Non chiamateli anziani: la ricchezza della longevity economy, che la politica non ha ancora capito

Ottobre 24, 2025 - 23:31
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Non chiamateli anziani: la ricchezza della longevity economy, che la politica non ha ancora capito

Mentre la politica si concentra su crisi a breve termine, una trasformazione demografica ed economica epocale è già in atto. L’invecchiamento della popolazione non è un problema, ma un mercato emergente che vale miliardi. Dati, studi e proiezioni mostrano come la silver economy sia la vera grande sfida per le istituzioni del nostro Paese

L’Italia è uno dei Paesi più longevi al mondo. Un dato spesso letto in chiave negativa, come peso per la spesa pensionistica e sanitaria. Ma i numeri raccontano un’altra storia: quella di una longevity economy vibrante, un’economia generata dai bisogni e dai consumi di una popolazione matura, attiva e con un forte potere d’acquisto.

Infatti, questo fenomeno sta cambiando tutto, dal mercato del lavoro alla progettazione delle nostre città, lanciando un appello urgente a politica e istituzioni: serve una strategia nazionale per non trasformare un’opportunità storica in un’occasione persa.

Come la longevity economy sta riscrivendo il futuro (e perché l’Italia è al centro di tutto)

C’è un gigante economico che si muove silenziosamente tra le pieghe della società italiana, un mercato tanto vasto quanto trascurato dal dibattito pubblico.

Non si tratta di una nuova tecnologia o di un settore industriale emergente, ma di una forza trainata dal più inesorabile dei fattori: il tempo. È la longevity economy, ovvero l’insieme di tutte le attività economiche legate ai bisogni e ai desideri delle persone con più di 50-60 anni.

Mentre telegiornali e governi si affannano a commentare dati congiunturali, la struttura demografica del nostro Paese – e del mondo occidentale – sta subendo una mutazione profonda e definitiva.

L’Italia, con la sua popolazione tra le più anziane del globo, non è solo spettatrice di questo cambiamento, ma ne è il laboratorio a cielo aperto. Ignorare il potenziale economico di questa rivoluzione grigia non è più un’opzione. È un lusso che non possiamo permetterci.

Cos’è davvero la longevity economy e quanto vale

Per troppo tempo, il concetto di anziano è stato associato a quello di fragilità, spesa sanitaria e peso per la collettività. La longevity economy ribalta questa prospettiva. Non si parla di assistenza, ma di mercato.

Si tratta di un segmento di popolazione che, secondo recenti studi della Commissione europea, già oggi in Europa è composto da oltre 200 milioni di persone e controlla una quota significativa della ricchezza e dei consumi.

Questi nuovi senior non sono una massa passiva. Sono consumatori attivi, viaggiano, utilizzano la tecnologia, investono nel proprio benessere, acquistano case e servizi, si prendono cura di sé e della propria famiglia.

Secondo il Rapporto Censis del 2023, in Italia gli over 65 rappresentano già il 24,1% della popolazione, una percentuale destinata a salire vertiginosamente. L’Istat, nelle sue proiezioni demografiche, prevede che nel 2050 gli over 65 saranno il 34,9%, più di un italiano su tre.

Ma il dato più interessante è quello economico: la ricchezza detenuta da questa fascia di popolazione è mediamente superiore a quella delle generazioni più giovani.

Si tratta di un potere d’acquisto consolidato, meno volatile e orientato a beni e servizi di qualità. La longevity economy, quindi, non è un settore di nicchia, ma un asse portante dell’economia che include sanità e benessere (la cosiddetta silver health), turismo, tecnologia assistiva (age-tech), servizi finanziari e assicurativi, edilizia (con la richiesta di case più accessibili e sicure), cultura e tempo libero.

L’evoluzione inarrestabile: i dati che disegnano il futuro

I numeri non mentono e descrivono una tendenza inequivocabile. La Silver Economy in Europa, stando a uno studio della Oxford Economics commissionato dalla Commissione europea, valeva già 4.300 miliardi di euro nel 2015 e si stima possa raggiungere i 6.400 miliardi entro il 2025, creando decine di milioni di posti di lavoro.

