New Indie Italia Music Week #243

Ottobre 1, 2025 - 09:00
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New Indie Italia Music Week #243

“Don’t go wasting your emotion
Lay all your love on me

It was like shooting a sitting duck
A little small talk, a smile, and baby, I was stuck
I still don’t know what you’ve done with me”

(Abba – Lay All Your Love On Me)

Non sprecare le tue emozioni: lasciale scorrere come accordi che non conoscono riposo, come un ritornello che ritorna ostinato a bussare al cuore. La musica indie italiana di questa settimana nasce proprio da qui, da chi ha avuto il coraggio di mettere in gioco sentimenti troppo grandi per restare in silenzio. Ogni brano è un invito a lasciarsi sorprendere, a farsi catturare da un dettaglio minuscolo – una parola sussurrata, un suono che vibra nell’aria – e a scoprire che, a volte, l’amore e la fragilità possono essere la scommessa più luminosa.

Il male (Album)

Undici brani che rappresentano uno dei lavori più crudi e diretti della band, in cui il tema del dolore viene esplorato in tutte le sue sfaccettature. In un presente dominato dall’apparenza, che offre risposte facili e poche domande, e che ci spinge a nascondere il nostro lato oscuro dietro immagini perfette e ingannevoli, si intravede un futuro fatto di frustrazione, rabbia e odio destinati a diventare la norma nei rapporti e nella vita di ogni giorno.

Al centro c’è il Male: la band lo interroga, lo ascolta, lo affronta. Perché ignorarlo non significa cancellarlo, ma alimentarlo. Difendono l’imperfezione e l’incoerenza come parte integrante della natura umana, riconoscendo nella fragilità e nella fallibilità un tratto comune che ci unisce.

E lo fanno nel modo che conoscono meglio: suonando, senza bisogno di retorica. The Zen Circus conservano l’eterogeneità che da sempre definisce il loro suono e la loro direzione artistica: energia dirompente, testi rapidi e diretti, un alternarsi di brani taglienti e ballate intense.

Zen Circurs: 7.5

Da Dio

Il brano segna un nuovo capitolo nel percorso artistico del cantautore, sempre più impegnato nella ricerca di un linguaggio musicale personale, capace di unire radici e modernità. “Da Dio” non è un addio, ma la consapevolezza di un legame che cambia e si trasforma, fino a diventare irriconoscibile.

“‘Non è addio, ma ci somiglia, si nasconde dietro un gioco di parole solo per non affrontarne le conseguenze. Vuole essere carezza, sempre. È anche la speranza che ‘da dio’ sia come starai tu, domani”, racconta Nico Arezzo.

Ogni strumento del pezzo è stato registrato presso gli studi Fonoprint di Bologna, il brano si distingue per la sua delicatezza emotiva e per un sound che rimane cifra stilistica dell’artista, arricchito da testi autentici e personali. Dopo la seconda strofa, la produzione si apre a nuove dinamiche sonore, senza mai perdere l’intimità di un addio che nessuno ha il coraggio di pronunciare.

Nico Arezzo: 7.5

9.11

Una voce distorta ma vellutata, quasi un sussurro, accompagnata da una chitarra doom, cruda e scura, avvolge l’ascoltatore fin dalle prime note, proiettandolo in un’atmosfera notturna, cupa e intima, capace di affondare dritta nel cuore dimenticato della provincia.
È proprio da quella provincia che arrivano i Satantango – duo formato da Valentina Ottoboni e Gianmarco Soldi – il luogo dove sono nati, cresciuti e che più volte hanno sognato di lasciare, ma da cui hanno scelto di non fuggire. Una provincia che, pur nella sua dimensione soggettiva, si rivela universale: ogni periferia, con le sue peculiarità, racchiude sentimenti comuni. Anche quella che ricorda un villaggio smarrito in una terra grigia, fangosa e desolata, simile a quella del film ungherese del 1994 da cui la band ha preso il nome.

Interamente scritto, composto e prodotto dal duo, 9.11 si apre con il passo lento e penetrante dello slow-core, fino a esplodere in un ritornello che richiama le tinte del dream pop e dello shoegaze, attraversato da un’ironia dolceamara e da una malinconia sognante e disincantata. Con questo brano, i Satantango raccontano i contraddittori e vibranti Anni Venti contemporanei.

