La guerra dei beni congelati, l’Italia nel mirino della Russia

Ottobre 7, 2025 - 23:00
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La guerra dei beni congelati, l’Italia nel mirino della Russia

Più passa il tempo e più non sembrano esserci grosse alternative. Perché il cancelliere tedesco, a lungo dubbioso, ha finalmente detto di voler usare i soldi russi per finanziare l’Ucraina? Dopo tre anni e mezzo di guerra, il sostegno al paese aggredito dalla Russia è quasi tutto sulle spalle dell’Europa. Trump si è defilato: è disposto a fornire intelligence (anche per i missili a lunga gittata), è contento di vendere armi, ma non vuole più spendere un dollaro.

Ecco perché si guarda con sempre più insistenza al denaro di Mosca congelato in Europa — circa 200 miliardi di euro, gran parte dei quali fermi presso Euroclear, un deposito titoli in Belgio. Finora a Kiev sono stati trasferiti soltanto gli interessi generati dal capitale. Non basta più. Il dibattito si è quindi spostato sull’impiego di somme molto più grandi, senza che questo risulti formalmente un esproprio.

Tra i leader europei si sta formando un consenso per usare qualcosa che si avvicini al capitale stesso, ma restano molte esitazioni — Francia e Belgio fanno resistenza, l’Italia è guardinga — per via dei rischi legali e finanziari, tra cui le ritorsioni già annunciate da Vladimir Putin. Si aprirebbe un territorio nuovo: un’escalation di confische e contromisure, in cui il Cremlino colpirebbe gli utili di aziende occidentali (molte italiane) che non hanno mai smesso di operare in Russia.

Il prestito di riparazione

Ma prima di esaminare questi rischi, conviene capire come dovrebbero essere usati i beni di Mosca bloccati in Belgio. Si tratta per lo più di asset appartenenti alla Banca centrale russa e a oligarchi sanzionati. L’idea — secondo le proposte del cancelliere Friedrich Merz, della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e le indiscrezioni circolate tra funzionari Ue — è di usare quel denaro per un prestito di riparazione pari a 140 miliardi di euro. Le opzioni tecniche sono diverse e vengono valutate in base alla loro solidità di fronte a ricorsi legali praticamente certi.

La sostanza però cambia poco: la liquidità russa presso Euroclear (il G7 ha stabilito che le sanzioni non saranno revocate finché Mosca non avrà risarcito Kiev) verrebbe usata per comprare bond europei a tasso zero, trasferendo all’Ucraina il capitale raccolto. Mosca riavrebbe indietro il denaro solo accettando di risarcire l’Ucraina per danni di guerra — cosa altamente improbabile.

Due ostacoli: i governi europei devono garantire il prestito, e le sanzioni che bloccano i beni russi vanno comunque rinnovate ogni sei mesi all’unanimità. Ma la vera discriminante è più politica che legale o finanziaria: la volontà di sostenere fino in fondo gli ucraini, accettando rischi più grandi. L’Europa, stretta tra budget risicati e populisti in ascesa (di ogni colore), potrebbe non avere molta scelta. Francia, Germania e Regno Unito sono braccate da destre radicali accondiscendenti con Mosca. L’uso del denaro russo sarebbe una boccata d’ossigeno, con un vantaggio non da poco: l’idea piace a Donald Trump.

Le possibili ritorsioni

Ovviamente la reazione della Russia è furibonda. L’ex presidente Dmitri Medvedev ha insultato “gli euro-degenerati” che vogliono rubarsi “i nostri soldi”. Il suo principale, Putin, in tono gelido, ha promesso rappresaglie. Cosa può fare il Cremlino? Innanzitutto sequestrare la liquidità di aziende occidentali già immobilizzata nei cosiddetti ‘conti di tipo C’, aperti come risposta alle sanzioni. In questi conti sono confluiti utili, quote aziendali e dividendi. Le società madri non possono rimpatriare quei soldi senza un permesso speciale. Tutto è rimesso alla volontà dello Zar.

La cifra esatta non è nota, verosimilmente si tratta di svariati miliardi di euro. A marzo 2023, un anno dopo l’invasione, la Banca centrale russa parlava di 500 miliardi di rubli bloccati nei conti C (più di 5 miliardi di euro). Da allora non ci sono dati ufficiali. Ciò che sappiamo è che il business di molte aziende occidentali è cresciuto. Ad esempio, aziende italiane.

Che cosa rischiano le aziende italiane

The Bell, sito d’inchiesta specializzato in economia russa, ha analizzato quanto il Cremlino potrebbe sottrarre alle società italiane ancora operative in Russia. Gran parte di loro è rimasta anche dopo l’invasione (circa il 70%, secondo Vincenzo Trani, presidente della Camera di Commercio Italo-russa), e gli affari sono andati piuttosto bene. The Bell ha usato un campione di 61 aziende italiane. Fatturato complessivo nel 2024: 171 miliardi di rubli (1,7 miliardi di euro), il 37% in più rispetto ai 125 miliardi del 2021 – l’ultimo anno pre-invasione e sanzioni.

Gli utili netti delle 53 aziende con dati dettagliati nel periodo bellico, scrive The Bell, ammontano ad almeno 47,2 miliardi di rubli (470 milioni di euro). Questi sono i soldi congelati nei conti di tipo C che il Cremlino potrebbe confiscare in una notte. Considerando un’aliquota fiscale del 25%, il Tesoro russo ha già incassato oltre 12 miliardi di rubli (143 milioni di euro) in tasse.

Nessuna di queste imprese italiane sta violando le sanzioni, ma tutte rischiano di non poter mai rimpatriare i profitti maturati durante la guerra. Due aziende dominano i conti: Dkc, produttore di apparecchiature elettriche, con un fatturato di 48,1 miliardi di rubli (+76% sul 2021); e Pirelli, con 32,8 miliardi (+24%). Altri nomi: Baxi (+90%), Campari (quasi +100%), Recordati (+56%). Ogni rublo potrebbe essere sequestrato con un tratto di penna. L’Italia e l’Ue accetteranno il rischio — e il danno?

L’articolo La guerra dei beni congelati, l’Italia nel mirino della Russia è tratto da Forbes Italia.

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