Il migliore dei Kennedy non si chiama Kennedy (e non è quello di TikTok che si candida)

Novembre 15, 2025 - 02:00
 0
Il migliore dei Kennedy non si chiama Kennedy (e non è quello di TikTok che si candida)

Il nuovo Jack Kennedy non si chiama Kennedy, il che mi fa tornare in mente quella volta che una caporedattrice mi corresse il virgolettato di un amico di John Kennedy che lo chiamava Jack perché secondo lei, che era di Roma ma si percepiva fluent, Jack era un altro nome, mica un diminutivo di John.

Il nuovo Jack Kennedy si chiama Jack Schlossberg ed è il nipote del più famoso dei Kennedy: il figlio di sua figlia, e quindi non ha il cognome, impedendoci così il giochino «quale dei due Kennedy è il più grave?».

Ma forse ci possiamo giocare lo stesso, anche se uno si chiama Kennedy e ha il nome del papà più famoso, Robert detto Bob, e l’altro si chiama Schlossberg e ha il nome del nonno più famoso, John detto Jack. Qual è il Kennedy più grave: quello repubblicano o quello democratico? Quello col verme nel cervello o quello con TikTok nel telefono?

Jack ha trentadue anni, ne dimostra cinquantadue nei segni sulla faccia e venticinque nell’eloquio, somiglia vagamente allo zio defunto, il fratello della madre, John John col cognome giusto, che morì trentottenne a fine Novecento. Quello che sarebbe la facile risposta a «qual è il Kennedy migliore?», se non avesse lo svantaggio d’essere morto.

Lo zio era bellissimo; lo Schlossberg col cognome sbagliato, benché abbia lineamenti simili, no; ma non è per questo che l’annuncio della candidatura di Jack come deputato di New York mi ha fatto venire una gran nostalgia del Kennedy che avrebbe avuto senso. È che John John sarebbe stato proprio perfetto per questi tempi qua in cui la fotogenia conta più del programma di governo, in cui il carisma è più importante delle idee, in cui sapersi giostrare i media è più importante che saper parlare. John John era un figo da ammutolire: non gli sarebbe servito altro. Le mollette sui pantaloni per non farli finire nelle ruote della bici valevano cento gif. Cindy Crawford vestita da George Washington sulla copertina del suo George era meme prima che la parola esistesse. Il povero Jack può raccontare un milione di volte che treenne fu il paggetto che portava le fedi al matrimonio di John John e Carolyn: la fighezza e il carisma mica si passano per contiguità.

È interessante che la candidatura di Jack Schlossberg arrivi subito dopo la vittoria di Zohran Mamdani, perché ho letto molte interpretazioni ubriache secondo le quali Mamdani sarebbe il segno che la sinistra vince se fa questa o quest’altra scelta programmatica. Ma per Mamdani il programma conta quanto contava per Obama: niente. Non sono vittorie di schieramenti politici: sono vittorie di personalità irreplicabili, non possono diventare modello per nessun partito, è come cercare l’erede di Silvio Berlusconi.

La candidatura, il Kennedy che non si chiama Kennedy l’ha annunciata in vecchio stile: con un’intervista alla più prestigiosa editorialista del New York Times, Maureen Dowd. Non se n’è accorto nessuno, perché i giornali sono il mondo che fu. Tutti hanno saputo della candidatura mezza giornata più tardi dal TikTok di lui, da un video in cui diceva che si candidava non perché abbia le risposte ai problemi ma perché conta che le abbiano gli elettori. Cosa potrà mai andar storto.

L’anno scorso, il Kennedy che non si chiama Kennedy aveva iniziato una collaborazione con l’edizione americana di Vogue. Non per scrivere, visto che è della generazione che considera leggere e scrivere attività da boomer, ma per fare dei video in cui commentava le notizie di politica. C’era stata una polemica sui suoi compensi, e la sua portavoce l’aveva dovuta sedare dicendo che era pagato la tariffa standard dei collaboratori, duecentocinquanta dollari ad articolo. Era una roba da mettersi a piangere, nonché la perfetta definizione di cosa non sia un lavoro: un’attività gli incassi della quale non ti permettano di pagare la portavoce che dichiara per tuo conto.