Il risultato è un tessuto sonoro costruito con cura e raffinatezza, dove si intrecciano i mondi musicali che hanno segnato la crescita del duo. Nei brani riaffiorano immagini e suggestioni: i lampi dell’infanzia e dell’adolescenza, condensati in una canzone che diventa treno all’alba, desiderio di toccare il fondo, manifestazioni e feste notturne, incontri segreti, conflitti familiari. Tutto trasformato in suono, memoria e racconto.

Satantango: 7

Un letto per tre

Nel poker, spesso esiste una sola puntata davvero giusta. Allo stesso modo, Lumiero ci guida con la sua voce dentro il grande casinò dell’amore, dove tra attese e colpi di scena la posta in gioco è altissima e il cuore non può che rischiare l’all-in.

Il brano, dal passo calmo ma determinato, racconta una conquista nata dalla promessa di un amore intenso e totalizzante. Con la sua voce calda e magnetica, Lumiero accompagna l’ascoltatore in un crescendo emotivo intessuto di sentimento e delicatezza: una canzone italiana sensuale e intima, capace di parlare a chiunque abbia sognato, almeno una volta, di essere scelto a dispetto di tutto.

Lumiero: 7

Bambi

“BAMBI” nasce in studio nel 2023 dapprima come un freestyle, per dare espressione ai pensieri più profondi di KARAKAZ. Rimasto chiuso in un cassetto fino a poco tempo fa, prende nuova vita grazie al lavoro a quattro mani con l’amico e produttore GIGI (TORBA). “BAMBI” è un flusso di coscienza incosciente, istintivo e viscerale, uno sfogo diretto in cui l’artista riversa riflessioni e immagini senza usare filtri, come colpi dati a un muro con la voce. Non c’è un tema univoco, ma piuttosto una raccolta di ciò che lo infastidisce, tra ironia e amarezza, con l’obiettivo primario di liberarsi attraverso la musica.

Sul piano sonoro, “BAMBI” rappresenta un punto di rottura e di rinnovamento: se fino a oggi KARAKAZ si è mosso tra alternative rock e industrial, con questo brano si apre a contaminazioni elettroniche inesplorate, anticipando un’evoluzione che porterà la sua musica verso territori ancora più sperimentali, fuori da qualsiasi schema logico. “BAMBI” segna dunque l’inizio di un nuovo capitolo, in cui la ricerca sonora e personale dell’artista continua ad evolvere senza compromessi.

Karakaz: 7

11.09

L’uomo, ogni giorno ha la possibilità di prendere decisioni e di scegliere dove stare vagando tra torto e ragione. In alcune situazioni questa linea di confine non solo è labile, ma è un percorso che unisce le due sponde trasformando la strada in un percorso curvilineo e ricco d’incroci, nel quale si può anche cambiare direzione da un momento all’altro.

La nuova canzone di Santoianni nasce dalla convinzione che la storia e la morale stabiliscano cosa sia giusto e sbagliato al di là di ogni possibile atto di fede, religioso, politico o sociale, e si scontra con il fenomeno del terrorismo. Chi si fa esplodere, sacrificando se stesso all’altare della violenza, è davvero sicuro di quello che sta facendo? Quale amore, estremo e folle, lo porta verso ogni forma di distruzione?

Da questa prospettiva, vuol dire indagare su chi siamo noi, ma soprattutto si viene stimolati a capire e chiedersi chi sono gli altri e cosa vivono veramente. (Nicolò Granone)

Santoianni:8,5

Rally

Correre o scappare sono le due direzioni che sfruttano la velocità durante una relazione tra due persone. Si rischiano incidenti quando il rapporto non è regolato da giusti segnali.

“Non voglio più che mi prendi la mano, solo perché ti sarò vicino. Farò un rally tra le tue curve” Dorso schiaccia la frizione, cambia continuamente marcia, con la consapevolezza che quando si va troppo forti si sta facendo qualcosa di pericoloso, mentre quando si rimane bloccati in coda ci si annoia guardando sempre lo stesso panorama.

Questo è un brano che sa sa di  traiettorie pericolose, spirito adolescenziale, amore per il punk rock californiano, la fissa per i Neptunes e i giorni passati a provare i trick con lo skate.                                                                                                                                                                                                                                  (Nicolò Granone)

Dorso: 7

GEISHA

Malincuore con questo brano crea la sospensione di un momento, l’attimo prima che succeda qualcosa di altamente sconvolgente oppure è l’esaltazione della calma che c’è dopo, quando tutto ormai è stato.

