In Duomo la chiamata a una santità che resiste al male

Novembre 2, 2025 - 18:00
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In Duomo la chiamata a una santità che resiste al male
Foto Andrea Cherchi

Nel giorno in cui tutto parla di santità, nel luogo che è stato definito dall’Arcivescovo «il più adatto per celebrare la Festa dei santi» – il Duomo -, è appunto il vescovo Mario a delineare il senso della celebrazione di Ognissanti, da lui presieduta, da vivere come «coloro che si riconoscono per una volontà tenace e una irrevocabile determinazione a costruire la pace, a operare per la giustizia» (leggi qui l’omelia).  

Tra le navate della Cattedrale, popolata al suo interno e all’esterno di migliaia di statue di sante e santi, il Pontificale aperto dai tradizionali 12 Kyrie ambrosiani, si fa, infatti, occasione per riconoscere la chiamata comune alla santità, di cui sono «un simbolo eloquente i capitelli delle 52 colonne del nostro Duomo», come nota in apertura, l’arciprete, monsignor Gianantonio Borgonovo. Concelebrata dai canonici del Duomo, la Messa diviene così  un canto di gioia e di ringraziamento «per coloro che sono segnati dal sigillo del Dio vivente», usando l’espressione della pagina dell’Apocalisse appena proclamata nella liturgia della Parola.

Segnati dal sigillo del Dio vivente

Quei segnati dal sigillo che, dice subito monsignor Delpini, «sono dappertutto, in cielo e in terra, in oriente e in occidente; che sono presenti in ogni situazione e in ogni epoca della storia, in ogni latitudine e in ogni classe sociale, che parlano tutte le lingue e sono eredi di tutte le tradizioni; che non si distinguono per nessun segno esteriore, che non sono perfetti, non sono impeccabili, non sono i più intelligenti e del resto e in ogni caso, non si vantano della loro intelligenza, non sono i più stupidi e del resto non ignorano i propri limiti, ma non fanno dei talenti un motivo di orgoglio né dei loro limiti un motivo di scoraggiamento e depressione».

Foto Andrea Cherchi

Insomma, coloro che si riconoscono «perché portano i segni della grande tribolazione», come si legge ancora nell’Apocalisse, perché «alcuni hanno molto sofferto, ma non hanno fatto soffrire; alcuni sono stati offesi e umiliati, ma non hanno ricambiato il male con il male; hanno sperimentato la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada, ma nulla ha cancellato il sigillo, niente li ha separati dal Dio vivente, per grazia e per umile docilità».

Gente, questa, che lavora per la pace e si riconosce «per una invincibile speranza, perché crede nella promessa di Dio e non trova niente che la possa smentire», nemmeno in mezzo alla «cattiveria degli uomini», laddove il segno del sigillo è la santità.

I santi: gente che sta in piedi di fronte al potere

«Nella scena grandiosa e drammatica del libro dell’Apocalisse – prosegue l’Arcivescovo – , si dice che i martiri, paradigma della santità e che hanno testimoniato la loro fedeltà al Signore per tutta la loro vita, stavano in piedi. Ecco stanno in piedi, non  sono seduti in una comoda pigrizia, sdraiati in una scoraggiata rassegnazione o in  una ottusa indifferenza. Non sono prostrati nell’adorazione degli idoli, nell’ossequio servile ai potenti e ai dominatori di questo mondo. Stanno in piedi, consapevoli della loro dignità, indisponibili a ogni servilismo, insofferenti di ogni ossequio ai pensieri imposti dal conformismo».

Foto Andrea Cherchi

L’immagine dell’Apocalisse, conclude il vescovo Mario, «la rivelazione della verità della storia e dell’umanità che si offre in questo libro non è uno spettacolo da contemplare, è invece, una chiamata, una provocazione perché il Signore si rivolge a ciascuno di noi e interpella la nostra libertà. Perciò siamo posti di fronte alla domanda: “Anche tu vuoi essere segnato? Anche tu vuoi essere salvato? Anche tu vuoi unirti al cantico che rallegra i cieli e la terra? Anche tu vuoi portare il segno dell’amore crocifisso?”».

A conclusione, arriva dall’Arcivescovo ancora un pensiero rivolto ai fedeli riuniti in Duomo. «Ciascuno di noi porti la gioia di appartenere al Signore in tutte le situazioni della vita. Questa assemblea viene dalle genti, parla tante lingue diverse – monsignor Borgonovo, nel suo saluto inziale, aveva ricordato che la Bibbia oggi è letta in 2512 idiomi differenti -, ma il mondo aspetta una parola che tutti possano comprendere: la gioia, l’amore, il servizio umile gli uni per gli altri»

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia