Intervista con Rajae Bezzaz: “Invito tutti ad una ribellione sana e non violenta”
“Il Marocco mi ha dato una famiglia splendida, mi ha trasmesso quell’empatia tipica che distingue il popolo marocchino da tante altre realtà, mi ha insegnato che ciò che c’è intorno è parte di te, pertanto non puoi fare finta di niente”. Solare, spumeggiante, poliedrica, e con una grande attenzione verso il prossimo: Rajae Bezzaz da dieci anni è una delle punte di diamante di “Striscia la notizia” per la quale realizza inchieste su temi sociali, ma è anche attivista, conduttrice radiofonica su R101 e attrice. E’ infatti la protagonista di “Ultima Generazione”, corto di Andrea Castoldi che racconta la storia di Alì, un bambino che, stanco e dispiaciuto per le liti frequenti dei genitori su questioni finanziarie, decide di aiutarli comprando ciò di cui hanno bisogno al mercato del paese pur non avendo soldi a disposizione, presentato il 3 giugno all’Anteo Palazzo del Cinema di Milano. Il 12 e 13 giugno sarà invece sul palco del Teatro Elfo Puccini con “The Mary Shelley Picture Show – Frankenstein: La Creatura Siamo Noi” di Minima Theatralia.
Abbiamo incontrato Rajae Bezzaz a Milano e parlato con lei di questi interessanti progetti, ma anche dei suoi nonni, della sua terra d’origine, il Marocco, del libro “L’araba felice” (Cairo) e di Papa Francesco.
Rajae, ha preso parte al corto “Ultima Generazione” di Andrea Castoldi, proiettato il 3 giugno al Milano Film Fest, in cui è protagonista insieme a Kiro Beshai che interpreta il piccolo Alì. Una storia che ci ricorda la bellezza della solidarietà. Che esperienza è stata?
“E’ stato un lavoro bello, divertente ma anche molto impegnativo a livello emotivo. Innanzitutto ho recitato in arabo, cosa che non faccio spesso, e poi avevo al mio fianco Khaled Elrashedi, attore fantastico, ed un bravissimo ragazzino di sette anni ed era difficile entrare nei suoi tempi, non farlo ridere e mantenere una certa serietà, perché comunque è un film in cui si affrontano temi importanti, si parla di famiglie in crisi economica, di integrazione, dei bambini che insegnano agli adulti il valore reale del tempo, ma soprattutto del denaro che ruba gran parte delle nostre vite. E’ stata una bellissima esperienza ed è stato piacevole lavorare con questo team, tanto che con Andrea Castoldi abbiamo già iniziato le riprese di un nuovo film dal titolo “Vitamine” che uscirà nel 2026. Non posso anticipare la trama, ma abbiamo girato alcune scene a Milano e poi andremo in Liguria ad ottobre”.
E poi c’è il teatro, infatti il 12 e 13 giugno sarà all’Elfo Puccini con “The Mary Shelley Picture Show – Frankenstein: La Creatura Siamo Noi”, un progetto di Minima Theatralia, che attraverso la figura di Frankenstein affronta una tematica molto attuale quale la paura del “diverso” e la valorizzazione della diversità…
“Siamo ottanta elementi in scena per mostrare quanto in realtà siamo tutti diversi e che questa paura della diversità è comprensibile ma va anche superata. Mai come oggi è necessario che questo accada, perché viviamo in un mondo globalizzato e c’è una maggiore apertura mentale. E’ pertanto bellissimo portare a teatro uno spettacolo così grande, con tutte le nostre specifiche emotività, difficoltà e diversità. E’ il secondo anno che lavoro con Marta Marangoni e Minima Theatralia, sempre all’Elfo Puccini, e mi hanno già chiesto se voglio ripetere questa esperienza anche nel 2026. Intanto però pensiamo a “The Mary Shelley Picture Show – Frankenstein: La Creatura Siamo Noi” e a goderci questo momento”.
La sua formazione artistica è iniziata in Marocco proprio con il teatro e con la recitazione…
“Ho iniziato da bambina con la recitazione, ho calcato i primi palchi a 5-6 anni. In Marocco frequentavo questo centro dove si facevano teatro, musica, lavori di gruppo. Mia nonna preferiva che i suoi nipoti seguissero questo percorso, piuttosto che stare in giro per strada o andare in gita nel weekend perché in quel luogo era sicura che non sarebbe accaduto nulla di male. Sia a me che a mia sorella la passione per il teatro è stata trasmessa da nonna e da allora ho sviluppato un grande amore per la comunicazione, per il palco, per il pubblico, per la condivisione e per tutti i mezzi che possono sensibilizzare su certi temi e far arrivare le voci, le storie che a volte poi si intrecciano e ci fanno riflettere e magari trovare soluzioni anche ai nostri problemi”.
I suoi nonni sono stati fondamentali per lei e lo racconta anche nel libro “L’araba felice” in cui afferma che erano una coppia molto moderna per l’epoca, basata sul rispetto, sul dialogo, su quei valori che, vedendo quello che accade intorno a noi oggi, vengono un po’ a mancare…
“I nonni sono stati fondamentali fin dal primo momento della mia vita, considerato che all’età di sei mesi ho iniziato il mio percorso con loro. Sono stati dei punti di riferimento, anche illuminanti, perché mio nonno, a differenza di quello che si può pensare dell’uomo arabo, quindi machista, oppressore, limitante, limitato e tutti questi aggettivi super negativi, invece ha sempre lasciato la libertà a mia nonna, che lavorava, viaggiava per mercati, era un’imprenditrice che ha aperto un atelier e dava lavoro a ragazze e donne in difficoltà, che magari avevano avuto figli al di fuori del matrimonio o avevano fatto delle scelte non condivise dalla famiglia e di conseguenza erano state ripudiate, aiutandole così ad emanciparsi. Infatti se non hai l’indipendenza economica diventa un po’ difficile acquisire altri tipi di libertà perché ci sarà sempre qualcuno che per aiutarti nel sostentamento ti dirà quello che devi fare e questo ti porterà a vivere sotto ricatto. Mio nonno invece aveva una grande apertura mentale e se per caso i miei zii volevano in qualche modo togliere la libertà alle sorelle femmine, interveniva in difesa delle sue figlie. Sono cresciuta in una famiglia matriarcale e quindi bisognava smussare le forze, trovare gli equilibri. Credo che sia necessaria una vera parità, una comprensione reale delle sensibilità che riguardano gli uomini e le donne, affinché non ci sia l’esasperazione né del matriarcato né del patriarcato”.
Nel libro afferma: “voglio sentirmi libera di assumere qualsiasi forma, non ho un contorno netto. Mescolarsi arricchisce, aiuta ad abbattere i muri”…
“Mescolarsi nei rapporti, ma anche nelle amicizie, nel lavoro, fidanzarsi o sposarsi con persone di culture diverse… Questo verbo per me significa non avere dei preconcetti, lasciare la libertà di ricrederci su determinati aspetti, perché non nasciamo scevri di questi retropensieri e purtroppo abbiamo paura ed è naturale in quanto esseri umani, ma una volta che abbiamo preso il coraggio dobbiamo cercare di lavorare in ambienti diversi dai nostri, farci delle domande, fermarci a scambiare qualche parola con il vicino di casa che magari arriva da un altro continente… Sono tutti elementi che secondo me favoriscono l’inclusione e il superamento delle barriere”.
Lei ha un legame molto forte con il Marocco, con le sue origini…
“Il Marocco mi ha dato una famiglia splendida, mi ha trasmesso quell’empatia che veramente distingue il popolo marocchino da tante altre realtà, mi ha insegnato che quello che c’è intorno è parte di te, pertanto non puoi far finta di niente, non puoi voltarti e lasciar perdere. Sicuramente anche in Marocco c’è chi non è cresciuto e non vive in questa condizione che ti sto raccontando, ma si respira molto quest’empatia collettiva. Basta girare nelle città da turista e chiedere dove si trova un posto e la gente non solo ti aiuta ma ti accompagna, ti offre un passaggio. Chi non è abituato a questo comportamento potrebbe stranirsi o pensare che lo vogliano truffare, invece c’è questa ospitalità estrema che io ho portato con me anche in Italia. Ti faccio un esempio. Se sono su un mezzo pubblico e mangio la chewing gum mi viene spontaneo offrirne una a chi è seduto accanto a me, perché magari la vorrebbe e non te la può chiedere, o non può permettersela. Insomma, da piccoli gesti nascono grandi cose. A volte queste attenzioni destano stupore o non vengono comprese, allora cerco di adattare la lingua comportamentale, che varia da paese a paese. Io ho imparato anche quella italiana, ho mescolato il tutto e in questo mash-up vivo molto bene, con delle contraddizioni che possono coesistere tranquillamente, senza paura. E quando qualcuno non le capisce basta spiegarle, perché è importante dialogare con gli altri”.
E proprio l’integrazione, l’inclusione, l’attenzione verso il prossimo e verso le donne sono al centro dei suoi servizi a Striscia la Notizia, in cui lavora da dieci anni…
“Questi dieci anni sono volati. Striscia la notizia, così come il Marocco, mi ha insegnato tanto. Io faccio un lavoro che mi allena alla vita e ne sono grata. La gentilezza ma anche l’empatia, l’onestà, la coscienza, non sono acquisite ma devono essere allenate quotidianamente. E’ come quando riprendi ad andare in bicicletta dopo tanto tempo, rimetti i piedi sui pedali ma rischi di non essere in equilibrio, di correre dei pericoli. Credo che l’allenamento sia fondamentale. La scelta di fare questo lavoro è invasiva e pervasiva ed entra in tutti i meandri della mia esistenza, delle mie cellule e anche del mondo circostante, perché le persone che ti stanno intorno devono capire che responsabilità hai, che sei poco presente, che sei spesso in viaggio e accettare tutto questo. E’ un sacrificio anche per loro”.

Tra tutti quelli che ha realizzato finora per Striscia la notizia, c’è un servizio che le ha dato più soddisfazione?
“Tutti i servizi, dal più piccolo al più grande. Mettiamo talmente tanta energia e tanto cuore in quello che facciamo che non riesco a sceglierne uno solo. Sono figli di un lavoro, di un processo di squadra e sono molto contenta di lavorare in questo team. In ciascun servizio c’è il contributo di ogni reparto e poi il programma stesso è l’estensione di quello che facciamo sul campo, è una realtà immensa, dove tutti si rendono conto della responsabilità che abbiamo nell’entrare nelle case di chi ci guarda ogni sera e direttamente nelle vite delle persone che andiamo ad intervistare e nei casi dove interveniamo. Anche le semplici vox populi, le famose interviste per strada, in cui si parla di argomenti molto leggeri, in realtà potrebbero essere importanti per qualcuno che sta passando un momento non bello. A me succede di andare a vedere uno spettacolo, una mostra e di trovare delle risposte o delle soluzioni ai problemi, quindi credo molto in questo movimento collettivo attraverso mezzi di comunicazione quali la radio, la tv, il teatro, il cinema, e anche i social”.
Qual è il suo rapporto con i social?
“Cerco di comunicare sui social senza farmi inglobare perché non puoi dedicare tutta la tua pausa o il tuo riposo a pubblicare storie o post, quindi li uso con parsimonia. Sicuramente, se utilizzati correttamente, sono un ottimo mezzo per rimanere in contatto con gli amici e un modo per comunicare il tuo lavoro e parlare con un pubblico diverso, arrivando al cuore di tante persone e nel mio piccolo magari essere loro di aiuto qualora servisse”.
Nel libro “L’araba felice” c’è un capitolo intitolato “Ribelle una volta, ribelle per sempre”, quanto è importante oggi la ribellione?
“E’ importantissima. Poco tempo fa ero a Milano ad un evento nell’ambito della TuttoFood Week insieme alla Fondazione Francesca Rava, di cui sono ambassador e madrina, per parlare del ruolo dei giovani nella creazione di un futuro sostenibile, unendo cibo, educazione e volontariato, in quanto ci sono paesi nel mondo che ancora soffrono la fame. Al termine ho salutato il pubblico dicendo: “ribellatevi”. La ribellione è uno degli elementi che nella mia vita è sempre stato presente. Bisogna ribellarsi per non essere schiavi, per essere realmente se stessi, per poter cambiare il corso delle cose. Io invito tutti a farlo, ovviamente nella maniera giusta, non violenta, non incito assolutamente all’indisciplina, all’odio, al caos, ma ad una ribellione sana. Se non ti sta bene ad esempio un posto di lavoro cambia strada. Io mi sono ribellata in primis alla mia famiglia, perché c’erano degli aspetti che non mi rappresentavano e di conseguenza ho perseguito la mia libertà di donna, di ragazza, facendo il mio percorso per dimostrare a me stessa in primis che era quello che mi rendeva felice”.
