Lavoro e salute in UK: la crisi del “worklessness” costa 6 miliardi l’anno alle imprese

Novembre 5, 2025 - 16:30
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Lavoro e salute in UK: la crisi del “worklessness” costa 6 miliardi l’anno alle imprese

Il Regno Unito si trova di fronte a una crisi silenziosa, ma di proporzioni enormi. Mentre l’economia mostra segni di rallentamento e la produttività fatica a ripartire, un numero crescente di cittadini in età lavorativa si ritira dal mercato del lavoro a causa di problemi di salute fisica e mentale.
Questa “worklessness crisis”, come l’ha definita un recente rapporto del governo britannico, sta diventando una delle sfide più complesse e costose per la società britannica: secondo lo studio, risolverla costerà alle imprese almeno 6 miliardi di sterline all’anno, ma non affrontarla rischia di costare molto di più.

Un Paese che non lavora più

Secondo l’Office for National Statistics (ONS), oltre 9 milioni di adulti britannici in età lavorativa risultano oggi “economicamente inattivi”, ovvero non lavorano e non cercano un impiego. Di questi, circa 3 milioni dichiarano di essere impossibilitati a lavorare per problemi di salute di lunga durata.
In pratica, un adulto su cinque nel Regno Unito si trova fuori dal mercato del lavoro — il livello più alto degli ultimi vent’anni.

Il fenomeno, che era già in crescita dopo la pandemia, ha assunto proporzioni allarmanti. Le aziende denunciano difficoltà a reperire personale qualificato, i servizi pubblici registrano costi in aumento e il sistema sanitario, già in crisi, deve gestire milioni di persone che si ammalano, si licenziano o non riescono a tornare al lavoro.

Il rapporto Keep Britain Working Review, commissionato dal governo e redatto da Sir Charlie Mayfield (ex presidente di John Lewis Partnership), stima che il costo complessivo per l’economia britannica superi gli 85 miliardi di sterline l’anno in termini di produttività persa, spese sanitarie e sussidi.

“Abbiamo bisogno di un nuovo patto tra imprese, lavoratori e Stato”, scrive Mayfield nel documento. “La salute non può più essere solo una questione privata o medica: è una responsabilità condivisa, economica e sociale.”

Quando la salute diventa un ostacolo al lavoro

Alla base di questa crisi c’è un cambiamento profondo. Negli ultimi cinque anni, i disturbi di salute mentale — stress, ansia, depressione, burnout — sono diventati la principale causa di assenza prolungata dal lavoro nel Regno Unito.
La pandemia ha accelerato un processo già in corso, ma la crisi non riguarda solo l’aspetto psicologico.

Le liste d’attesa del NHS (National Health Service) hanno raggiunto livelli record: più di 7,8 milioni di personeaspettano trattamenti, molte delle quali per problemi muscoloscheletrici o cronici che impediscono di lavorare.
Nel frattempo, le cure riabilitative e di supporto mentale sono sempre più difficili da ottenere, specie per i lavoratori autonomi o precari.

Il risultato è un circolo vizioso: le persone si ammalano, smettono di lavorare e faticano a rientrare nel mercato, mentre le aziende devono affrontare un crescente tasso di assenteismo e cali di produttività.

“Il Regno Unito non ha solo un problema economico, ma un problema di salute pubblica travestito da crisi del lavoro”, osserva il Guardian. “E senza un cambio di approccio, la situazione rischia di peggiorare.”

L’intervento di Sir Charlie Mayfield

Per affrontare la crisi, il governo ha affidato a Sir Charlie Mayfield il compito di individuare soluzioni pratiche e sostenibili. Il suo rapporto propone una riforma radicale della salute sul lavoro, basata su una logica di prevenzione e responsabilità condivisa.

L’obiettivo non è solo ridurre le assenze, ma creare una cultura del benessere che coinvolga attivamente i datori di lavoro.
Secondo Mayfield, “ogni azienda deve considerare la salute dei propri dipendenti come parte integrante della propria produttività”.

La proposta chiave è l’espansione massiccia dell’occupational health, cioè la medicina del lavoro. Oggi solo una minoranza delle imprese britanniche — circa il 45% — offre programmi di prevenzione o supporto psicologico ai dipendenti. Il piano Mayfield prevede che tutte le aziende, grandi o piccole, siano obbligate a fornire un servizio di salute aziendale certificato.

Il costo? Tra 5 e 15 sterline al mese per dipendente, per un totale stimato di 6 miliardi di sterline all’anno a carico delle imprese.

Mayfield propone inoltre di integrare i servizi aziendali con il sistema sanitario pubblico: le visite e i referti dovrebbero essere collegati digitalmente alla NHS App, così da evitare burocrazia e ridurre la dipendenza dai certificati di malattia tradizionali (fit notes).

Le aziende pilota e il ruolo del settore privato

Il piano Mayfield non resta solo teoria. Il governo ha già coinvolto oltre 60 aziende britanniche in un programma pilota per sperimentare nuovi modelli di benessere aziendale.
Tra i nomi più noti figurano Tesco, British Airways e Nando’s, che stanno introducendo programmi strutturati di supporto psicologico, fisioterapia preventiva e check-up digitali collegati al sistema sanitario nazionale.

L’obiettivo è ridurre il numero di giorni di malattia, migliorare i tassi di ritorno al lavoro e prevenire gli abbandoni a lungo termine.
Le imprese che aderiscono potranno beneficiare di incentivi fiscali sotto forma di crediti d’imposta o detrazioni per ogni dipendente iscritto ai programmi di occupational health.

