Indicazioni su concessioni sottosoglia e divieto di affidamento diretto
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Concessioni sottosoglia e divieto di affidamento diretto: lettura sistematica, a cura del Dott. Luca Leccisotti, tra Codice 2023, pareri MIT e giurisprudenza 2024‑2025.
Premessa. La linea di frattura con il passato
La stagione inaugurata dal d.lgs. 36/2023 ha operato, nel campo delle concessioni, una netta separazione rispetto alla disciplina degli appalti. La frattura non è meramente terminologica: riguarda la tipologia del rapporto, il modo in cui si seleziona il contraente e, soprattutto, la non fungibilità delle scorciatoie tipiche del sottosoglia degli appalti quando ci si sposta nel perimetro concessorio. In questo quadro, un convincimento ancora diffuso nella prassi – la possibilità di ricorrere all’affidamento diretto anche per le concessioni, almeno sotto soglia – è stato smentito con chiarezza: prima dai pareri dell’Ufficio del supporto giuridico del MIT e poi dalla giurisprudenza amministrativa, fino ai più recenti arresti del 2025. Il messaggio è semplice: nelle concessioni, anche sottosoglia, l’affidamento diretto non è uno strumento disponibile.
La fisionomia della concessione: rischio operativo e conseguenze procedimentali
La concessione è un tipo contrattuale dotato di una propria fisionomia, mutuata dalla direttiva 2014/23/UE e ripresa nel Codice: ciò che la connota è la traslazione in capo al privato di un rischio operativo significativo legato all’uso dell’opera o alla domanda del servizio. Questa caratteristica non ha risvolti solo sul piano economico‑finanziario (necessità di un PEF realistico, meccanismi di riequilibrio, durata coerente con gli ammortamenti), ma informa anche il procedimento di scelta. Dove il rischio è del concessionario, il confronto concorrenziale non può ridursi a un’istanza bilaterale di convenienza: occorre verificare modelli gestionali alternativi, strutture tariffarie, livelli di servizio e riparti del rischio. È qui che l’affidamento diretto mostra tutta la sua incompatibilità sistemica.
Il perimetro codicistico: procedure “sue proprie” e assenza di rinvii agli appalti
Il Codice 2023 ha autonomizzato la disciplina delle concessioni all’interno del Libro dedicato, senza rinvii alla parte sugli appalti per la scelta del contraente. La conseguenza è chiara: non esiste, per le concessioni, un “affidamento diretto” modellato sulla logica dell’articolazione sottosoglia degli appalti. Anche quando l’importo è inferiore alle soglie europee, l’ente concedente deve muoversi entro i moduli procedimentali previsti per le concessioni, primo fra tutti la procedura negoziata senza bando, costruita però come reale competizione tra più operatori, con un’istruttoria di mercato coerente e una selezione trasparente dei soggetti da invitare.
Il diritto vivente: dalle indicazioni del MIT agli arresti del 2024‑2025
Le indicazioni ministeriali, rese note con pareri che hanno fatto scuola nella prassi, hanno posto un paletto: la derivazione della disciplina concessoria dal diritto europeo impedisce trapianti dall’ecologia dell’affidamento diretto degli appalti. La giurisprudenza amministrativa ha raccolto il testimone, consolidando due punti: primo, l’affidamento diretto è vietato nelle concessioni, anche sottosoglia; secondo, la procedura negoziata è il modulo ordinario per gli affidamenti di minor importo, purché sorretta da un’indagine che apra realmente il mercato e da un confronto tra progetti e PEF. Non si tratta di una “rigidità” ideologica, ma del riflesso necessario della competizione tra modelli di gestione che la concessione richiede.