C’è l’aspettativa che pian piano cresce e s’impadronisce della realtà, svuotandola allo stesso tempo della sua forma più vivida e sensibile. Sul punto più alto, quando ormai si è raggiunto un certo climax, inizia a nascere un sentimento di nostalgia per una situazione che ormai si è già trasformata in un ricordo amaro, che sta andando via rimanendo ferma nel passato.

Lo sfondo elettronico ampia questa sensazione di sospensione, e forse la bellezza sta proprio in quell’istante, nel quale ancora tutto è possibile                 (Nicolò Granone)

Malincuore: 7,5

puoi sempre confidare nelle formule

La società vorrebbe che ogni persona obbedisse a formule o algoritmi, riuscendo così a tenere tutto sotto controllo, trasformando il mondo in una macchina perfetta, dove non sarebbe possibile nessuno sbaglio. Gli errori poi si devono aggiustare, portano quindi via tempo e risorse che potrebbero essere impiegate in maniera diversa e senza sprechi.

“puoi sempre confidare nelle formule”, di LENORE è un brano di protesta e di lotta che nasce dall’esigenza di esprimere un punto di vista che si può distaccare dalla massa, e che sia orientato non all’omologazione ma al rispetto della diversità come valore e non debolezza. Anche il suono sembra arrivare da un sottobosco tutto da esplorare, che si scosta dalle solite quattro note. In questo mosto testo e canzone trovano la giusta amalgama, aumentando la potenza espressiva di questa volontà di far sentire la propria voce, esprimendosi artisticamente.                                                                                                                      (Nicolò Granone)

LENORE: 7,5

Ritratti

“Ho un altro disco invernale, ma non è Disco Inverno; Non sarà il disco dell’anno, ma è ciò che ho dentro”: così Mecna ci catapulta ancora una volta nel suo mondo più intimo. “Ritratti” è il primo singolo estratto dall’album “Discordia, armonia e altri stati d’animo”, in uscita il 24 ottobre. E quale brano migliore poteva rappresentare la sua nuova direzione artistica? “Ritratti” è più di una canzone: è una valvola di sfogo, uno stream of consciousness senza filtri né limiti. Un pezzo in cui l’artista si mette completamente a nudo.
Tutto si basa su esperienze dirette e richiami personali: i regionali per tornare a casa, Viale Colombo, gli amici e la scuola. Eppure, tutti con i nostri ricordi possiamo immedesimarci nel suo passato, rendendolo nostro. Nel raccontarsi, l’artista non usa mezzi termini: è schietto, diretto, dritto al punto; così, fa i conti con sé stesso e con ciò che ha da dire. Non è casuale, infatti, la scelta di chiudere il brano con il sample di “Fantasmi” di Ghemon: “Perché niente è tanto personale che non si può raccontare”.
(Sara Vaccaro)

Mecna: 8+

Aznavour

Parte con un piano malinconico, continua con una sonorità decisamente più vivace e simpatica: questa è “Aznavour” di Amalfitano, un pezzo dalle mille sfumature che anticipa l’album “Sono morto x 15 giorni ma sono tornato perché l’amore è”.
Ci sono canzoni che racchiudono un mare di cose, e La Bohème di Charles Aznavour è una di queste: ricordi di grandi amori, ma anche di grandi delusioni. Arrivi, partenze, addii, che si mescolano creando una perfetta evasione dalla realtà. “Sai, il mondo può finire in un minuto”. Il tempo passa, le cose cambiano, ma nulla ci impedisce di fermare gli attimi e goderci ogni istante. Non importa quanto sia triste il capolinea: possiamo sempre festeggiare un amaro finale cantando Aznavour.
(Sara Vaccaro)

Amalfitano: 7,5

Quante lacrime

Quando le relazioni terminano, lasciano sempre cicatrici difficili da rimarginare: la malinconia ci pervade nelle notti senza sonno, i ricordi tornano a pungere e la sofferenza esplode in pianti improvvisi e disperati. Nel suo nuovo singolo “Quante lacrime”, Anna and Vulkan vuole affrontare in modo autentico e personale il suo dolore, sottolineando quanto la fine di una storia d’amore, seppur tossica, possa ferirci nel profondo.
Nonostante il peso del testo, nato dal bisogno di raccontarsi di un cuore spezzato, l’artista non vuole abbandonare le sonorità mediterranee che la contraddistinguono: così, mentre le sue parole ci pugnalano, l’arrangiamento, caldo e vivace, fa da cerotto per tutti i tagli. Queste emozioni contrastanti si mescolano, creando un pezzo che è al tempo stesso veleno e cura.
(Sara Vaccaro)

