Idrosadenite suppurativa: non solo una malattia della pelle, ma una battaglia invisibile di migliaia di italiani

Novembre 4, 2025 - 01:30
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Idrosadenite suppurativa: non solo una malattia della pelle, ma una battaglia invisibile di migliaia di italiani

L’idrosadenite suppurativa è una malattia cronica della pelle che provoca dolore, cicatrici e isolamento sociale. La diagnosi precoce e le terapie biologiche moderne migliorano la qualità di vita. Un approccio multidisciplinare aiuta i pazienti a ritrovare dignità e serenità

di Elisabetta Turra

Stare bene con il proprio corpo è un desiderio universale. Ma per chi convive con l’idrosadenite suppurativa, una malattia infiammatoria cronica della pelle che provoca noduli, ascessi, fistole e cicatrici, quel desiderio si trasforma spesso in una battaglia quotidiana contro il dolore, la vergogna e l’isolamento. Conosciuta anche come “acne inversa”, l’idrosadenite suppurativa (HS) colpisce circa l’1% della popolazione europea- in Italia si stimano oltre 60 mila persone solo nella nostra Regione – ma resta ancora una malattia poco riconosciuta e spesso diagnosticata in ritardo. La sua comparsa segna il corpo, ma ancora di più la mente: il dolore fisico si intreccia con la paura di mostrarsi, di essere giudicati, di perdere il lavoro o la propria vita sociale.

“Una malattia cronica, ma non senza speranza”

«L’idrosadenite suppurativa è una malattia infiammatoria cutanea con un decorso cronico recidivante e ingravescente – spiega la professoressa Nevena Skroza, specialista in Dermato-Venereologia alla Sapienza Università di Roma-Polo Pontino – . Ha un impatto importante sulla qualità di vita del paziente, perché provoca lesioni dolorose che si localizzano in aree molto sensibili: ascelle, inguine, zona genitale, piega interglutea o sottomammaria. Si presenta con noduli, cisti, fistole e una cicatrizzazione fibrosa che può compromettere la mobilità e la vita quotidiana».

Spesso i primi sintomi vengono scambiati per semplici infezioni o follicoliti, ma il tempo è un fattore decisivo: più la diagnosi arriva tardi, più la malattia avanza. «Il riconoscimento precoce e l’accesso tempestivo a centri specializzati restano fondamentali – sottolinea Skroza -. Oggi abbiamo finalmente strumenti terapeutici efficaci: dagli antibiotici topici o sistemici, fino ai farmaci biologici o biotecnologici, e nei casi più gravi l’approccio chirurgico». Da otto anni, spiega la professoressa, sono disponibili in Italia gli anticorpi anti-TNF alfa, ma una nuova speranza arriva da un farmaco ancora più mirato: «Da qualche mese possiamo utilizzare un anticorpo anti-interleuchina 17A, che blocca la principale citochina pro-infiammatoria alla base della malattia – racconta – inibendo l’infiammazione, questo anticorpo – oggi rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale – rappresenta un progresso importante. Ma la scelta terapeutica deve sempre considerare non solo la gravità clinica, ma anche la qualità di vita del paziente, che è spesso molto compromessa».

Chi colpisce l’idrosadenite?

Secondo il dottor Luca Fania, dirigente medico dell’IDI e docente all’Università Link Campus di Roma, l’idrosadenite non è una malattia ‘casuale’: «È una patologia multifattoriale, legata sia a fattori genetici sia ambientali. Spesso si osservano casi familiari, ma i principali fattori di rischio sono il fumo e l’obesità – spiega Fania -. Circa il 90% dei pazienti sono forti fumatori o ex fumatori, e dal 40 all’80% sono obesi o in sovrappeso. Ci sono anche correlazioni con l’insulino-resistenza e con fattori ormonali, motivo per cui è più frequente nelle donne, soprattutto dopo la pubertà”. Nonostante la sua origine complessa, le conseguenze sono sempre le stesse: dolore, infezioni, cicatrici, ma anche qualcosa di più profondo. «Le lesioni possono essere dolorose, maleodoranti, e situate in aree intime – continua Fania -. È facile capire quanto questo influisca sulla qualità di vita, soprattutto nelle donne giovani. Non si tratta solo di un problema fisico: c’è ansia, depressione, stigma sociale, imbarazzo. E nei casi più gravi, assenze dal lavoro e isolamento».

Restituire dignità, non solo cure a chi soffre di idrosadenite suppurativa

Per Fania, il trattamento dell’idrosadenite suppurativa non può limitarsi alla terapia farmacologica. Serve un approccio globale, che tenga insieme medicina e umanità. «Il nostro obiettivo non è solo curare la malattia, ma restituire dignità e qualità di vita ai pazienti – spiega -. All’IDI abbiamo da dieci anni un ambulatorio dedicato esclusivamente a questa patologia: seguiamo oltre mille pazienti provenienti da tutto il Paese, offrendo una presa in carico condivisa e personalizzata». Il modello dell’IDI si basa su un approccio multidisciplinare: dermatologi, chirurghi, nutrizionisti, psicologi, terapisti del dolore e infermieri lavorano fianco a fianco per affrontare la complessità della malattia. «La chiave è l’ascolto e la continuità – ribadisce Fania -. Il paziente deve sentirsi seguito, sostenuto, compreso. Solo così può ritrovare fiducia nel proprio corpo e nella propria vita».

Una nuova consapevolezza

Oggi, grazie ai progressi della ricerca e alla disponibilità di terapie biologiche, l’idrosadenite suppurativa non è più una condanna. Ma la sfida più grande resta quella culturale: imparare a riconoscere la malattia, parlarne senza tabù, abbattere lo stigma. «L’idrosadenite è molto più di una malattia della pelle – conclude la professoressa Skroza -. È una condizione che tocca il corpo e l’identità. Curarla significa anche ridare al paziente la possibilità di vivere serenamente con se stesso».

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