Transizione 5.0, l’ira delle imprese e dei consulenti e le possibili vie di uscita

Novembre 10, 2025 - 11:00
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Transizione 5.0, l’ira delle imprese e dei consulenti e le possibili vie di uscita

DOPO LA CHIUSUrA

Transizione 5.0, l’ira delle imprese e dei consulenti e le possibili vie di uscita



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La chiusura improvvisa del piano Transizione 5.0 ha scatenato la dura reazione delle imprese e dei consulenti che denunciano la gestione “caotica e pasticciata” delle politiche industriali e il danno economico. Le imprese a cui dal 7 novembre il GSE sta inviando comunicazioni di esaurimento risorse e sono entrate in una sorta di “limbo”, in attesa di possibili evoluzioni, si attendono una risposta del Governo. Ecco quattro possibili vie di uscita, nessuna delle quali però senza controindicazioni…

Pubblicato il 9 nov 2025



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L’improvvisa chiusura anticipata del piano Transizione 5.0, disposta dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy a partire dal 7 novembre, ha scatenato nel corso del fine settimana una serie di reazioni nel mondo delle imprese e tra i consulenti, che denunciano un danno alla fiducia e alla pianificazione degli investimenti.

In questo articolo vi riportiamo alcune dichiarazioni del mondo della politica, delle imprese e dei consulenti su una chiusura giunta letteralmente dalla sera alla mattina (decreto firmato nella serata del 6 novembre e pubblicato la mattina del 7 novembre).

In chiusura analizzeremo alcune possibili evoluzioni a partire dalle dichiarazioni del Governo, per la soluzione del “pasticcio” creato.

Incoerenza e inaffidabilità: la denuncia delle imprese

Tra i primi a intervenire nella serata del 7 novembre Marco Nocivelli, Vice Presidente di Confindustria per le politiche industriali, che ha evidenziato come la decisione metta in “difficoltà numerosissime imprese” e stia generando forte preoccupazione. Nocivelli ha richiesto di individuare con urgenza una soluzione per tutelare le aziende ed “evitare che si perda fiducia nelle Istituzioni e nelle leggi”. A tal fine, ha auspicato che i progetti finiti in “lista di attesa” vengano finanziati attraverso meccanismi di prioritizzazione (fast track) o soluzioni-ponte di tipo finanziario, in attesa dell’operatività del nuovo iper-ammortamento previsto per il 1° gennaio.

Anche Alvise Biffi, presidente di Assolombarda, ha definito la comunicazione improvvisa come un “deludente segnale di incoerenza” rispetto alla volontà dichiarata di sostenere gli sforzi delle imprese. A suo avviso, questa scelta aggiunge un “ulteriore fattore di incertezza” in un momento economico difficile, penalizzando le aziende che stavano agendo nel rispetto delle regole ministeriali. Biffi ha lamentato che l’imprevista chiusura sia in controtendenza rispetto alla necessaria pianificazione degli investimenti anticiclici, confermando l’”inaffidabilità delle misure proposte”.

Particolarmente dure sono state le parole di Paolo Streparava, presidente di Confindustria Brescia, che ha definito la comunicazione del Mimit “un fatto grave e inaccettabile”. Streparava ha denunciato la mancanza di trasparenza, sottolineando che solo poche ore prima del decreto direttoriale chi accedeva al Portale GSE veniva informato che le risorse residue disponibili erano “ben oltre 3,719 miliardi di euro”. Il rischio, ha aggiunto Streparava, è che molte aziende bresciane si trovino senza risorse per “piani di investimento importanti e strategici”. Nonostante il Ministero avesse fissato la soglia di utilizzo a 2,5 miliardi a valere sul PNRR, Streparava ricorda che era stato promesso un intervento con risorse nazionali per garantire la continuità una volta raggiunto tale limite. Gli industriali bresciani concludono chiedendo “nuovi fondi nazionali immediatamente disponibili” per garantire la copertura di tutte le domande già presentate.

Anche la CNA – Confederazione Nazionale degli Artigiani – ha espresso forti riserve, sottolineando che il provvedimento penalizza le imprese che hanno richieste pendenti o in attesa di chiarimenti sul portale GSE. CNA chiede che venga “assicurato l’accesso alle risorse” a tutte le imprese che hanno già attivato investimenti durante il 2025, anche superando la dotazione ridotta di 2,5 miliardi.

La furia di consulenti e tecnici

Un “pasticcio di dimensioni colossali” e una “vergogna inaccettabile” sono alcune delle espressioni meno estreme tra quelle apparse nei commenti dei consulenti di finanza agevolata e degli Esperti in Gestione dell’Energia (EGE), che hanno visto nell’accaduto un “vulnus ai principi costituzionali di legalità e legittimo affidamento”.

Il danno più grave, si legge, non è solo economico, ma è la “frattura di fiducia”. Le aziende che hanno pianificato con cura, fidandosi dei dati ufficiali, sono state penalizzate, ribaltando la logica del sistema. Un consulente ha parlato di una “lezione di instabilità normativa che nessun imprenditore dimenticherà”, sottolineando che il governo ha scelto di cambiare le regole “in corsa, senza preavviso”, lasciando a terra chi aveva già avviato progetti e fatto ordini.

Un EGE ha definito l’accaduto come una vera e propria opera di “terrorismo industriale e sabotaggio”, lamentando che la decisione presa in tarda serata abbia generato “danni ingentissimi” nell’indotto.