In coincidenza con l’annuncio della sua candidatura, è uscito il primo trailer del seguito di “Il diavolo veste Prada”, un film in cui nel 2006 la direttrice della rivista patinata diceva «Tutti vogliono essere noi», e vent’anni dopo ignoro cosa potrà mai dire: «Tutti ci seguono su Instagram anche se col cazzo che comprano anche per sbaglio un numero della rivista»? Nel film la rivista si chiama Runway, ma devono aver deciso che ormai il pubblico non ha abbastanza forte la percezione di cosa sia stato Vogue per capire che è quello se non glielo dici esplicitamente: nel trailer c’è “Vogue” di Madonna.

L’articolo di Dowd era titolato con la definizione, per Jack, di «social media provocateur», ma io temo che si tratti solo dell’ennesimo trentenne con un umorismo che non fa ridere (potrebbe piacere a Claudio Giunta, che ha un debole per i comici che non fanno ridere). In primavera ha fatto un video dicendo che avrebbe boicottato il Met Gala, la festa annuale di Vogue, «con tutto quel che sta succedendo nel mondo»: lo diceva mentre era inquadrato su una tavola galleggiante su dell’acqua sporca, aspettavi arrivasse il chiarimento comico che no, non arrivava mai, il video finiva senza senso com’era cominciato.

E in effetti non è che il suo successo sia travolgente: ha poco più di ottocentomila follower, che per i numeri degli influencer sono robetta; incuriosisce e ha spazio sui giornali solo perché è un Kennedy e accendersi la telecamera del telefono in faccia desta curiosità se non hai disperatamente bisogno dell’ascensore sociale e la accendi per purissimo esibizionismo.

«Il suo umorismo confonde parte del pubblico», scrive Maureen Dowd, che cita un tweet (o come si chiamano ora) in cui dichiarava d’essere l’avvocato di Justin Baldoni (un attore in polemica e cause legali con un’attrice). Dice Jack che era il suo modo di fare una battuta su una società ossessionata da delle celebrità che lui non aveva mai sentito nominare. Dico io che era un trentenne che ha troppo tempo libero e il lusso di sprecarlo dentro un telefono connesso al mondo.

E che fa dei video mezzo nudo, e dei fotomontaggi in cui la moglie di Vance ha un bambino con la faccia di Jack, e polemizza in maniera greve con l’autore della prossima serie su John John, Ryan Murphy (che ovviamente gli dà dell’omofobo), e accusa un vecchio avvocato di famiglia di aver ammazzato la moglie poi si pente, dice che si cancella dai social, e dopo una settimana torna. A domanda di Dowd, risponde: «L’internet è un attrezzo di distruzione delle sfumature: non c’è spazio per spiegare niente. Devi essere molto controverso per farti notare». C’era giusto bisogno d’un altro Trump, ma più giovane e di miglior famiglia.

Naturalmente sappiamo tutti che il migliore dei Kennedy non si chiama Kennedy, ma non si chiama neppure Schlossberg. Il migliore dei Kennedy è quel secondo cugino che ha sposato la figlia della sorella di John e Robert, Eunice, e che non potrà mai essere presidente perché non è nato in territorio statunitense, sebbene abbia dimostrato nel governare uno degli stati americani più giudizio di quanto ne abbiano fatto fin qui vedere il Kennedy col verme nel cervello e quello col TikTok nel telefono. Il migliore dei Kennedy si chiama Arnold Schwarzenegger, e quando si candidò pensavamo quello fosse declino delle élite – un culturista che fa il cinema, santo cielo – e mai potevamo immaginare che un giorno, in confronto a questi qua, ci sarebbe parso Roosevelt.

L'articolo Il migliore dei Kennedy non si chiama Kennedy (e non è quello di TikTok che si candida) proviene da Linkiesta.it.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Redazione Eventi e News