Per accedere negli USA arriva il controllo sui canali social dei turisti?
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Gli USA si preparano a introdurre un cambiamento destinato a lasciare il segno nelle politiche di ingresso per i visitatori stranieri: partirà il controllo sui canali social dei turisti per autorizzarli ad accedere al paese?
Il Customs and Border Protection (CBP), l’agenzia federale incaricata di vigilare sui confini, ha avanzato una proposta che obbligherebbe ogni turista a fornire l’elenco degli account social utilizzati negli ultimi cinque anni prima di potersi recare nel Paese. Un provvedimento che, se approvato, trasformerebbe radicalmente le procedure dell’ESTA, il sistema elettronico di autorizzazione al viaggio impiegato da cittadini di 42 Stati che oggi possono entrare negli USA senza richiedere un visto vero e proprio.
La misura, inserita nel Federal Register — il bollettino ufficiale del governo statunitense — rappresenta una delle più incisive espansioni delle capacità di controllo digitale mai introdotte per i viaggiatori. Fino a oggi, l’ESTA richiedeva informazioni relativamente limitate: dati anagrafici, riferimenti sul viaggio, qualche dettaglio di sicurezza e il pagamento di una quota di 40 dollari. Con la nuova proposta, però, la routine cambierebbe profondamente: il viaggiatore dovrebbe dichiarare i propri profili su piattaforme come Facebook, X (ex Twitter), Instagram, TikTok e altre, consentendo così alle autorità americane un accesso esteso alla sua identità digitale.
L’ombra dei Mondiali 2026
Il timing non è casuale. La possibile entrata in vigore nel 2026 coincide con l’anno in cui Stati Uniti, Canada e Messico ospiteranno i Mondiali di calcio. Un evento che attirerà milioni di visitatori, inclusi decine di migliaia di tifosi europei. Proprio per questo, diversi osservatori sottolineano che la nuova procedura rischia di complicare l’arrivo di turisti già soggetti a lunghe attese per l’approvazione dell’ESTA. L’obbligo di fornire cinque anni di attività sui social potrebbe dilatare i tempi di verifica, con il rischio di rallentamenti, ritardi e — in alcuni casi — dinieghi dovuti a valutazioni basate su contenuti fraintesi o interpretati fuori contesto.
Un ulteriore timore riguarda la possibilità che i visitatori risultino etichettati come soggetti “a rischio” sulla base di algoritmi o controlli automatizzati, aumentando la probabilità di interrogatori più approfonditi ai confini. Il risultato potrebbe essere un deterrente per molti viaggiatori, che potrebbero decidere di rinunciare all’esperienza pur di evitare intromissioni nella propria vita digitale.
La privacy come terreno di scontro: modello USA vs modello UE
La questione centrale sollevata dalla proposta del CBP riguarda la privacy. E il confronto tra la filosofia americana e quella europea appare più netto che mai.
Negli Stati Uniti, la protezione dei dati personali non segue un quadro organico paragonabile al GDPR europeo. Esiste una costellazione di norme settoriali — valide per i dati sanitari, per le informazioni finanziarie o per gli utenti minorenni — ma manca un regolamento unitario e rigoroso. In più, le autorità statunitensi hanno una lunga tradizione di ampia discrezionalità quando si tratta di sicurezza nazionale. La zona grigia risulta ampia, e spesso il viaggiatore non ha modo di sapere quali informazioni si analizzino realmente, per quanto tempo restino archiviate o con chi possano risultare condivise.
Al contrario, l’Unione europea ha costruito negli anni un impianto regolatorio che fa della tutela dei dati una vera garanzia di cittadinanza digitale. La raccolta delle informazioni deve essere proporzionata, motivata e limitata allo scopo dichiarato. La proposta americana sembra in aperto contrasto con questi principi: richiedere cinque anni di profili social significa potenzialmente accedere a opinioni politiche, preferenze personali, orientamenti culturali, contatti e abitudini quotidiane. Informazioni che in Europa sono protette in modo particolarmente stringente.
Un cittadino europeo che compila l’ESTA si troverebbe quindi in una situazione paradossale: per visitare gli Stati Uniti dovrebbe autorizzare una raccolta di dati che nel proprio continente non sarebbe consentita nemmeno a un’autorità pubblica senza una giustificazione solida e un controllo giudiziario.
Quanto sono “volontarie” le informazioni richieste?
Il CBP sostiene che la misura non impedisce a nessuno di viaggiare negli Stati Uniti, ma la realtà risulta più complessa. Tecnicamente, nessuno obbliga un turista a rivelare i propri account social; tuttavia, omettere tali informazioni comporterebbe quasi certamente un rifiuto dell’autorizzazione. Il margine di scelta quindi è solo teorico.
Inoltre, gli Stati Uniti hanno già introdotto in passato campi facoltativi relativi ai social media nei moduli ESTA. Sebbene presentati come innocui, essi sono stati interpretati da molti come un primo passo verso la raccolta obbligatoria di queste informazioni. La nuova proposta ne sarebbe dunque la naturale evoluzione: un passaggio da un regime di collaborazione volontaria a uno di completa trasparenza digitale imposta.
Il rischio di fraintendimenti e profilazioni arbitrarie
Il controllo dei social non è privo di rischi. I contenuti pubblicati possono essere ironici, contestuali, scritti in lingue o dialetti poco noti agli esaminatori e agli algoritmi. Possono includere riferimenti politici o culturali facilmente fraintendibili. Un post si interpreta anche fuori contesto, generando sospetti ingiustificati.
Inoltre, la raccolta massiccia di dati apre la porta a forme di profilazione basate non su comportamenti reali, ma su percezioni, associazioni e corrispondenze automatiche. Questo metodo solleva interrogativi etici e giuridici, soprattutto quando l’analisi riguarda cittadini che non hanno alcuna intenzione di rappresentare una minaccia.
Che cosa significa davvero sicurezza?
L’iniziativa del CBP parte da un obiettivo dichiarato: prevenire minacce e individuare possibili rischi prima che si concretizzino. Tuttavia, la domanda da porsi è un’altra. Fino a che punto è legittimo sacrificare la privacy di milioni di persone per un controllo che, secondo molti esperti, potrebbe avere un’efficacia limitata?
La sicurezza è un valore imprescindibile, ma non può diventare un ombrello sotto cui far rientrare qualunque forma di sorveglianza preventiva. Un equilibrio è possibile — ed è proprio ciò che il modello europeo tenta di realizzare attraverso la proporzionalità delle misure e la trasparenza delle procedure.
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