Iran. Trump pronto a intervenire, ma la diplomazia continua a lavorare

Giugno 19, 2025 - 13:00
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Iran. Trump pronto a intervenire, ma la diplomazia continua a lavorare

di Enrico Oliari

Nonostante Israele continui a bombardare pesantemente l’Iran, con la distruzione nelle ultime ore di un impianto di centrifugazione per l’arricchimento dell’uranio e di diversi impianti di produzione di armi, la reazione di Teheran continua a sembrare al di sotto delle sue potenzialità. Come confermato ieri da fonti Usa, Israele è in grado di resistere agli attacchi missilistici iraniani ancora per una settimana, dopodiché dovranno intervenire gli Usa per fermare i vettori, tant’è che è in fase di avvicinamento nel Mediterraneo la portaerei Nimitz con il suo gruppo navale, la quale va ad aggiungersi alla Carl Vinson dislocata nel Mar Arabico.
Sarebbe un errore attribuire il calo della risposta di Teheran alle distruzioni condotte da Israele con gli F-35, o a una penuria di armi. Tant’è che le forze iraniane non sono ancora ricorse a missili ipersonici, o al minacciato lancio di migliaia di vettori contemporaneamente con conseguenze devastanti per Israele.
I Pasdaran (Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica), l’importante forza paramilitare iraniana controllata direttamente dalla Guida suprema Alì Khamenei, hanno ammesso che i cieli del paese sono di fatto in mano all’iniziativa israeliana nonostante un paio di abbattimenti di F-35, ma al momento le cancellerie di tutto il mondo, compreso quella statunitense, quella russa e quelle dei Paesi arabi, si stanno muovendo sotto traccia per arrivare a una sospensione delle ostilità che comporti la rinuncia di Teheran alla bomba atomica e possibilmente all’abbattimento del regime teocratico.
Dopo che il presidente Usa ha chiesto all’Iran una resa senza condizioni, Khamenei ha risposto che “resisteremo alla guerra, non ci arrenderemo mai”, certo del fatto che un attacco statunitense finirebbe per coalizzare le varie anime del paese e rinsaldare i fisiologici contrasti fra gli apparati istituzionali. Certo, sia nel Parlamento che nella società civile in molti sperano nella caduta del regime degli ayatollah, ma i processi evolutivi devono partire dall’interno e non essere imposti dagli interessi esteri, per non fare la fine dell’Iraq del post Saddam Hussein.

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Redazione Redazione Eventi e News