Sciare d’estate in un pianeta che si sta sciogliendo

Istruttori di sci in maniche corte; genitori in pantaloncini dietro le transenne a godersi lo spettacolo; bambini felici e ignari – per colpa della negligenza degli adulti – del futuro all’orizzonte. In una calda serata d’agosto, la via pedonale del centro di Ortisei, in Alto Adige, si è trasformata in una pista da sci realizzata con neve «vera al cento per cento», proveniente dai «residui di ghiaccio» di una pista di pattinaggio. Immancabile, all’interno della locandina dell’evento, il bollino «eco-friendly».
La questione più delicata non riguarda il rischio greenwashing di questa operazione. Allargando lo sguardo, infatti, emerge un tema culturale fondamentale. Lo sci estivo non è una novità, ma l’iniziativa andata in scena in val Gardena il 19 agosto ha un non so che di distopico, soprattutto per via del target a cui era apertamente rivolta: i più piccoli.
«Il nostro evento tradizionale “Neve d’Estate” ha portato ancora una volta la magia dell’inverno tra le vie del paese, facendo vivere ai bambini la gioia dei loro primi passi sugli sci… in piena estate!», recita un post su Instagram dedicato all’iniziativa.
L’educazione ambientale-climatica è tra le grandi assenti all’interno dell’offerta didattica italiana, al netto di qualche piacevole ma isolata eccezione. I bambini, si legge in un’interessante riflessione pubblicata dalla pagina Instagram “L’occhio del Gigiàt”, «non hanno una coscienza climatica ma nemmeno una storia climatica alle loro spalle». Sono diamanti grezzi sensibili a ogni stimolo in grado di metterli in contatto con la realtà.
Gli adulti di oggi hanno quindi l’enorme opportunità di formare una generazione di persone consapevoli dei rischi ambientali del presente e delle soluzioni da attuare per consegnare alla Terra – dunque anche agli esseri umani – un futuro degno di questo nome.
Ecco perché riproporre in piena estate lo sport invernale per eccellenza – oltretutto in un’occasione riservata ai bambini – può trasmettere un messaggio distorto, prepotente e fuori dal tempo: noi umani abbiamo tutti gli strumenti non solo per risolvere il riscaldamento globale, ma anche per sovvertire le leggi della natura e della stagionalità. Organizzare un evento del genere in estate è come servire una fetta d’anguria dopo il pranzo di Natale.
A scanso di equivoci, la tecnologia è fondamentale per tagliare le emissioni e ridurre gli effetti del cambiamento climatico, ma non deve diventare lo strumento di legittimità di un immobilismo sistemico. Una crisi pervasiva come quella climatica si può affrontare solo mettendo in discussione noi stessi, i nostri comportamenti e il modus operandi di chi occupa posizioni di potere. Adattarsi al riscaldamento globale significa anche cogliere le falle all’interno del sistema socioeconomico che ci ha traghettati fin qui, fare un passo indietro e ascoltare ciò che la natura vuole comunicarci.
In uno scenario in cui fenomeni come alluvioni, ondate di calore, siccità e uragani risulteranno sempre più estremi, frequenti e imprevedibili, soluzioni tampone come le barriere anti-inondazione, le strade climatizzate o la neve artificiale a bassa quota non rappresentano risposte logiche a una natura che, almeno nel breve-medio periodo, non è destinata a placarsi.
Lo sci sotto i duemila metri non ha futuro, ma il governo di Giorgia Meloni continua a stanziare centinaia di milioni di euro (duecentotrenta milioni nel 2024) per gli impianti di risalita. Organizzare eventi come quello di Ortisei o investire nel settore le stesse risorse di vent’anni fa sono forme di puro accanimento terapeutico. Alla fine del 2024, si legge nel dossier “Nevediversa” di Legambiente, erano duecentosessantacinque le stazioni sciistiche italiane non più funzionanti: un dato raddoppiato rispetto al 2020. Skilift e seggiovie stanno già diventando dei relitti di un mondo vecchio.
L’evento di Ortisei è anche l’ennesima dimostrazione di quanto l’Italia sia arretrata a livello di riconversione del turismo montano, una delle forme di adattamento climatico più urgenti che ci siano. Quella che stiamo vivendo è forse la prima estate in cui – a torto o ragione – si sta parlando di overtourism anche ad alta quota. I prezzi sempre più elevati, la scarsa qualità dei servizi, il sovraffollamento e le alte temperature stanno già cambiando le abitudini di vacanza degli italiani, sempre più attratti dalla versatilità della montagna.
Significa che i cittadini hanno già voglia di vivere le “terre alte” in modo diverso, lontano dalla monocultura dello sci. Non tutti sono ancora pronti, perché serve un lungo lavoro di educazione e sensibilizzazione al turismo responsabile all’interno di questi luoghi così fragili. Ma, come nel caso di Ortisei, sono proprio gli operatori locali – l’evento è stato co-organizzato dalla Scuola Sci & Snowboard del Comune – a inciampare nella tentazione di inseguire un passato rassicurante solo a primo impatto.
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