Qualcuno si è spinto oltre, affermando che con questa mossa il Ministero ha oltrepassato “un confine molto importante” e, per tutelare il proprio studio e le aziende seguite, cercherà di capire se è possibile agire legalmente contro l’atto ministeriale.

La reazione della politica

La gestione della chiusura ha innescato anche uno scontro politico, cosa piuttosto rara quando sono in ballo temi industriali che hanno poco appeal sull’opinione pubblica generalista.

Antonio Misiani, responsabile Economia del PD, ha parlato di “ennesima conferma della gestione caotica e pasticciata delle politiche industriali” del Governo Meloni. Pur definendo Transizione 5.0 una misura condivisibile negli obiettivi, ha sostenuto che è stata “scritta male e attuata peggio”, con un carico di burocrazia che inizialmente aveva scoraggiato molte imprese.

L’opposizione ha presentato un’interrogazione parlamentare, dove si legge che la chiusura anticipata non è dovuta a un “successo” della misura, ma a un “fallimento operativo” e un “grave errore politico e strategico”. I deputati del PD ritengono “inaccettabile” che la principale misura industriale del PNRR sia stata trasformata in un “imbuto burocratico che genera sfiducia e blocca gli investimenti”.

Dal lato della maggioranza, il senatore di Fratelli d’Italia Bartolomeo Amidei ha respinto le critiche, accusando chi si lamenta di incoerenza, sostenendo che per mesi hanno chiesto di trasferire le risorse di Transizione 5.0 ad altri strumenti e ora, a fronte del “successo straordinario dello strumento”, chiedono che siano ripristinate.

Il deputato di FdI Silvio Giovine ha commentato che, una volta semplificata la misura, le imprese hanno risposto con un “tiraggio ben superiore a ogni loro aspettativa”. Giovine ha accolto con favore la nuova Transizione 5.0 prevista in Legge di Bilancio, che avrà una dotazione di 4 miliardi di euro per il 2026 e sarà “libera dai vincoli di Bruxelles”.

Che cosa succede adesso

Dopo una breve chiusura tecnica, la piattaforma del GSE è stata riaperta. È ancora possibile depositare domande fino al 31 dicembre, ma il GSE invierà una ricevuta con l’indicazione di indisponibilitàm delle risorse. Le imprese entreranno quindi in una sorta di coda. In caso di nuova disponibilità finanziaria – derivante da scorrimento o attivazione di ulteriori risorse – il GSE informerà le imprese seguendo l’ordine cronologico di invio.

E a tal proposito il Ministro Adolfo Urso ha dichiarato che il Governo è al lavoro per “recuperare ulteriori risorse” per finanziare questi progetti esclusi.

Le possibili soluzioni

Mentre le aziende che avevano già depositato la domanda non hanno nulla da temere, il nodo critico riguarda le imprese che hanno già avviato progetti di innovazione, effettuato ordini e versato acconti confidando nel credito d’imposta 5.0, ma che ancora non avevano presentato la domanda al 7 novembre.

Il rischio è che, se per il nuovo incentivo 2026 – basato sull’iperammortamento e operativo per investimenti da gennaio – venisse adottato il criterio che l’ordine deve essere successivo al 1° gennaio 2026 (come avvenuto all’avvio del piano 5.0), queste aziende rimarrebbero ingiustificatamente a secco.

Sono quattro le possibili vie di uscita. La più semplice è che il governo trovi, come ha detto Urso, risorse ulteriori per accogliere i progetti in coda. Il punto è che nessuno sa quante ne serviranno: a giudicare dalle reazioni delle imprese escluse, potrebbero non essere sufficienti “solo” alcune centinaia di milioni, ponendo un serio problema di reperimento delle risorse. Di sicuro l’idea – già paventata da qualcuno – di sottrarle all’iperammortamento 2026 non sarebbe una soluzione felice.

Un secondo gruppo di ipotesi è riversare le domande inevase sul nuovo strumento 2026. Il che potrebbe avvenire in diversi modi. Il primo sarebbe garantire alle imprese in coda una priorità sulle risorse 2026. Ma anche questa soluzione sarebbe infelice, perché cambierebbe significativamente le carte in tavola: non tutte le aziende che possono sfruttare i crediti d’imposta potrebbero beneficiare del sistema della maggiorazione degli ammortamenti. Il nuovo sistema inoltre allungherebbe, anche per le imprese eleggibili, i tempi di rientro finanziario.

Una seconda modalità sarebbe anticipare lo start del piano 2026 al 22 ottobre 2025, data in cui il Governo ha presentato il Disegno di Legge di Bilancio alle Camere. In tal modo non vi sarebbe il rischio di tradire l’effetto incentivante della misura 2026, che le imprese appunto hanno ufficialmente conosciuto il 22 ottobre, ma contemporaneamente ci sarebbero le stesse controindicazioni viste nel punto precedente e legate alla diversa tipologia di incentivo.

Ultima soluzione, che il nuovo piano resti attivo dal 1 gennaio 2026, ma seguendo le regole previste dall’articolo 109 del TUIR, cioè considerando come data di “effettuazione” degli investimenti 2026 la consegna e il collaudo e non l’effettuazione dell’ordine. In tal caso resterebbero escluse “solo” le imprese che hanno di fatto completato gli investimenti nel 2025 – come era richiesto dalla normativa attuale – e non riescono a posticipare la consegna al nuovo anno.

Come abbiamo visto, ogni soluzione presenta delle controindicazioni: non esiste una via di uscita che non abbia effetti collaterali. Qui entra in gioco la responsabilità della politica: vedremo quali saranno le scelte del governo.

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