In Usa la moda va in sconto. Ma l’effetto dei dazi di Trump sconvolgerà i prezzi
L’Ufficio di statistica del lavoro degli Stati Uniti ha riportato ieri dati che evidenziano che i prezzi dell’abbigliamento sono diminuiti dello 0,4% tra aprile e maggio, e dello 0,9% rispetto all’anno precedente. L’inflazione complessiva in Usa è stata stimata al 2,4%, in linea con le aspettative. A un mese dall’entrata i vigore delle nuove tariffe imposte dalla presidenza di Donald Trump, dunque, i prezzi nella moda sono ancora contenuti e semmai rivisti al ribasso grazie a scontistiche mirate.
Le motivazioni sono diverse: lo smaltimento delle scorte, ovvero tutto ciò che le aziende avevano accumulato prima dell’entrata in vigore delle tariffe, bloccando così l’aumento dei prezzi al consumo; la volontà di mantenere concorrenza nel mercato, per cui i rivenditori hanno preferito tenere i prezzi bassi per non perdere competitività. Ma anche, più semplicemente – e come evidenziato da studi econometrici – il fatto che l’aumento dei prezzi tende a manifestarsi dopo circa 2‑3 mesi dall’imposizione delle tariffe.
Gli analisti mettono perciò in guardia sul fatto che con l’esaurimento delle scorte e l’evoluzione delle politiche commerciali, nel breve futuro si assisterà a ripercussioni inflazionistiche nel settore moda ed a conseguenti aumenti dei prezzi. Ai quali qualcuno ha già pensato. Tra tutti Hermès, che ha annunciato da subito un aumento del 10 % sui prezzi statunitensi con effetti già dal 1° maggio, portando ad esempio il costo di una Birkin da 20 mila dollari di circa 22mila dollari. Poi ancora Cartier (Richemont), che ha già effettuato aumenti nel corso del trimestre, e registrando comunque vendite in crescita del 10 % nonostante l’impatto dei dazi; prezzi maggiorati di qualche punto percentuale anche per i marchi del lusso europei come Gucci, Chanel e Saint Laurent, e persino il gruppo italiano Otb che prevede un incremento di listino valutato in Usa di un +8-9 per cento. Ovviamente hanno i marchi del fast fashion hanno studiato da subito imponenti rincari, per sopperire alle tassazioni da fronteggiar, partendo da un prezzo di vendita base notoriamente piccolissimo.
La tendenza generale è che i brand europei (e non solo) con alta dipendenza dai dazi statunitensi stanno passando parte o tutti i costi ai consumatori, con aumenti stimati tra il 7% e il 10 per cento.
Secondo l’analisi di Bof i dazi sono arrivati in un momento in cui i marchi stavano già lavorando intensamente per convincere gli acquirenti americani riluttanti a continuare a spendere per marchi che hanno subìto aumenti di prezzo dopo la pandemia per anni. Applicare sconti anche a fronte dei dazi è ancora il modo migliore per riconquistare clienti. Sonia Lapinsky, partner della società di consulenza per il retail Alix Partners ha infatti spiegato alla testata statunitense: “I rivenditori non vogliono spaventare i consumatori o il mercato e insinuare che stanno aumentando i prezzi. Si stanno astenendo il più possibile, non parlano il più possibile.”
Altri invece, come Urban Outfitters, Gap e Abercrombie & Fitch, hanno dichiarato che piuttosto che diminuire le cifre sui cartellini, aspetteranno un buon momento per un aumento dei prezzi, pur coscienti di andare incontro ad una riduzione dei margini. Ma pianificare il resto dell’anno è in ogni caso un rischio: aumentare troppo i prezzi può ridurre la domanda, pianificare una domanda inferiore può portare a scaffali vuoti. Questo dilemma probabilmente si presenterà ai commercianti durante la stagione dello shopping per il ritorno a scuola.
“In generale, i rivenditori stanno sottovalutando l’impatto che dazi e inflazione avranno sulle loro vendite e sull’ebitda. Consigliamo ai clienti di ridurre i piani di fatturato e margine per i prossimi due anni, di ridurli e, ancora una volta, di sfruttare questa opportunità per ridurre i costi internamente”, ha affermato Michael Prendergast, amministratore delegato di Alvarez&Marsal Consumer&Retail Group.
Tuttavia ieri è stato firmato un accordo quadro che conferma un periodo di tregua di 90 giorni, durante il quale gli Stati Uniti hanno ridotto i dazi sulle importazioni cinesi dal 145% al 30 per cento. La Cina mantiene al 10% le tariffe su import statunitensi. Questo periodo non elimina le tariffe, ma offre fiato alle imprese per riorganizzare le catene di fornitura. Il settore moda guarda con cautela: la tregua è utile, ma non elimina la pressione tariffaria di fondo.
Di fatto nel settore moda in base ‘al livello’, si profila una situazione a se stante. Il settore del fast fashion è tra i più colpiti: le spedizioni individuali sotto gli 800 dollari, che prima erano esentate da dazi e iva, ora vengono tassate e questo significa che ogni pacco inviato direttamente al consumatore americano subisce un aumento del costo dal 30% fino al 90%. I prezzi per i consumatori finali sono destinati ad aumentare ancora, e ciò potrebbe ridurre l’attrattiva delle offerte ultra-low-cost. Per far fronte a queste difficoltà, molte aziende starebbero cercando di spostare la produzione in paesi come India, Turchia o Messico, anche se il riassetto della supply chain non è un’operazione semplice.
I retailer multicanale, come Victoria’s Secret o Macy’s, stanno fronteggiando costi più alti dovuti alle tariffe, e questo ha portato a un taglio delle promozioni, degli sconti e dei regali ai clienti. Victoria’s Secret, ad esempio, ha stimato un impatto economico di circa 50 milioni di dollari nel 2025. Per proteggere i margini, queste aziende stanno cercando di contenere i costi, rinegoziare contratti con i fornitori e spostare la produzione fuori dalla Cina.
I brand del lusso hanno nel corso degli anni aumentato i prezzi senza perdere clientela, ma in un contesto così incerto, anche il segmento alto di gamma sta vivendo una situazione di vulnerabilità. Questa mattina infatti i titoli del lusso sono in calo: a Parigi Hermès cede l’1,4%, il 2,5% e Lvmh è in calo del 2,1%; giù anche Prada, Brunello Cucinelli e Moncler (-3%), dopo che il presidente americano, Donald Trump, ha di nuovo usato toni duri, asserendo che entro una o due settimane invierà lettere ai Paesi partner commerciali per comunicare nuove tariffe imposte unilateralmente, in vista della scadenza del 9 luglio per la reintroduzione di dazi più elevati su numerosi Stati.
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