La “policrisi” birmana: appello dell’episcopato
L’episcopato del Myanmar auspica che “la nostra nazione, ferita e malconcia, possa risorgere, non solo con edifici, ma con cuori nuovi. E che un giorno i nostri figli possano dire: ‘Non hanno rinunciato alla pace. E così abbiamo trovato la strada di casa’”. E’ un appello quello dei vescovi del Myanmar. E’ stato redatto nel corso di un’assemblea online che ha esaminato la situazione della comunità ecclesiale dopo quattro anni di guerra civile. A rilanciarlo l’agenzia missionaria vaticana Fides. Afferma l’episcopato birmano: “Questo non è il momento di arrendersi. È il momento di trovare, nelle ceneri del dolore, la brace della speranza. La pace è possibile; la pace è l’unica via. Non lasciamo che l’odio ci definisca. Non lasciamo che la disperazione vinca. Che la nostra risposta sia semplice: compassione in azione, verità detta con dolcezza e pace perseguita senza sosta”.

Appello dell’episcopato
Il testo dell’episcopato si intitola “Un messaggio di compassione e di speranza per la ‘policrisi‘ del Myanmar” ed è firmato da tutti i vescovi birmani. Parte da un’amara constatazione della realtà sul terreno: “In tutta la nostra amata terra, da Nord a Sud, da Est a Ovest, il nostro popolo sta affrontando una crisi senza precedenti nella storia recente. Questa non è una singola tragedia. È ciò che gli esperti chiamano una ‘policrisi’, in cui molteplici emergenze si uniscono, ognuna delle quali aggrava le altre. Stiamo vivendo conflitti armati, disastri naturali, sfollamenti, collasso economico e una profonda frattura sociale”. Il primo aspetto rimarcato è quello dell’impatto umano: “Ci spezza il cuore più di ogni altra cosa la sofferenza delle persone. Secondo le Nazioni Unite, oltre 3 milioni di persone in Myanmar sono sfollate dalle loro case a causa dell’escalation del conflitto. Non si tratta solo di numeri. Si tratta di madri, padri, nonne e bambini. Alcuni si riparano sotto gli alberi, nelle risaie, nei monasteri e in tende di fortuna, senza cibo, acqua, istruzione o sicurezza”. Mentre nelle zone di conflitto, “le città si sono trasformate in città fantasma”, nelle zone colpite dal terremoto, interi villaggi sono stati rasi al suolo, è questo ha generato nella popolazione “traumi profondi e paura”.
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