Le sanzioni alla Russia hanno scatenato una crisi finanziaria in Liechtenstein
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Liechtenstein nel mirino delle sanzioni: si è aperta una crisi finanziaria tra pressioni internazionali e ricchezze della Russia congelate nel piccolo paese europeo.
Il Liechtenstein, piccolo ma potente snodo finanziario incastonato tra Svizzera e Austria, si trova oggi al centro di una tempesta geopolitica che rischia di travolgerne l’intero sistema fiduciario. A far tremare le fondamenta del suo florido settore finanziario è l’inasprimento delle sanzioni occidentali contro la Russia, che ha lasciato centinaia di fondazioni senza più un gestore e alimentato incertezza tra investitori e istituzioni.
Le sanzioni alla Russia hanno scatenato una crisi finanziaria in Liechtenstein
Secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters e dalla rivista Internazionale confermato da numerose fonti indipendenti, numerosi patrimoni riconducibili a oligarchi russi – custoditi da tempo all’interno di entità giuridiche domiciliate nel Principato – risultano oggi privi di amministrazione attiva. Il timore concreto è che una parte significativa di queste ricchezze venga definitivamente congelata. A preoccupare non è soltanto il destino dei fondi già sottoposti a controllo, ma anche l’effetto domino che potrebbe investire l’intero sistema fiduciario del Paese.
Molti di questi capitali, formalmente intestati a fondazioni o trust con sede in Liechtenstein, erano finora gestiti da fiduciari locali, i quali si trovano oggi nell’impossibilità di agire per timore di violare le normative internazionali. L’effetto delle sanzioni, infatti, non si limita al blocco diretto dei beni, ma genera un clima di incertezza giuridica che spinge i gestori a sospendere ogni operazione anche solo potenzialmente controversa.
La notizia ha fatto rapidamente il giro d’Europa, rimbalzando anche sulle pagine del quotidiano croato Il Foglio del Mattino, che ha sottolineato come il Liechtenstein, grazie a una tassazione estremamente favorevole, ospiti migliaia di fondazioni con finalità patrimoniali, da tempo attrattive per grandi capitali internazionali. Il sistema, costruito su riservatezza e agevolazioni fiscali, rischia ora di trovarsi in una fase di stallo, aggravata dal timore che nuovi pacchetti sanzionatori possano includere misure ancora più restrittive.
L’impatto delle sanzioni sui “paradisi fiscali”
Le sanzioni europee, formalmente indirizzate contro individui ed entità legate al Cremlino, non colpiscono direttamente i cosiddetti paradisi fiscali.
Ecco un elenco sintetico di alcuni noti paradisi fiscali a livello globale:
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Liechtenstein – Regime fiscale favorevole, segretezza bancaria, fondazioni patrimoniali.
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Svizzera – Tradizione di riservatezza bancaria, anche se in parte ridotta negli ultimi anni.
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Lussemburgo – Sistema fiscale vantaggioso per società e fondi di investimento.
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Isole Cayman – Nessuna imposta diretta, forte attrattiva per hedge fund e società offshore.
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Panama – Normativa societaria flessibile, noto per il segreto bancario.
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Bermuda – Niente imposte su reddito, capitale o dividendi.
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Isole Vergini Britanniche (BVI) – Facilitazioni per la costituzione di società anonime.
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Monaco – Assenza di imposte sul reddito per i residenti, elevata discrezione finanziaria.
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Bahamas – Sistema fiscale leggero e favorevole agli investitori stranieri.
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Jersey e Guernsey (Isole del Canale) – Giurisdizioni britanniche con regimi fiscali indipendenti e competitivi.
Le restrizioni, limitano fortemente le operazioni finanziarie che coinvolgono capitali sospettati di aggirare le misure restrittive, finendo così per compromettere anche l’operatività di interi ecosistemi bancari come quello del Liechtenstein.
Il risultato è una crisi di fiducia che potrebbe spingere investitori e fiduciari a ridimensionare – se non addirittura dismettere – la propria presenza nel Principato, con conseguenze economiche significative per un Paese la cui prosperità si fonda in larga parte sulla gestione transfrontaliera della ricchezza.
