Il solvente delle lavanderie potrebbe danneggiare il fegato: scoperto un rischio triplo di fibrosi epatica

Novembre 17, 2025 - 07:30
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Il solvente delle lavanderie potrebbe danneggiare il fegato: scoperto un rischio triplo di fibrosi epatica

Un solvente molto usato nella pulizia a secco finisce sotto la lente degli scienziati. Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Liver International, l’esposizione al tetracloroetilene (PCE), una sostanza impiegata in numerosi processi industriali e prodotti per la casa, può triplicare il rischio di sviluppare fibrosi epatica, una condizione che danneggia progressivamente il fegato e può evolvere in cirrosi o carcinoma epatico.

Gli scienziati hanno infatti individuato un legame diretto tra l’esposizione al tetracloroetilene (PCE) e un rischio triplo di sviluppare fibrosi epatica rispetto a chi non è esposto.

Fegato, il problema con le fibrosi

Il fegato è uno degli organi più complessi e vitali del corpo umano: filtra tossine, metabolizza nutrienti e produce sostanze fondamentali per la digestione. Quando però subisce un danno ripetuto — a causa di infezioni, farmaci, alcol, cattiva alimentazione o sostanze chimiche — può andare incontro a fibrosi, ovvero una progressiva cicatrizzazione del tessuto epatico.

Nel tempo, questa condizione può degenerare in cirrosi o addirittura in carcinoma epatocellulare, compromettendo la funzionalità dell’organo in modo irreversibile.

Tra le cause più comuni c’è oggi la malattia epatica da disfunzione metabolica (MASLD), precedentemente nota come “fegato grasso non alcolico”. È una patologia in crescita, legata a stili di vita sedentari, obesità e dieta squilibrata, ma gli studiosi sospettano da tempo che anche fattori ambientali possano giocare un ruolo importante.

Lo studio: il PCE triplica il rischio di danni al fegato

Il nuovo studio, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università della California e guidato dal professor Brian P. Lee, ha analizzato i dati di circa 1.600 adulti provenienti dal National Health and Nutrition Examination Survey(NHANES), uno dei più ampi database epidemiologici degli Stati Uniti.

Gli scienziati hanno misurato la concentrazione di tetracloroetilene (PCE) nel sangue dei partecipanti e ne hanno valutato la correlazione con la presenza di fibrosi epatica. I risultati parlano chiaro: chi aveva tracce di PCE nel sangue presentava una probabilità tripla di sviluppare fibrosi significativa rispetto a chi non ne era esposto.

Anche piccole quantità sembrano rilevanti. Gli studiosi hanno osservato che per ogni incremento di un nanogrammo per millilitro di PCE nel sangue, il rischio di fibrosi aumentava di cinque volte. Una relazione “dose-dipendente” che rafforza l’ipotesi di un legame causale diretto.

Cos’è il PCE e dove si trova

Il tetracloroetilene, conosciuto anche come percloroetilene, è un solvente clorurato molto diffuso. È impiegato principalmente nell’industria del lavaggio a secco, ma anche in altri contesti industriali e domestici:
viene usato in adesivi, sgrassatori per metalli, smacchiatori, lubrificanti al silicone e vernici.

Nonostante sia presente in basse concentrazioni, l’esposizione prolungata — anche solo tramite l’aria o il contatto con tessuti trattati — può essere sufficiente a determinare un accumulo nel corpo.
Una volta assorbito, il PCE viene metabolizzato dal fegato, dove si trasforma in composti altamente reattivi che danneggiano le cellule epatiche e innescano processi infiammatori e cicatriziali.

Come agisce il PCE sul fegato

Il professor Lee spiega che i metaboliti del PCE reagiscono con i lipidi presenti nella membrana delle cellule epatiche, alterandone la struttura. Questo processo causa infiammazione cronica e progressiva fibrosi.
“Il grado di fibrosi — ha commentato Lee — è il principale indicatore di mortalità correlata al fegato. Più il tessuto epatico è danneggiato, maggiore è il rischio di evoluzione verso cirrosi o insufficienza epatica”.

Già in passato, esperimenti sugli animali avevano mostrato che il PCE poteva danneggiare il fegato e i reni. Tuttavia, questo studio è uno dei primi a dimostrare in modo così chiaro gli effetti tossici sull’uomo e a quantificarne l’impatto.

Un problema ambientale e sanitario globale

Secondo le stime, le malattie epatiche sono responsabili del 4% di tutti i decessi nel mondo, e la loro incidenza è in costante aumento. Oltre ai fattori metabolici e genetici, cresce la preoccupazione per il ruolo dei contaminanti ambientali: metalli pesanti, pesticidi, microplastiche e composti organici volatili come il PCE.

Il dottor Lee F. Peng, epatologo e professore presso la Hackensack School of Medicine nel New Jersey, ha sottolineato che i cosiddetti idrocarburi alogenati — di cui il PCE fa parte — sono noti da tempo per la loro tossicità epatica.
“Il carbonio tetracloruro è uno dei più potenti epatotossici conosciuti. Questi composti possono causare un’infiammazione del fegato che, se prolungata, evolve in fibrosi e cirrosi”, ha spiegato Peng.

Nel suo lavoro come specialista in trapianti di fegato, il medico afferma di aver visto casi in cui l’esposizione cronica a sostanze chimiche industriali ha reso necessario un trapianto di fegato.

Non solo fegato: altri effetti del PCE sull’organismo

lavanderia pubblica
Non solo fegato: altri effetti del PCE sull’organismo (blitzquotidiano.it)

Il tetracloroetilene non colpisce solo il fegato. Studi precedenti lo hanno associato anche a nefropatie, disturbi neurologici e tumori come il carcinoma della vescica e il linfoma non Hodgkin. Si tratta di un composto che tende a bioaccumularsi e che può persistere a lungo nell’ambiente, contaminando aria, acqua e terreni.

Proprio per questi motivi, molti Paesi stanno valutando di ridurne l’utilizzo industriale o sostituirlo con alternative più sicure. Tuttavia, in molte lavanderie tradizionali il PCE resta tuttora il solvente principale, e l’esposizione può riguardare non solo gli operatori ma anche i clienti.

Cosa possiamo fare nella vita quotidiana

Sebbene non sia possibile eliminare completamente il rischio, alcune buone pratiche possono ridurre l’esposizione:

  • Preferire lavanderie che dichiarano di usare tecnologie “wet cleaning” o solventi ecologici.
  • Arieggiare bene gli ambienti quando si utilizzano prodotti per la pulizia o vernici.
  • Evitare di lasciare in casa abiti appena ritirati dalla lavanderia, specialmente in stanze chiuse o camere da letto.

Anche un fegato sano e protetto è una barriera importante contro i danni ambientali. Mantenere il peso forma, ridurre l’alcol, seguire una dieta ricca di antiossidanti e fibre (come quella mediterranea) aiuta a migliorare la funzione epatica e la capacità dell’organismo di smaltire tossine.

Più prevenzione e politiche ambientali

Il passo successivo, secondo gli autori dello studio, sarà trasformare questi risultati in azioni concrete.
Da un lato, servono strategie di screening per individuare precocemente le persone a rischio di fibrosi; dall’altro, è necessaria una maggiore regolamentazione sull’uso del PCE e di altre sostanze chimiche pericolose.

“Queste scoperte – ha dichiarato il professor Lee – mostrano che il PCE non è solo una correlazione, ma un possibile fattore causale. È fondamentale che medici e autorità sanitarie considerino le esposizioni ambientali tra i fattori di rischio per le malattie del fegato.”

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