Poesia: una vita sola non basta per leggere il mondo

Dicembre 5, 2025 - 10:00
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Poesia: una vita sola non basta per leggere il mondo

e le chiedi quale sia il motore del suo essere volontaria, risponde cura, reciprocità, desiderio. Poi però torna più e più volte su una parola che da sola tiene insieme tutto: poesia. «Quando dico poesia, penso a un’autrice come Wisława Szymborska, che ci ricorda che può accadere di tutto (un lutto, una perdita, un grandissimo dolore), ma che si può ancora e sempre ricominciare». Per Silvia Avallone il volontariato «è un mondo che sento mio», racconta, «che mi ha sempre chiamata, perché contiguo alla letteratura. Fare volontariato è come aprire un libro: significa incontrare un altro, con le sue fragilità».

VITA magazine di novembre è dedicato al volontariato e a ciò che spinge 4,7 milioni di italiani a spendersi per gli altri. Che cosa muove oggi il nostro impegno? Quali sono i nuovi motori del volontariato? Accanto al racconto, abbiamo sfidato dieci firme in un’ambiziosa riscrittura del bellissimo e sempre attuale “Noi ci impegniamo” di don Primo Mazzolari. Dieci parole da cui ripartire, nella Giornata internazionale del Volontariato. La scrittrice Silvia Avallone ha scelto la parola poesiaSe hai un abbonamento leggi subito Volontario, perché lo fai?  e grazie per il tuo sostegno. Se vuoi abbonarti puoi farlo a questo link

Impotenza è la cifra del nostro tempo, ma in Italia ci sono 4,7 milioni di persone che si spendono per gli altri.
Qual è il senso di questo impegno? Le risposte all’interno del magazine ‘‘Volontario, perché lo fai?

Come si legano il volontariato e la letteratura?

I romanzi che amo raccontano di svantaggio, dolore, difficoltà: leggerli significa prendermi cura della vulnerabilità altrui e accoglierla per un pezzo di strada. Così facendo, io sempre curo me stessa. Il volontariato suscita in me lo stesso meccanismo: uscire di casa, incontrare questi “altri” da me, dalla mia famiglia, dalla mia quotidianità, è come leggere o scrivere all’ennesima potenza. Grazie a questo incontro, trovo il senso di tutto. Prendersi cura di una storia altrui, della sua caduta e del suo desiderio di riscatto, equivale al prendersi cura di sé: riesco davvero a realizzare la felicità in un incontro autentico con una persona diversa da me, che mi spiazza, che mi allarga gli orizzonti, che mi scuote. Ho capito nel tempo che dare una mano è ricevere un dono: quello che io ho avuto dal volontariato è infinitamente più grande di quello che ho dato.

Quali sono le realtà a cui pensa quando parla di volontariato?

La prima è nei reparti di Terapia intensiva neonatale e di Neonatologia del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, dove l’associazione Cucciolo da trent’anni si siede accanto ai bambini nati pretermine e alle loro famiglie: qualche carezza e tante coccole, quando è possibile, letture ad alta voce o una canzone sussurrata per far sentire la vicinanza di un adulto amorevole, mentre la mamma e il papà corrono a farsi una doccia o dedicano un’ora ai fratelli maggiori. E poi l’Istituto penale per minorenni “Pietro Siciliani”, sempre a Bologna, per un laboratorio di scrittura insieme ai giovani detenuti. Sembrano due mondi opposti, da un lato i neonati innocenti che si sono appena affacciati alla vita e dall’altro i ragazzi che stanno scontando una pena, ma che chiamano in causa le colpe di una società che non è riuscita a sostenerli prima. In entrambi i luoghi, io ho trovato molta umanità.

Silvia Avallone in un’immagine scattata qualche anno fa, durante la sua esperienza di volontariato con l’associazione Cucciolo nei reparti di Terapia intensiva neonatale e di Neonatologia del Policlinico Sant’Orsola di Bologna (Fotografia di Nicoletta Valdisteno)

Il volontariato è entrato nei suoi libri? O sono i libri che hanno abbracciato l’esperienza del volontariato?

