Il sogno di lasciare la città: cosa hanno scoperto (davvero) gli inglesi che si sono trasferiti durante la pandemia

Durante la pandemia, quando il mondo si è fermato, in tanti hanno iniziato a pensare alla propria vita in modo diverso. C’è chi ha rivalutato le priorità, chi ha cambiato lavoro, chi ha deciso di lasciare le grandi città per rifugiarsi in luoghi più verdi, spaziosi, silenziosi.
Nel Regno Unito, migliaia di persone hanno lasciato Londra, Manchester, Bristol, per trasferirsi in paesini costieri, borghi gallesi, villaggi di campagna.
Ma com’è andata davvero questa fuga urbana?
The Guardian ha raccolto le storie di chi ha fatto il grande passo. E oggi, a distanza di anni, molti raccontano una realtà ben diversa da quella che si aspettavano.
Il grande esodo: quando la città sembrava il problema
Tra il 2020 e il 2021, il lockdown ha ridisegnato completamente il nostro modo di vivere. Lo smart working è diventato la norma, le attività culturali si sono spente, i mezzi pubblici si sono svuotati. In molti hanno guardato fuori dalla finestra e si sono chiesti: vale ancora la pena vivere qui?
Così, dalle statistiche dell’Office for National Statistics, emerge che decine di migliaia di persone hanno abbandonato le grandi città britanniche.
Il sogno? Più spazio, aria pulita, verde, una casa con giardino, una vita più lenta.
Rachel, intervistata da The Guardian, si è trasferita da Manchester al Galles, con marito e figli. Diceva di avere “occhiali dipinti di rosa”, e immaginava una vita tra colline, natura e pace.
All’inizio è stato così. Poi, il silenzio è diventato isolamento. La mancanza di stimoli, di cultura, di interazione umana è diventata insostenibile.
Il ritorno alla città: quando il sogno si scontra con la realtà
Non sono pochi quelli che, oggi, raccontano di essersi pentiti o di essere tornati indietro.
Daniel, fotografo freelance, aveva lasciato Londra per trasferirsi nel Peak District.
Voleva luce naturale, paesaggi, tranquillità. Ma dopo due anni ha capito che l’assenza di relazioni quotidiane, di clienti, di eventi e luoghi sociali era un prezzo troppo alto.
Samira, partita da Bristol verso la Cornovaglia, racconta di non essere riuscita a integrarsi davvero nella comunità locale.
Per lei, la distanza da famiglia e amici, unita alla difficoltà nel trovare lavoro stabile, ha reso il trasferimento un’esperienza difficile.
Molti di questi racconti parlano della stessa sensazione: un’illusione iniziale seguita da una disillusione pratica.
Chi veniva da una città vibrante, con mille connessioni e possibilità, si è trovato improvvisamente in un contesto più lento, ma anche più isolato e, spesso, più difficile da decifrare per chi arriva da fuori.
Italiani a Londra: tentazioni simili, risposte diverse
Anche tra gli expat italiani a Londra, durante il lockdown si è aperto un dibattito simile.
Con lo smart working e le restrizioni, molti hanno valutato la possibilità di trasferirsi fuori città, magari acquistando una casa più economica in periferia o nel sud dell’Inghilterra.
Alcuni lo hanno fatto davvero. Hanno scelto la costa del Kent, le campagne dell’Essex o piccoli centri vicino a Brighton.
All’inizio è sembrato un sogno: affitti più bassi, passeggiate nei boschi, case più grandi.
Ma poi sono arrivati i problemi: trasporti irregolari, connessioni lente, assenza di comunità, servizi ridotti.
Per chi vive da straniero in Inghilterra, questi elementi possono pesare ancora di più.
Lontani dal supporto sociale della città, senza i ristoranti italiani, le scuole bilingui, i legami con altri connazionali, l’esperienza dell’expat rischia di diventare più fragile e solitaria.
Chi invece è rimasto a Londra, magari riorganizzando gli spazi o cambiando quartiere, racconta di aver ritrovato nel tempo una nuova normalità urbana.
La città si è riaperta, la vita è tornata, e con essa anche il bisogno di relazioni, cultura, servizi e movimento.
Cosa ci insegna questa esperienza
Le storie raccolte da The Guardian sono, in fondo, lo specchio di un fenomeno molto umano: il desiderio di cambiare, di fuggire da una condizione di stress, e la scoperta che nessun luogo è perfetto.
L’ideale della casa nel verde, del ritiro nella natura, può essere un’esperienza positiva solo se accompagnata da reali possibilità di connessione, lavorativa e sociale.
Altrimenti, si trasforma rapidamente in isolamento emotivo, disconnessione culturale e frustrazione quotidiana.
L’errore più comune, dicono molti intervistati, è stato romanticizzare il cambiamento, guardando solo agli aspetti positivi della vita rurale senza considerarne le difficoltà pratiche.
È una lezione preziosa anche per chi vive a Londra e guarda, ogni tanto, le campagne del Surrey o le scogliere del Devon con un certo desiderio.
Forse il vero equilibrio sta non nel fuggire, ma nel riposizionare le proprie priorità, nella città o fuori da essa.
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