La lunga scia delle sanzioni
Dalla data simbolo del 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, l’Unione europea ha avviato un imponente piano sanzionatorio, ampliando progressivamente l’elenco dei soggetti colpiti. Alle misure già in vigore dal 2014 – dopo l’annessione della Crimea e il fallimento degli accordi di Minsk – si sono aggiunte nuove restrizioni economiche, limitazioni individuali, stop diplomatici e vincoli sui visti.
Ad oggi, oltre 2.400 tra persone fisiche e giuridiche risultano inserite nella lista nera di Bruxelles. Tra questi figurano figure di vertice del potere russo: il presidente Vladimir Putin, il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, l’ex presidente ucraino filo-russo Viktor Yanukovych, l’oligarca Roman Abramovich, numerosi parlamentari, membri dei servizi segreti, militari, governatori regionali, esponenti del gruppo paramilitare Wagner, fino a imprenditori e propagandisti filo-Cremlino.
Uno dei fronti più delicati riguarda i beni russi bloccati all’estero, in particolare quelli appartenenti alla Banca centrale di Mosca. Già nel 2022, l’Unione ha vietato qualsiasi transazione relativa alla gestione delle riserve dell’istituto centrale russo. Le conseguenze sono state immediate: circa 210 miliardi di euro sono stati congelati in banche centrali e istituzioni finanziarie europee.
Nel tentativo di rendere queste risorse utili per l’Ucraina, il Consiglio dell’UE ha varato un meccanismo che consente di impiegare gli interessi maturati dai beni bloccati per sostenere Kiev. Il primo trasferimento, pari a 1,5 miliardi di euro, è stato effettuato nel maggio 2024, seguito da un secondo versamento di 2,1 miliardi nell’aprile 2025. In base alla normativa vigente, il 95% di tali introiti verrà destinato al fondo europeo per i prestiti all’Ucraina, mentre il restante 5% sarà impiegato attraverso lo Strumento europeo per la pace, utilizzato anche per forniture militari.
Il caso italiano: lo yacht da 300 milioni e i costi dello Stato
Le ripercussioni delle sanzioni si avvertono anche in Italia, dove emblematico è il caso del Sailing Yacht A, un’imbarcazione di lusso da 300 milioni di euro ancorata nel Golfo di Trieste. Il colosso marino, lungo 143 metri e progettato dal celebre designer Philippe Starck, è stato sottoposto a congelamento nel marzo 2022 in base al Regolamento UE 2022/328. Formalmente intestato a un trust, il panfilo è riconducibile all’imprenditore bielorusso Andrey Melnichenko, considerato vicino a Vladimir Putin.
Il fermo dell’imbarcazione, tuttavia, ha generato un onere notevole per l’erario italiano. I costi giornalieri di custodia e manutenzione si aggirano tra i 20.000 e i 40.000 euro, per una spesa annua che supera i 9 milioni. Finora, l’Italia ha speso circa 27 milioni di euro per mantenere in sicurezza lo yacht, senza alcuna certezza sul futuro recupero di queste somme.
Ne abbiamo parlato ampiamente in un’intervista escusiva del nostro quotidiano al Procuratore Francesco Menditto, massimo esperto in Italia di congelamento, sequestro e confisca dei beni alla criminalità
Una questione aperta
L’intero impianto delle sanzioni europee contro la Russia è animato da un principio politico chiaro: esercitare la massima pressione per porre fine all’aggressione militare in Ucraina. Tuttavia, le conseguenze pratiche sollevano interrogativi delicati: chi paga per la custodia dei beni bloccati? È realistico sperare in un loro riutilizzo o confisca definitiva? E come evitare che queste misure colpiscano indirettamente sistemi finanziari esteri non direttamente coinvolti, come quello del Liechtenstein?
Nel frattempo, tra capitali congelati, fondazioni senza più fiduciari e costi in crescita per gli Stati europei, si apre un nuovo capitolo nella guerra economica tra l’Occidente e il Cremlino. Un fronte silenzioso, ma dalle ricadute profonde e durature.
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