L’argomento della temporaneità: perché la “soluzione ponte” non salva il diretto
Una parte della prassi ha tentato di giustificare affidamenti diretti nelle concessioni con la formula della temporaneità: “in attesa della nuova gara”, “per garantire la continuità del servizio”, “fino alla definizione dell’assetto regolatorio”. L’argomento non regge. La temporaneità non muta la tipologia del rapporto: se il privato assume il rischio operativo e viene remunerato con entrate collegate all’utenza o con un canone ancorato ai ricavi della gestione, ci troviamo pur sempre in una concessione. È legittimo, in presenza di esigenze non dilazionabili, ricorrere a misure ponte, ma queste devono essere ancorate a procedure concorrenziali compatibili con il tipo contrattuale: una negoziata stretta, con inviti selezionati mediante indagine di mercato, criteri trasparenti e durata effettivamente contenuta. Il diretto resta fuori gioco.
Rotazione e concessioni sottosoglia: una regola che vive anche qui
Nel perimetro delle concessioni sottosoglia opera, come regola di governo, il principio di rotazione. La sua funzione è quella di neutralizzare il vantaggio informativo del concessionario uscente e di impedire che, nel medio periodo, la gestione del servizio si cristallizzi in rapporti esclusivi. Anche nelle negoziate, dunque, l’invito o l’aggiudicazione all’uscente richiedono una motivazione che dia conto delle ragioni pubbliche (specializzazione, integrazione non duplicabile, efficienza economica dimostrata) e che contenga la durata del rapporto in coerenza con l’obiettivo di riaprire la concorrenza quanto prima. La disapplicazione “in bianco” della rotazione – a maggior ragione nel diretto, che comunque non è utilizzabile – non trova cittadinanza nel sistema.
Il profilo patologico: inefficacia del contratto e responsabilità
Quando l’amministrazione ricorre all’affidamento diretto in ambito concessorio, il vizio non è solo procedimentale: investe la legittimità dell’intera operazione. Le decisioni recenti non esitano a dichiarare l’inefficacia del contratto medio tempore stipulato e a prescrivere la riattivazione della procedura corretta. Le ricadute sono evidenti: ritardi nella continuità del servizio, contendibilità compromessa, esposizione a danno erariale per sovrapprezzi o per perdita di chance concorrenziali, oltre all’inevitabile contenzioso. Sul piano interno, si innesta un problema di accountability: il RUP e gli organi di vertice devono presidiare l’esatta qualificazione del rapporto, perché le scorciatoie semantiche (contratti chiamati “servizi” che, nei fatti, sono concessioni) non reggono al vaglio del giudice.
La negoziata come metodo “naturale” nel sottosoglia: apertura reale e comparazione vera
La procedura negoziata è il metodo naturale per le concessioni di importo inferiore alle soglie europee. Il suo pregio non è l’alleggerimento formale, ma la capacità di combinare apertura del mercato e rapidità: indagine seria degli operatori potenzialmente interessati, inviti numericamente congrui, criteri di aggiudicazione tarati non solo su canoni o percentuali di revenue sharing ma su livelli di servizio, piani di investimento, qualità tecnologica e modelli di gestione del rischio. Nel linguaggio della concessione, la miglior offerta non è quella che promette il canone più alto; è quella che, nel ciclo di vita del rapporto, garantisce sostenibilità economico‑finanziaria e qualità del servizio a parità di rischio trasferito.
Il discrimine con l’appalto di servizi: pericolo dei travestimenti
Non di rado l’errore nasce a monte, dalla qualificazione del rapporto. Si chiamano “servizi” contratti in cui il privato investe, assume il rischio dei ricavi e viene remunerato in larga misura da entrate di gestione: è la fotografia della concessione. Viceversa, si etichettano come concessioni prestazioni remunerate a canone fisso, dove il rischio di domanda è nullo o marginale: qui la fattispecie vera è l’appalto di servizi. La corretta tipizzazione non è un esercizio accademico: decide la procedura. Uno schema sbagliato in partenza porta con sé vizi derivati, e l’illusione del diretto – dove non è previsto – diventa il terreno di coltura di contenziosi e inefficienze.
