Immigrato psichiatrico gravissimo, deportato dal Cpr in Albania come un rifiuto
I nostri sospetti hanno trovato riscontro, ed è terribile. Ricorderete forse la storia della persona con problemi psichiatrici trattenuta nel Cpr di Milano da oltre 9 mesi, della quale avevamo parlato qui (e anche a Radio Popolare). Non abbiamo neanche fatto in tempo a parlarne che, dopo poche ore, i detenuti ci hanno contattato per dirci che alle 5 del mattino questa persona era stata prelevata con la forza e trasferita. I detenuti ci hanno riferito anche che agenti e personale avevano trionfalisticamente raccontato che quella persona stava per essere trasferita in Albania: un deterrente in più, che fa sempre effetto tra persone già terrorizzate. Abbiamo sperato per qualche giorno che fosse una provocazione buttata lì ad arte, e che il ragazzo aveva avuto una sorte diversa.
Abbiamo iniziato a cercarlo. Considerato che di rilascio non si poteva trattare (avvengono senza forza e non di notte), abbiamo avviato le nostre indagini, scrivendo due volte a Prefettura di Milano, AtsS Lombardia, gestore del Cpr (Ekene), Garante Nazionale e Garante Locale: niente. Solo per vie traverse, abbiamo recuperato il nome del ragazzo e lo abbiamo rintracciato: lo hanno deportato in Albania, dove è attualmente detenuto. A tanta violenza gratuita su una persona fragile, forse noi non avevamo mai assistito. Un atto di gravità inaudita: una persona che già per il suo stato non avrebbe potuto neppure entrare in Cpr (verificheremo anche quale medico ha attestato la sua idoneità!), non solo ci è rimasta 9 mesi in stato di totale abbandono (ricordiamo che i detenuti ci hanno detto che non lo hanno visto mai fare una doccia, con tutte le conseguenze del caso). Ma, appena sono stati accesi i riflettori, come sempre accade sul Cpr di Milano (il Cpr “vetrina” d’Italia), è stato prontamente trasferito, in modo che nessuno potesse più fotografarlo e riprenderlo, e soprattutto che nessuna ispezione potesse sorprenderlo all’interno e magari mettere le mani sulla catastrofica sua cartella clinica.
E non è tutto: perché la destinazione non è stata un altro Cpr di Italia, come già accaduto (Ekene su Ekene, sono frequenti i trasferimenti degli “scomodi” da Milano o Gradisca a Roma, dove il gestore è lo stesso ma lì non hanno gli smartphone). E’ stato deportato in Albania, dove non solo è nei fatti è vietato l’utilizzo di telefoni personali e non ci sono telefoni fissi ma solo un cellulare del gestore da utilizzare sotto sorveglianza; ma soprattutto non vi è neppure la speranza di un accesso al Servizio sanitario nazionale italiano. Buttato, lì, come un rifiuto, come il più inutile dei rifiuti, a cercare di fare numero in un centro che è solo propaganda sulla pelle delle persone. La storia di A. non si ferma qui: faremo quel che c’è da fare per mettere in luce questa schifezza e imporre, allo Stato che l’ha preso in carico per torturarlo, di prendersene cura.
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