La democrazia serba si spegne nel silenzio dell’Europa

Quello che sta succedendo in Serbia viene riportato molto sporadicamente dalla stampa italiana. L’aggiornamento più recente risale allo scorso ferragosto, quando i giornali hanno raccontato gli scontri tra la polizia e i manifestanti anti-governativi (durante i quali è stato arrestato un cittadino italiano). Prima di allora, solo lo scorso marzo c’è stata una degna copertura mediatica delle proteste serbe, complice l’utilizzo, da parte delle forze dell’ordine, di un presunto cannone sonico contro gli studenti scesi in piazza a Belgrado. Ma, nonostante questo, il tema della Serbia continua a passare sottotraccia. Un errore che rischia di ritorcercisi contro.
La protesta popolare in Serbia va avanti da quasi un anno, più precisamente dal primo novembre 2024. Quel giorno, nella città di Novi Sad, crolla il tetto della stazione cittadina, uccidendo sedici persone. Una tragedia locale, apparentemente derubricabile come semplice incidente, che però innesca una reazione della società civile. Nei giorni immediatamente successivi ai fatti di Novi Sad, i cittadini (e in particolare gli studenti universitari) scendono in piazza contro il governo – il quale si era impegnato a svolgere dei lavori di ristrutturazione della stazione ferroviaria, lavori che non sono mai stati compiuti – e contro il presidente Aleksandar Vučić, considerato il principale responsabile politico della vicenda. Ma non si tratta solo di Novi Sad.
Aleksandar Vučić è una delle figure più problematiche del panorama europeo: è il nostro principale interlocutore per l’ingresso della Serbia nell’Unione, ma è anche l’alleato formale di Mosca e Pechino (vicinanza ribadita con le sue recenti partecipazioni alle rispettive parate militari dei regimi in questione). Il suo sostegno alle autocrazie dell’Est non si limita ai comunicati istituzionali, ma si palesa nel tentativo esplicito di emulare la loro politica interna. Dal 2023, Vučić muove la sua offensiva contro i media indipendenti (cosa che ha causato le prime proteste due anni fa), e la deriva autoritaria della sua presidenza si palesa con il ricorso agli squadristi di partito per intimidire e aggredire personalità dell’opposizione. Ma questi sono solo gli esempi più celebri.
Dopo Novi Sad, la protesta ha assunto una dimensione popolare e trasversale: contro Vučić non scendono i partiti, ma un magma composto da cittadini di destra e di sinistra, filoeuropei e sovranisti, lavoratori e studenti. Questi ultimi sono i principali animatori delle barricate che, da inizio anno, occupano le strade della capitale e degli altri grandi centri cittadini, ed è per questo che sono il principale obiettivo della repressione. Non l’unico. Tra studenti e media indipendenti ci spiega la giornalista serba Marta Vesović, c’è un rapporto diretto di collaborazione: gli attivisti universitari ricorrono a testate indipendenti come N1 e Nova per ottenere la copertura mediatica delle manifestazioni (dal 2024, quasi quotidiane), bollate dalla televisione di Stato come tentativi di «rivoluzione colorata sostenuta da agenti stranieri», espressione utilizzata a più riprese da Vučić.
Questa unione di intenti ha portato a una risposta feroce da parte della presidenza. I professori che supportano gli scioperi studenteschi vengono minacciati con la possibilità di sanzioni, riduzione degli stipendi o con il licenziamento. I giornalisti che riportano la cronaca delle manifestazioni sono spesso vittime di intimidazioni verbali o aggressioni fisiche. Nel 2025, sono almeno trenta i giornalisti che hanno subito attacchi da uomini vicini alla presidenza; alcuni di questi hanno ricevuto lettere minatorie inviate alle proprie redazioni (tra queste, un messaggio anonimo che augura ai redattori di «fare la stessa fine di quelli di Charlie Hebdo», ovvio riferimento all’attentato a Parigi di dieci anni fa).
La protesta è da mesi degenerata in uno scontro aperto: gli episodi di guerriglia urbana sono numerosi e non coinvolgono solo i manifestanti e la polizia. Sono tanti i militanti del partito di governo che infiltrano i cortei e le università per aggredire gli studenti. I cosiddetti Ćaci si iscrivono nelle facoltà del Paese per tentare di spaccare il movimento studentesco, e alcuni di loro sono attualmente barricati di fronte al Parlamento serbo per evitare che i manifestanti gli si avvicinino. Ad agosto, uno di loro ha puntato la pistola contro un corteo di studenti a Novi Beograd.
Le azioni degli squadristi sono fiancheggiate dalla polizia, che nei mesi scorsi ha arrestato diverse persone coinvolte nella protesta. Un giornalista impegnato, lo scorso giugno, a documentare le proteste nel quartiere Studentski Grad (Belgrado), ci racconta di quando è stato prelevato da quattro agenti della Polizia Criminale serba, senza alcun mandato di arresto, con l’accusa di «schiamazzi e disturbo della quiete pubblica». Dopo una detenzione di ventiquattro ore, è stato rilasciato in attesa di essere portato a processo. Quattro mesi dopo, non ci sono ancora aggiornamenti dal tribunale.
La presidenza ha alzato il tiro contro i protestanti. A settembre, Vučić ha organizzato una parata militare sulla scia di quelle tenute da Russia e Cina, un atto di forza per dimostrare la potenza di fuoco del suo Stato, e ostentare un presunto supporto popolare. Nel corso della sfilata, è stata messa in scena una dimostrazione, con protagonista l’unità speciale della polizia: gli agenti hanno ricreato una situazione di pericolo sparando con le pistole a salve contro un attentatore. L’attore che ha rivestito questo ruolo indossava il gilet giallo associato ai manifestanti di piazza.
Nel frattempo, una grossa frangia degli studenti continua ad appellarsi all’Unione europea per denunciare cosa sta succedendo nel Paese, chiedendo una chiara risposta contro Vučić. L’appello è stato accolto dal Parlamento europeo, ma resta il timore che la solidarietà dell’Ue si limiti ai comunicati e che la Serbia, come già sta avvenendo per la Georgia, finisca nel dimenticatoio.
L'articolo La democrazia serba si spegne nel silenzio dell’Europa proviene da Linkiesta.it.
Qual è la tua reazione?