Anna and Vulkan: 8

All Of My Life I’ve Been Dreaming About The Sea

“All Of My Life I’ve Been Dreaming About The Sea” è il debutto solista di Lillo Morreale, un viaggio che intreccia elettronica ambient e strumenti della tradizione mediterranea, definendo un suono che l’artista stesso chiama “Elettronica Mediterranea”.
Anticipato dai singoli “Ni Persimu” e “Nivuru Munnu”, il disco alterna brani in dialetto agrigentino a tracce puramente strumentali: la fusione fra il timbro antico delle parole e degli strumenti popolari crea un universo sospeso in uno spazio (che forse potremmo associare ad un’ “isola”) temporale indefinito, eppure bellissimo. Tra baglama, saz e lotar si sviluppa così un linguaggio ibrido che è evocativo e profondamente identitario. Non mancano le suggestioni cinematografiche e letterarie – da Tarkovskij a Hemingway – che creano un immaginario che unisce passato e presente in un continuum visivo e poetico che ben incorniciano un progetto che conosce bene il fatto suo.
(Ilaria Rapa)

Lillo Morreale: 9

Fuori il rumore

Con “Fuori il rumore” Costa conferma la sua capacità di reinventarsi e di fondere mondi diversi: non a caso, per l’appunto, l’artista romano sceglie di riarrangiare i brani dell’EP insieme a personalità artistiche diverse tra loro. Ed ecco che Erica Mou, Bianco, Mille e Marco Guazzone arricchiscono il disco aggiungendo colori e sfumature tutte nuove.
La chitarra elettrica è pulita, la voce e il quartetto d’archi fungono da ponte tra il mondo della musica classica e quella più contemporanea e alternativa. Il risultato è un EP che sembra sospeso, capace di unire la delicatezza simile a quella di Jeff Buckley con la malinconica intensità dei Radiohead, senza mai però perdere un’impronta personale. Un lavoro che lascia trasparire quanto la musica significhi anche “legame” e in cui ogni brano è cucito assieme dalle mani di chi la musica la vive a 360 gradi.
(Ilaria Rapa)

COSTA: 8,5

Giorni di gloria

Con Giorni di gloria EDDA firma un ritorno che suona come una dichiarazione d’intenti: niente compromessi, niente scorciatoie, solo rock allo stato grezzo. Dopo anni di deviazioni, l’artista milanese sceglie di riallacciarsi alle sue radici più istintive, con la complicità di Luca Bossi, già produttore di Graziosa utopia e Fru fru.
Il brano non è solo un esercizio di stile, ma un manifesto esistenziale. Nelle sue strofe EDDA non cerca redenzione né consolazione: canta la necessità di affrontare paure e peccati, senza provare a sottrarsi. La vita, sembra dirci, continua comunque, che si scelga di frenarla o di lasciarla correre.
L’ascolto è ruvido e sensuale, a tratti spiazzante. L’artista intreccia immagini quotidiane e surreali, il padre e il figlio, un fatto di cronaca, un’amica dal cognome tedesco che parla romagnolo, con quella sua ironia tagliente che sfida i codici della narrazione tradizionale. È l’arte di dire “tutto e niente”, che da sempre rende EDDA inclassificabile.
Giorni di gloria non è un singolo accomodante, né vuole esserlo. È piuttosto il segno che EDDA continua a muoversi fuori dal coro, scegliendo la sincerità scomoda e l’urgenza rock come cifra della propria scrittura. Una prova che conferma quanto la sua voce resti unica nel panorama italiano: disturbante, poetica, libera.
(Viola Santoro)

EDDA: 7,5

Il tuo nome

C’è un momento, quando si ascolta Il tuo nome, in cui sembra di trovarsi sospesi tra il dolore e la tenerezza. Le rose e il deserto sceglie di raccontare la perdita non con toni enfatici, ma con la delicatezza di chi sa che nominare qualcuno che non c’è più è già un atto d’amore.
Ripetere un nome diventa un piccolo rito: un modo per accorciare la distanza, per ritrovare per qualche secondo la presenza di chi è andato via. E allora la canzone si trasforma in un viaggio immaginato, in un capodanno che torna, in una storia che si ricuce anche solo per un attimo.
In questo spazio sospeso si inserisce la voce di Gnut, che porta con sé il calore della tradizione napoletana e la profondità di un cantautorato che guarda lontano. Il duetto non è mai forzato: sembra piuttosto un dialogo intimo, due voci che si cercano per condividere lo stesso peso e la stessa speranza.
Il tuo nome non è un brano consolatorio, ma una carezza ruvida: parla della paura di crescere, del vuoto che resta quando non si è più figli e non ci si sente ancora adulti. È una canzone che non risolve, ma accompagna. E forse è proprio questo il suo dono: permettere a chi ascolta di camminare dentro l’assenza senza sentirsi del tutto solo.
(Viola Santoro)