Due campi applicativi esemplari: ripristino post‑incidente e sosta tariffata
Il ripristino post‑incidente stradale è un caso‑scuola: il gestore interviene h24, rimuove detriti e sostanze, ripristina le condizioni di sicurezza, e la sua remunerazione è spesso collegata ai rimborsi assicurativi o a tariffe applicate ai soggetti responsabili. È un modello tipico di concessione di servizi, con rischio operativo sulla domanda e sui tempi di intervento; l’affidamento diretto è dunque precluso. La scelta corretta è una negoziata con specifiche tecniche chiare (tempi di arrivo, dotazioni, tracciabilità, gestione rifiuti), un PEF credibile e criteri che premino qualità e prontezza oltre al profilo economico.
Analoga è la gestione della sosta tariffata/parcometri: ove l’operatore sostenga investimenti in apparati e software, assuma il rischio degli incassi e venga remunerato tramite revenue sharing o canoni variabili, la fattispecie è concessoria. Anche qui l’affidamento diretto è uno specchietto per le allodole: occorre una negoziata capace di confrontare piani di rinnovo tecnologico, sicurezza dei dati, interoperabilità con piattaforme comunali, uptime degli apparati, modelli di pagamento e di gestione delle anomalie, con una chiara matrice di rischio nel PEF.
Il ruolo del RUP e la qualità della motivazione
La qualificazione del rapporto e la scelta della procedura sono il cuore della responsabilità del RUP. Qui si misura la qualità amministrativa: ricognizione del fabbisogno, mappatura del mercato, distinzione tra appalto e concessione, disegno della lex procedimentale in coerenza con la tipologia corretta, attenzione alla rotazione e alla trasparenza delle informazioni. La motivazione non può essere un collage di formule: deve mostrare perché è stata scelta la negoziata, quali operatori sono stati individuati, come si è garantita la parità informativa, in che modo si è neutralizzato il vantaggio dell’uscente e perché l’offerta prescelta è la migliore nel ciclo di vita del rapporto e non soltanto nell’immediato.
Pubblicità, indagini di mercato e piattaforme: coerenza e tracciabilità
L’affidamento concessorio, anche sottosoglia, vive di pubblicità minima e di tracciabilità. L’indagine di mercato non è un adempimento rituale: serve per allargare la platea, raccogliere manifestazioni di interesse credibili e costruire un parterre di inviti che rispecchi la reale disponibilità imprenditoriale. Le piattaforme telematiche aiutano se utilizzate con coerenza: non ha senso impostare un’“RDO aperta” e poi chiamare la procedura “affidamento diretto”. Nomen iuris, sequenza degli atti e impostazioni di piattaforma devono raccontare la stessa storia, pena la vulnerabilità dell’intero percorso.
Il bilanciamento con il principio del risultato
Il principio del risultato chiede tempi ragionevoli e qualità delle prestazioni. Non è un lasciapassare per eludere la concorrenza. Nelle concessioni, il risultato si ottiene in concorrenza: negoziate snelle, ma vere; motivazioni trasparenti; PEF verificabili; rotazione credibile. La scorciatoia dell’affidamento diretto, oltre a essere illegittima, è in realtà inefficiente: apre contenziosi, espone a rilievi, prolunga i tempi per effetto delle cadute in giudizio. La via maestra – anche quando i numeri sono piccoli – è il metodo concorrenziale previsto dal Codice.
Conclusioni. Una regola semplice, una pratica esigente
La regola è semplice da dire: nelle concessioni l’affidamento diretto non c’è, nemmeno sottosoglia. La pratica è più esigente: richiede amministrazioni capaci di qualificare correttamente i rapporti, di programmare per tempo, di costruire negoziate coerenti e di motivare in modo controllabile. Dove questo accade, il sistema funziona: i servizi vengono affidati a operatori che hanno dimostrato, in un confronto leale, di saper gestire rischi e prestazioni; il mercato comprende le regole del gioco; i cittadini beneficiano di una gestione più trasparente e sostenibile.
In caso contrario, le concessioni diventano l’area grigia dove si consumano scorciatoie semantiche e decisioni solitarie che l’ordinamento non tollera più. Il diritto vivente del 2024‑2025 lo ha messo in chiaro e il Codice lo aveva già scritto: concorrenza vera, anche quando la dimensione economica è modesta; negoziata come metodo; rotazione come presidio; motivazione come linguaggio della responsabilità pubblica.
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