Tante donne nel mondo ogni giorno si ribellano per far valere i loro diritti, per la libertà, contro le assurde imposizioni delle dittature…
“Oggi nel mondo ancora tante donne, in contesti difficili come ad esempio l’Afghanistan, sfidano il regime attraverso i social, cercano di trovare un modo per poter fare sport, per studiare, per veder riconosciuti la libertà e i diritti che sono basilari. La ribellione è fondamentale”.
Ha partecipato con un suo testo al progetto “Manifesto for Change – Youth & Future”, il volume con la prefazione di Papa Francesco, ideato e curato dal cantautore Giovanni Caccamo, che racchiude i pensieri e le riflessioni di 75 giovani provenienti da tutto il mondo…
“La prefazione di “Manifesto for Change – Youth & Future” è un regalo che ci ha lasciato Papa Francesco, un personaggio che mi è sempre piaciuto, e noi abbiamo arricchito questo volume con un nostro testo. Era un Pontefice magari divisivo per certi aspetti, ma è sempre rimasto se stesso ed è stato anche innovativo. Quando è venuto a mancare ho provato un grandissimo dolore. Ricordo che quella mattina ero con mia sorella, mio cognato e i miei nipoti, e alla notizia della sua scomparsa, dopo un attimo di incredulità, sono scoppiata a piangere. Mio cognato mi ha quindi domandato perché stessi piangendo e quale fosse il mio legame con Papa Francesco ed io ho risposto che per me era una figura interessante del nostro secolo, un uomo che ha segnato le nostre vite e quindi ero dispiaciuta per la sua dipartita. Quando ho parlato di quanto accaduto con mia nonna che vive in Marocco mi ha detto che ogni anima è importante e raccontato una storia che riguardava il profeta Maometto. Un giorno mentre camminava con i suoi compagni si è fermato e ha chiesto di chi fosse il funerale che si stava svolgendo e gli è stato risposto che era quello di un signore ebreo. Maometto allora ha salutato quest’anima che partiva e a chi gli domandava il motivo del suo gesto dato che quell’uomo non era musulmano, ha affermato che l’anima di quella persona aveva la stessa importanza di qualsiasi altra, non c’era distinzione, bisognava salutarla e onorarla. Quindi la nonna mi ha detto che ho fatto bene a piangere per la scomparsa di Papa Francesco. I giorni successivi ha poi seguito il conclave perché ho approfondito questo argomento in radio e mi faceva sorridere il fatto che lei mi chiamasse per sapere quando si sarebbero riuniti i cardinali. Il giorno in cui è stato eletto Papa Leone XIV mia nonna è stata la prima persona a cui ho comunicato la notizia. Ero a Roma e anche se sono musulmana mi pervadeva una gioia per un cambiamento nella storia così importante e lei mi ha chiesto se mi piacesse questo papà americano, perché chiama il Pontefice in questo modo. Papa Leone XIV è stato scelto dai cardinali e ha lavorato anche con Papa Francesco per cui avrà tempo per fare un bellissimo percorso e noi con lui”.
I nonni e la sua storia sono presenti anche nel testo da lei scritto per “Manifesto for Change – Youth & Future”, che è stato recentemente presentato alle Nazioni Unite …
“Nel testo che ho scritto ci sono i nonni, la mia infanzia, il Marocco, il presente, il passato e il futuro. Giovanni Caccamo è una delle persone più illuminate che io abbia conosciuto negli ultimi tempi e lo ringrazio per avermi coinvolto in questo progetto che è stato tradotto anche in inglese ed è accessibile a tutti. In “Manifesto for Change – Youth & Future” abbiamo raccontato le urgenze dei nostri tempi a chi ha potere decisionale e può intervenire concretamente, e continueremo a farlo. Pertanto viva il manifesto del cambiamento e il cambiamento con la ribellione”.
di Francesca Monti
Si ringraziano Ivana Stjepanovic
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