I riformisti del Pd rompono il silenzio, e indicano la via per un centrosinistra più forte

E dunque «abbiamo voluto rompere un silenzio colpevole», dice Graziano Delrio chiudendo il convegno dei riformisti democratici che si è svolto ieri a Milano. «Stiamo dando una mano al Partito democratico», ha aggiunto. Il tono di questo primo appuntamento è stato volutamente mantenuto al di sopra delle beghe interne. Però ora il silenzio è rotto. La componente è uscita dalla tana. I riformisti si sono ritrovati con bel po’ di gente. Il sindaco Beppe Sala ha avuto parole di apprezzamento. Il senso politico dell’iniziativa sta in quattro parole pronunciate da Giorgio Gori, un po’ il padrone di casa: «No al riformismo esternalizzato», che tradotto vuol dire che il riformismo si costruisce «nel Pd, per il Pd», come ha detto Lorenzo Guerini. Dopodiché «discutere non significa spaccare», e quindi Elly Schlein non tema. La questione non è lei, ma quale profilo deve avere un partito che vuole governare il Paese.
Perché il punto è esattamente questo: «Se il consenso al governo non cala – ha spiegato Gori – è anche perché molta gente ritiene il centrosinistra non credibile». E Piero Fassino ha commentato: «L’opposizione al governo Meloni c’è, ma ad oggi non è percepita come una credibile alternativa di governo, consentendo così alla destra di proseguire in una azione di galleggiamento che condanna l’Italia alla stagnazione e all’immobilismo».
Sarà un tema da discutere per il gruppo dirigente del Partito democratico o no? Intendiamoci, nella sala dei Bagni Misteriosi nessuno ha dubbi sul fatto che in questi primi due anni di segreteria Schlein il profilo del Pd si sia marcato in un senso più radicale, alcuni dicono populista. Questo è scontato, da queste parti. Ma come contrastare questa tendenza, che pare ineluttabile stante la testardaggine della segretaria? «Anche noi riformisti siamo testardamente unitari, ma non con Conte e i Cinquestelle», ha detto Lia Quartapelle mettendo il dito nella piaga. Lo ha indirettamente chiarito Guerini: «Bisogna affrontare anche le questioni che dividono», tanto per essere chiari, «nessuna ambiguità sull’Ucraina».
Spunto su cui ha insistito un’ospite illustre, Sofia Ventura: «Io non sono del Pd, il mio voto è catturabile. Ma una coalizione con dentro un partito amico di Putin non la voterò». Molto chiaro. Per cui – ancora Quartapelle – «il Pd deve saper superare i propri limiti e quelli di un campo largo che in realtà è troppo stretto e chiuso. Siamo qui perché crediamo che un altro centrosinistra è possibile e necessario».
Un altro centrosinistra: è una parola, visti certi “compagni di strada”. Già sarebbe qualcosa se ci fosse un altro Pd, senza nostalgie, ma cercando di guardare avanti. Sui famosi contenuti. Con i tempi un po’ strozzati, si sono sentite molte cose importanti, sulla sanità (Francesco Longo, Bocconi, ha messo in evidenza alcune follie del Sistema sanitario nazionale); salari, lavoro, giovani (Tito Boeri ha per esempio proposto, oltre a riprendere il salario minimo, la fiscalizzazione dei contributi per i giovani), donne (Marianna Madia, «senza donne è inimmaginabile parlare di crescita»), scuola (Simona Malpezzi, tra l’altro, «cambiare il calendario scolastico»), contrattazione (c’era Daniela Fumarola), Intelligenza artificiale e tanto altro ancora (su YouTube c’è tutto).
Ora, l’impressione è che molti di questi materiali possono essere benissimo patrimonio di tutto il Pd. Il punto più dolente è la politica estera, oltre alla postura generale del partito: lo hanno evidenziato Elisabetta Gualmini e Walter Verini per il quale bisogna essere «testardamente credibili». Materiale gigantesco per la classica battaglia politica interna. Sapendo che riformismo non vuole dire moderazione, come avevano spiegato tanti anni fa Walter Veltroni e Romano Prodi (che tramite Sandra Zampa, che ha svolto un intervento molto sentito – ha fatto avere il suo saluto).
La domanda è se ci sia la possibilità concreta di fare una battaglia interna seria. E come si possa correggere la linea di Elly Schlein, perché non si pone il tema della sua sostituzione. Non era l’oggetto del convegno di ieri, corso via tra ottimi discorsi intervallati dallo stacchetto beatlesiano di “Revolution”. Si capirà più avanti se la pattuglia riformista avrà la possibilità di incidere. Per ora resta il monito di Pina Picierno: «Serve chiarezza anche dentro il Pd e non bisogna avere paura di fare questa chiarezza. E nemmeno dei luoghi in cui farla: i congressi si fanno per questo, per discutere della linea politica. Non abbiamo paura di discutere, di confrontarci su cosa deve essere il Pd».
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