I libri arrivano sempre prima e dopo. Mi viene in mente Da dove la vita è perfetta, che è immediatamente precedente alla mia attività con l’associazione Cucciolo, o Cuore nero, che ho scritto durante e dopo il laboratorio di scrittura in carcere. I libri nascono da desideri, domande, urgenze, ma è l’incontro con la realtà che li nutre in profondità e li accompagna oltre. D’altro canto, le emozioni che ho vissuto in carcere e nel reparto di neonatologia non si esauriranno mai in una storia scritta.

Le emozioni che ho vissuto in carcere e nel reparto di neonatologia non si esauriranno mai in una storia scritta Silvia Avallone, scrittrice

Quali sono le parole che muovono il suo modo di essere volontaria?

Ci sono tante parole nel mio bagaglio dell’impegno. C’è il desiderio, che ho cullato a lungo e che alla nascita della mia prima figlia si è spalancato, perché la bellezza chiama bellezza e l’amore arriva e non si può arginare. L’associazione Cucciolo è entrata nella mia vita proprio così: spinta dal desiderio di non fermarmi al mio essere madre, di guardare ai bisogni di altre famiglie e altri bambini. C’è la reciprocità, che si traduce in una consapevolezza nuova: nel reparto di terapia intensiva neonatale ho trovato la conferma di qualcosa in cui credo tantissimo, e cioè che ognuno di noi nasce buono, giusto, sacro, da amare. Ogni vita che inizia è una storia bellissima che deve poter fiorire in tutta la sua grazia, ma dobbiamo ricordarci che si fiorisce soltanto se guardati, cullati, amati. Questo vale per i bambini nati prematuri come per gli adolescenti in carcere: soltanto con la fiducia e con l’amore si può crescere, il neonato lo può sentire in una carezza o in una voce dolce, un ragazzino di 15 anni in una proposta di studio. Ci sono diversi modi di prendersi cura del futuro, ma tutti passano attraverso un gesto di accoglienza e amore per la vita umana. Cura è un’altra parola a cui tengo molto: me l’hanno insegnata i libri. Prendersi cura delle storie degli altri ci allena all’incontro nel nostro quotidiano. E ci guarisce. Ci dice che se accettiamo e perdoniamo gli errori degli altri, allora possiamo farlo anche con noi stessi.

E se dovesse sceglierne soltanto una?

Sceglierei poesiaHo letto poesie ai neonati prematuri e agli adolescenti in carcere: ha sempre funzionato. Tutti noi abbiamo bisogno di parole belle che ci riempiano l’anima. Siamo fatti di invisibile, di sogni e di paure, di sentimenti e di pensieri. Se ci mancano le parole per dare un nome a ciò che proviamo e sogniamo, questo ci impedisce di crescere, di diventare noi stessi. Avere un bagaglio di parole belle, di poesie che gettano una luce piena di speranza sul mondo, ci illumina, ci dà carica, ci fa stare meglio. Noi siamo la lingua che parliamo e che ascoltiamo: se la comunicazione avviene soltanto con il linguaggio dell’illegalità o della detenzione, ci fa sentire chiusi, in gabbia. Se invece impariamo un linguaggio nuovo, di libertà, possiamo cambiare il modo con cui stiamo al mondo. La poesia è il motivo per cui mi sono avvicinata al volontariato, una meravigliosa cura dell’anima, individuale e collettiva: è il mio motore perché spalanca le finestre, viene a dirmi che la vita non è la mia stanza e che una vita sola non è abbastanza per saper leggere il mondo. Che non si può pensare soltanto ai propri interessi, al proprio tornaconto. Che solo l’amare (e qui cito i versi di Pasolini) e solo il conoscere conta: non l’aver amato, non l’aver conosciuto.

In apertura, Silvia Avallone (Fotografia di Giovanni Previdi)

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