La linea Meloni sull’Ucraina è quella di Salvini, non ce n’è un’altra

Agosto 30, 2025 - 20:30
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La linea Meloni sull’Ucraina è quella di Salvini, non ce n’è un’altra

Pochi giorni fa, dopo il “taches al tram” di Matteo Salvini a Emanuel Macron, mentre la stampa italiana celebrava la ben diversa postura di Giorgia Meloni, col suo ancoraggio alla solidarietà europea, ci siamo permessi di segnalare come l’informazione nazionale – non esclusivamente di fede meloniana – stesse prendendo lucciole per lanterne o, più probabilmente, costruendo per malintese ragioni patriottiche un monumento mediatico farlocco, del tutto indipendente dalle posizioni espresse da Palazzo Chigi.

Che Meloni intendesse collaborare, in posizione magari meno esposta o subordinata, all’impegno della coalition of the willing europea per le garanzie di sicurezza dell’Ucraina, era nella migliore delle ipotesi un wishful thinking e nella peggiore un bluff, neppure finalizzato a propiziare un cambio di posizione da parte del Presidente del Consiglio, semmai a dissimulare il disallineamento con i principali Paesi europei, che tutti i vertici internazionali, al di là del linguaggio diplomatico, facevano emergere con chiarezza.

L’Italia non era stata tra i Paesi dell’Unione europea che, dopo l’agguato a Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca, avevano notificato a Donald Trump che non avrebbero seguito gli Stati Uniti nel totale disimpegno dal sostegno a Kyjiv e avrebbero rotto l’unità auro-atlantica prima di abbandonare l’Ucraina al suo destino. Quello è stato il momento in cui l’accordo tra Trump e Vladimir Putin si è incrinato e in quell’occasione Meloni si è ben guardata dallo schierarsi, provando invece a gettare acqua sul fuoco, come se i dissidi fossero tutti frutto di un equivoco o di un’incomprensione.

L’Italia, pur avendo proposto di estendere l’articolo 5 dello Trattato Nato all’Ucraina, senza ingresso nel Paese dell’alleanza, si è sempre guardata dall’impegnarsi concretamente sul punto; al contrario ha detto e mille volte ripetuto che la solidarietà italiana non si sarebbe mai spinta ad autorizzare l’utilizzo di risorse e mezzi militari nazionali nelle attività di contrasto di nuove aggressioni russe in Ucraina. Il celebratissimo “lodo Meloni” è un italianissimo: “Armiamoci e partite”.

La Presidente del Consiglio, prima che Salvini si esibisse nuovamente nelle sue contumelie misogalliche – un evergreen del repertorio di Capitan Papeete, insieme alla ruffianeria pacifista di committenza moscovita – e pure prima che l’incontro a Washington successivo al vertice di Anchorage ridestasse le speranze in un processo di pace mai effettivamente avviato, dall’elezione di Trump in poi non ha fatto nient’altro che barcamenarsi tra la Casa Bianca e le cancellerie europee, fingendo di rappresentare un ponte tra le due sponde dell’Atlantico e puntando solo ad arrivare politicamente viva al momento in cui sarebbe passata la nottata di questa guerra disgraziata, non voluta e soprattutto non accettata per quella che è.

Nella serata di giovedì abbiamo avuto solo l’ennesima conferma, non certo la rivelazione, che la posizione di Salvini è quella del governo italiano. Non perché è la più forte, ma perché semplicemente non ce n’è un’altra, visto che per la destra italiana, come peraltro per la sinistra, quella all’Ucraina non è e non deve diventare una guerra europea – cioè esattamente quella che è – e deve essere trattata come una guerra regionale esplosa ai confini del vecchio impero sovietico, di cui un governo responsabile deve solo limitare di importare troppi effetti collaterali.

Le idee, quelle giuste come quelle sbagliate, presentano sempre il conto e sull’Ucraina la destra italiana – tutta, senza eccezioni – sta pagando la propria devozione sovranista e quindi naturalmente trumpian-putiniana e la propria paranoia anti-europea.

Giovedì sera, dopo uno degli attacchi russi di più vasta scala dall’inizio del conflitto sulla popolazione e sulle infrastrutture civili ucraine, il governo italiano si è riunito e per tutta risposta ha nominato ambasciatore a Mosca un diplomatico in quota Lega, si è schierata contro le iniziative dei paesi volenterosi per l’Ucraina, ha escluso per la milionesima volta un impegno militare diretto dell’Italia a garanzia della pace, anche quando questa venisse mai raggiunta – campo cavallo – e ha smentito pure l’ipotesi di missioni civili di sminamento in Ucraina da parte di militari italiani, che erano state ipotizzate nei giorni scorsi da Antonio Tajani.

Manco gli sminatori, caso mai Mosca potesse dalla loro presenza concludere che il governo italiano intenda troppo intralciare i disegni russi. Eppure – stiamone certi – la leggenda giornalistica di una Meloni filoucraina che tiene testa a un Salvini filorusso continuerà a essere raccontata.

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