La vittoria sul clima di Giorgia Meloni al Consiglio europeo

Ottobre 26, 2025 - 06:30
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La vittoria sul clima di Giorgia Meloni al Consiglio europeo

Il capitolo climatico del Consiglio europeo del 23 ottobre è terminato senza fuochi d’artificio, ma con una parola chiave in grado di legare le dichiarazioni del documento conclusivo: flessibilità. È il termine a cui Bruxelles, da un paio d’anni almeno, si sta aggrappando per soddisfare le richieste dei Paesi e delle aziende che continuano a procrastinare sugli obiettivi del Green deal, il pacchetto di norme climatiche dell’Ue che l’11 dicembre spegnerà sei candeline. 

Martedì, nella lettera sulla competitività inviata ai capi di Stato e di governo, Ursula von der Leyen ha per la prima volta menzionato un’esplicita apertura ai biocarburanti «avanzati» – settore in cui il nostro Paese è leader europeo a livello produttivo – anche dopo il 2035, anno in cui scatterà il divieto di immatricolare nuove automobili a motore termico: diesel, benzina, Gpl e ibride. Queste ultime, salvo stravolgimenti, sopravviveranno anche dopo il 2035 grazie alle deroghe sui biocarburanti e sui carburanti sintetici (e-fuel), richieste rispettivamente da Italia e Germania.

Sull’automotive, il testo finale è apparso tiepido, citando la «neutralità tecnologia» e accogliendo «con favore» tutte le recenti proposte della Commissione europea. L’esecutivo comunitario vuole anche anticipare di un anno – dalla fine del 2026 alla fine del 2025 – il processo di revisione di quello che una volta potevamo definire un phase-out dal motore termico. Ma la versione attuale mostra un obiettivo pallido e snaturato rispetto all’ambiziosa proposta iniziale, pensata per favorire la diffusione della mobilità elettrica.

Parlando di clima, il vero protagonista del Consiglio europeo è stato l’obiettivo intermedio sulla riduzione delle emissioni, presentato ufficialmente nel mese di luglio dal commissario Wopke Hoekstra. Per rispettare il target, l’Unione europea dovrà tagliare la produzione di gas climalteranti del novanta per cento – rispetto ai livelli del 1990 – entro il 2040. 

Negli ultimi trentacinque anni, l’Ue ha ridotto le sue emissioni di circa il trentasette per cento (e il Pil è aumentato del sessantotto per cento), imboccando la strada giusta per centrare l’obiettivo del -55 per cento entro il 2030. Per raggiungere la neutralità carbonica al 2050, però, è fondamentale mettere nero su bianco un nuovo target, quello – appunto – al 2040. Farcela significa evitare le conseguenze più gravi del cambiamento climatico e consegnare alle future generazioni un pianeta quantomeno vivibile. 

Alla vigilia del Consiglio europeo, rivolgendosi al Senato, Giorgia Meloni ha chiarito la posizione del suo governo: «Il nuovo obiettivo intermedio al 2040 dovrà essere accompagnato da chiare e definite “condizioni abilitanti”, ovvero strumenti che consentano di raggiungere gli obiettivi senza compromettere irrimediabilmente l’economia europea, a vantaggio, peraltro, di un numero sempre più alto di concorrenti strategici a livello globale, che fanno salti di gioia di fronte alle follie verdi che ci siamo autoimposti e che vogliamo continuare ad autoimporci». 

La presidente del Consiglio, che ritiene il Green deal la causa di gran parte dei problemi della nostra economia, si riferiva a una specifica clausola di flessibilità del target al 2040: quella che consente il ricorso a crediti internazionali di carbonio «di alta qualità», che permettono di finanziare progetti sulla riduzione delle emissioni in Paesi extra-Ue (spesso in via di sviluppo). A partire dal 2036, gli Stati membri potranno acquistare crediti di carbonio fino a un massimo complessivo pari al tre per cento dell’obiettivo finale. Bruxelles, quindi, non considererà soltanto la riduzione interna delle emissioni, che potrà fermarsi al -87 per cento: una piccola parte del risultato (il tre per cento, appunto) potrà essere coperta grazie alle emissioni risparmiate attraverso progetti green (piani di riforestazione, per esempio) finanziati e realizzati fuori dall’Unione europea.

L’obiettivo di Giorgia Meloni è passare dal tre al cinque per cento, soprattutto per dare un senso ai progetti previsti dal Piano Mattei per l’Africa. Le indicazioni politiche contenute nel testo finale del Consiglio europeo, pur senza specificare numeri precisi, vanno nella direzione auspicata da Roma e influenzeranno profondamente l’operato dei ministri dell’Ambiente dei Ventisette. 

Il Consiglio – si legge nel documento – «sottolinea l’importanza di prendere in considerazione il contributo realistico degli assorbimenti di carbonio allo sforzo complessivo di riduzione delle emissioni, tenendo conto delle incertezze legate agli assorbimenti naturali e facendo in modo che eventuali carenze non vadano a discapito di altri settori economici». L’uso dei crediti di carbonio era già previsto nella proposta originaria annunciata a luglio. Si tratta quindi di un passaggio che lascia intendere un’apertura all’incremento dal tre al cinque per cento. 

Il Consiglio ha genericamente ribadito l’urgenza di definire «un livello adeguato di crediti internazionali di alta qualità», un passaggio fondamentale per evitare le truffe dei crediti di carbonio fantasma, associati a progetti esteri poco concreti o addirittura dannosi per gli ecosistemi e le comunità locali. Greenwashing puro, insomma, che la Commissione dovrà contrastare con un piano preciso e rigoroso da presentare nel 2026. 

Un altro elemento che piace a Meloni, sempre in riferimento al target intermedio, è il riferimento alla «necessità di una clausola di revisione, alla luce delle più recenti evidenze scientifiche, dei progressi tecnologici nonché delle sfide e delle opportunità in evoluzione per la competitività globale dell’Ue». Nei fatti, la clausola di revisione legittimerà qualsiasi modifica al ribasso dell’obiettivo al 2040, criticato anche da Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. Il populismo climatico della destra europea ha ormai raggiunto le istituzioni comunitarie. 

Ogni dettaglio verrà stabilito il 4 novembre, giorno in cui la presidenza danese ha convocato una riunione straordinaria dei ministri dell’Ambiente di Paesi Ue. Il primo punto in agenda sarà la definizione della clausola di revisione menzionata nel testo finale del Consiglio europeo. Il secondo sarà l’imminente Cop30 sul clima, in programma nell’Amazzonia brasiliana dal 10 al 21 novembre. 

Al momento, Bruxelles non ha ancora presentato il suo piano di mitigazione climatica (Nationally determined contribution, in gergo) per il 2035, come previsto dall’accordo di Parigi del 2015. Un ritardo che è stato parzialmente colmato da una dichiarazione di intenti sulla riduzione delle emissioni: tra il -66,25 per cento e il -72,5 per cento (rispetto al 1990) entro il 2035, nell’ottica di centrare il target del -40 per cento di emissioni al 2040.

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