Il Department for Work and Pensions (DWP), in collaborazione con la NHS England, mira a estendere il modello in tutta la Gran Bretagna entro il 2027.
Il governo ha dichiarato che le misure saranno calibrate in modo da non penalizzare le piccole e medie imprese, che costituiscono oltre il 99% del tessuto produttivo britannico.

“Investire nella salute dei lavoratori significa investire nella salute dell’economia,” afferma Rachel Reeves, Cancelliere dello Scacchiere. “Ogni sterlina spesa in benessere aziendale ne fa risparmiare tre in costi sanitari, turnover e produttività persa.”

Per approfondire il progetto governativo: Keep Britain Working Review – Gov.uk.

Le reazioni del mondo imprenditoriale

Le grandi imprese accolgono con favore l’idea di una collaborazione più stretta tra sanità pubblica e aziende. Tuttavia, non mancano le preoccupazioni: molte piccole realtà temono che i costi aggiuntivi possano essere insostenibili in un periodo di inflazione persistente e di aumento del National Insurance, la contribuzione previdenziale a carico dei datori di lavoro.

Secondo la Confederation of British Industry (CBI), il piano Mayfield è “ambizioso ma necessario”. Tuttavia, il successo dipenderà dalla capacità del governo di garantire agevolazioni fiscali e strumenti pratici per le aziende più fragili.

“Non possiamo scaricare tutto sulle imprese,” ha dichiarato un portavoce della CBI. “Serve un partenariato reale, dove anche lo Stato contribuisca a finanziare la salute dei lavoratori.”

Nel frattempo, il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) ha confermato che intende pubblicare nuove linee guida sul workplace wellbeing, orientate a una maggiore prevenzione.
Il documento sarà consultabile entro la fine del 2025 su nice.org.uk.

Il contesto politico e il nodo NHS

Il piano Mayfield arriva in un momento delicato per il governo britannico. Con il Budget autunnale alle porte, la cancelliera Reeves si trova a bilanciare la necessità di rilanciare l’economia con quella di contenere la spesa pubblica.
Il Labour, tornato al potere dopo anni di austerità conservatrice, vuole presentarsi come il partito che “riporta gli inglesi al lavoro” (Back to Work Agenda), ma la crisi del National Health Service rimane il principale ostacolo.

Le liste d’attesa del NHS, che oggi superano le 7,8 milioni di persone, limitano l’accesso alle cure e rallentano il ritorno al lavoro dei pazienti.
Per questo il governo intende integrare le aziende nel sistema sanitario: non per sostituire il NHS, ma per alleggerirne la pressione.

La proposta di Mayfield prevede infatti una connessione digitale tra i servizi di salute aziendale e la NHS App, così da creare una rete unica di diagnosi e monitoraggio, riducendo la burocrazia e i tempi di intervento.
Ulteriori dati ufficiali sull’inattività economica nel Regno Unito sono disponibili sul sito dell’Office for National Statistics: ONS – Economic Inactivity Data.

Le conseguenze sociali di una crisi invisibile

La worklessness crisis non è solo un problema economico, ma anche culturale.
Il lavoro resta una delle principali fonti di identità e integrazione nella società britannica: perdere la possibilità di lavorare significa spesso perdere autostima, indipendenza e rete sociale.

Il Guardian parla di una “crisi del benessere collettivo”, in cui la salute mentale e fisica dei lavoratori è diventata un riflesso dello stato di salute dell’intero Paese.
Le persone più colpite sono i giovani tra i 18 e i 35 anni, spesso intrappolati in lavori precari o gig economy, e le donne, che rappresentano la maggioranza dei nuovi casi di inattività per motivi di salute.

Le conseguenze si riflettono anche sul welfare: più assenze, meno contributi, più spesa pubblica.
Secondo il rapporto Mayfield, se la tendenza non verrà invertita, entro il 2030 l’inattività per motivi di salute potrebbe costare oltre £100 miliardi all’anno, con un impatto strutturale sull’economia nazionale.

“Non si tratta di spingere le persone a lavorare a ogni costo,” scrive Mayfield. “Si tratta di creare le condizioni perché possano farlo in modo sano, sostenibile e dignitoso.”

Un cambio di mentalità necessario

Londra e le grandi città britanniche sono al centro di questa trasformazione. Dopo la pandemia, molte aziende hanno adottato il lavoro ibrido e politiche di flessibilità, ma spesso senza affrontare il tema del benessere psicofisico.
Secondo il British Psychological Society, il 41% dei dipendenti londinesi dichiara di sentirsi “cronicamente stanco o demotivato”, mentre il 27% teme che ammettere un problema di salute mentale possa compromettere la propria carriera.

La nuova visione proposta da Mayfield — e sostenuta dal governo — mira a cambiare questa cultura, rendendo la salute un tema condiviso e non stigmatizzato.
Si tratta di un passo importante verso una “human economy”, dove le persone vengono viste non solo come risorse, ma come esseri umani la cui produttività dipende anche dal benessere.

Il futuro del lavoro britannico

Il successo del piano Mayfield dipenderà dalla sua capacità di conciliare economia, etica e salute pubblica.
Se funzionerà, il Regno Unito potrebbe diventare un modello internazionale nel campo del workplace wellbeing. In caso contrario, il rischio è quello di un sistema produttivo sempre più fragile, con milioni di cittadini esclusi non per scelta, ma per necessità.

In un Paese che sta ancora facendo i conti con le conseguenze del Covid, dell’inflazione e del declino dei servizi pubblici, il lavoro resta la chiave della ripresa — ma deve tornare a essere un luogo di equilibrio, non di esaurimento.

Come conclude il Guardian, “fixing worklessness isn’t about forcing people back to work — it’s about creating the conditions for everyone to live and work well.


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