Le rose e il deserto Gnut: 8

AL BUIO SENZA DI TE

C’è un silenzio che arriva dopo la fine, un buio che sembra non lasciare scampo. È lì che nasce Al buio senza di te, il nuovo singolo di Schiuma con Ganzo: una canzone che non ha paura di fermarsi davanti all’assenza e di darle un suono.
La voce di Schiuma si muove con delicatezza, come chi ha imparato a convivere con le ferite. Non esplode, non urla: resta vicina, quasi confidenziale, e proprio per questo entra sottopelle. Dentro le sue parole si ritrovano l’eco dei ricordi, il peso delle parole mancate, la nostalgia che continua a tornare.
Ganzo avvolge questo racconto con una produzione rarefatta, sospesa, che accompagna senza sovrastare. È un paesaggio sonoro che amplifica l’intimità del brano, trasformando la mancanza in un luogo da attraversare e, forse, in cui ritrovarsi.
Al buio senza di te è una canzone che parla di solitudine ma lascia intravedere la possibilità di una forza nuova. Non consola, non promette scorciatoie, ma accompagna chi ascolta nella parte più fragile di sé, ricordando che anche nel buio può nascere qualcosa di luminoso.
(Viola Santoro)

Schiuma feat Ganzo: 7,5

Marea

Con “Marea” gli Allerta! segnano un passo verso nuove direzioni sonore: lo spazio è piú sperimentale, i cori hanno una presenza massiccia e l’introduzione di synth ed effetti di eco dà al brano una dimensione più avvolgente.
È un brano che pulsa, vuole scuotere e lo fa attraverso l’uso del contrasto, usando l’energia del rock e le distorsioni elettroniche.
“Non conosco una sola persona disposta a cambiare la propria idea.” È una constatazione amara: l’ostinazione, l’ego e la chiusura mentale di rimanere fermi sulle proprie idee.
Gli artisti riconoscono queste dinamiche dentro sé, ma parlano a tutti, spesso tutti noi facciamo fatica ad accettare consigli e cambiare.
“Marea” è un pezzo che spinge la band ad uscire dalla propria zona di comfort e a confrontarsi con le proprie contraddizioni
(Benedetta Rubini)

Allerta!: 8,5

Impareremo A Perdere

Con “Impareremo a perdere”, gli Elephant Brain anticipano il nuovo album Almeno per ora, confermando la loro impronta midwest emo in cui si intrecciano chitarre taglienti e atmosfere intime.
Il testo affronta la difficoltà di abitare il presente e la fragilità dei rapporti: “impareremo a perdere” diventa un mantra di resistenza più che di resa, un modo per accettare la caduta senza smettere di cercare senso.
Il ritornello “impareremo a perdere con la vita che volevi fare” è un nucleo potente: suggerisce che perdere non è solo perdere l’altro, ma perderci una versione di sé, la vita che si desiderava.
Non si parla solo di relazioni, ma di una generazione che cerca di sopravvivere imparando anche dalle sconfitte.
(Benedetta Rubini)

Elephant Brain: 8

Giorni Contati

Con “Giorni Contati”, Provinciale propone un singolo che gioca con il tempo come tema centrale: tre minuti in cui il passare dei giorni diventa un debito che grava, in una sovrapposizione tra l’urgenza esistenziale e l’abitudine quotidiana.
Il passo della canzone non è frettoloso: lascia respirare le parole, permette che le immagini prendano forma e che la malinconia emerga.
“Un punto debole può diventare esclamativo.” Questa frase è tagliante, fragilità e forza sono sullo stesso piano, anche le debolezze possono trasformarsi in punti di forza.
Giorni Contati” è un singolo che conferma la capacità di Provinciale di saper fondere malinconia e semplicità.
(Benedetta Rubini)

Provinciale: 7,5

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Redazione Redazione Eventi e News