che come noi amano il calcio o bevono il caffè». Può sembrare una riflessione banale, ma è da qui che passa tutto: «La disumanizzazione dei migranti crea un humus culturale che porta a politiche restrittive», rimarca Consolato.
Non a caso, in questi anni Refugees Welcome ha fatto una grande opera di advocacy sui diritti delle persone migranti e dei rifugiati, sia presso le istituzioni italiane che presso quelle europee. «In questo momento ci stiamo battendo molto contro i cpr, del resto la lotta contro la detenzione amministrativa è sempre stato un pilastro della nostra mission. In generale, andrebbe smantellata l’intera logica italiana del sistema di accoglienza e integrazione, perché affronta il problema da un punto di vista emergenziale, quando invece il fenomeno è strutturale. Questo determina la creazione di quel mostro che è il sistema di prima accoglienza, quello dei Cas, che sono posti spesso fuori dai centri abitati e che non offrono veri servizi di integrazione. Al contrario, bisognerebbe rafforzare il sistema Sai, proprio perché è calato nel territorio e radicato nella comunità», afferma Consolato.
In apertura: una famiglia della rete di accoglienza di Refugees Welcome Italia (via Refugees Welcome Italia)
L'articolo «Ho smesso di essere un numero»: i dieci anni della rivoluzione di chi i rifugiati li ha accolti a casa propria proviene da Vita.it.
Qual è la tua reazione?
Mi piace
0
Antipatico
0
Lo amo
0
Comico
0
Furioso
0
Triste
0
Wow
0