L’Italia, per la sua peculiare struttura demografica, è l’epicentro di questo fenomeno. Le implicazioni sono profonde. Pensiamo al mercato del lavoro: l’invecchiamento attivo implica la necessità di ripensare le carriere, favorendo il reskilling e la flessibilità per i lavoratori senior, il cui bagaglio di esperienze rappresenta un valore e non un costo.

Il concetto di pensione come fine della vita produttiva è superato. Sempre più persone, dopo l’età pensionabile, desiderano rimanere attive, avviare piccole imprese, dedicarsi al volontariato o a lavori part-time. Questa transizione richiede un quadro normativo e fiscale che la incentivi, anziché ostacolarla.

Un altro ambito di evoluzione è quello urbano e abitativo. Le nostre città, progettate su un modello adultocentrico, sono spesso ostili a una popolazione che invecchia.

Marciapiedi dissestati, mancanza di ascensori, servizi distanti: sono tutte barriere che limitano l’autonomia e la partecipazione sociale. La longevity economy spinge verso un nuovo paradigma urbanistico, quello delle age-friendly city, città amiche degli anziani, con più spazi verdi, trasporti accessibili, servizi di prossimità e soluzioni di co-housing che favoriscano l’interazione sociale e la mutua assistenza.

La risposta necessaria: cosa devono fare politica e istituzioni

Di fronte a una trasformazione di tale portata, l’inerzia di politica e istituzioni è il rischio più grande. Continuare a considerare l’invecchiamento solo come una voce di costo nel bilancio dello Stato significa perdere il treno del futuro.

Serve un cambio di mentalità, seguito da una strategia nazionale organica. L’Ocse, nel suo report Promoting an Age-Inclusive Workforce, ha già delineato diverse aree di intervento prioritarie.

In primo luogo, è necessario un ripensamento del welfare. Il sistema sanitario deve spostare il suo focus dalla cura delle acuzie alla prevenzione e alla gestione della cronicità, potenziando la telemedicina e l’assistenza domiciliare.

Questo non solo migliora la qualità della vita, ma è anche economicamente più sostenibile. Le politiche pensionistiche devono diventare più flessibili, permettendo uscite graduali dal mondo del lavoro e incentivando la permanenza di lavoratori esperti.

In secondo luogo, bisogna stimolare il mercato. Servono incentivi fiscali per le aziende che investono in prodotti e servizi per la terza età, dalla domotica alla nutrizione personalizzata.

È fondamentale sostenere la nascita di startup nel settore age-tech e promuovere l’adeguamento delle infrastrutture, sia pubbliche che private. L’edilizia residenziale, per esempio, potrebbe essere rivoluzionata da sgravi per chi ristruttura la propria abitazione in ottica di accessibilità.

Infine, è cruciale una grande operazione culturale. Le istituzioni devono combattere l’ageismo, la discriminazione basata sull’età, promuovendo una visione positiva dell’invecchiamento.

Questo si traduce in campagne di sensibilizzazione, ma anche in programmi intergenerazionali che favoriscano lo scambio di competenze e il dialogo tra giovani e senior.

Un recente studio del Centre for Ageing Better nel Regno Unito ha dimostrato come le aziende con team intergenerazionali siano più innovative e produttive. La politica ha il dovere di creare le condizioni affinché questo potenziale venga liberato.

La longevity economy non è una teoria per il futuro, è la realtà economica del nostro presente. L’Italia ha la straordinaria opportunità di trasformare la sua sfida demografica nel suo più grande vantaggio competitivo, diventando un hub europeo per l’innovazione in questo campo.

Per farlo, però, servono visione, coraggio e, soprattutto, una strategia. Progettare oggi le politiche per la longevità significa costruire le fondamenta di una società più giusta, inclusiva e, in definitiva, più ricca per tutte le generazioni.

Crediti immagine: Depositphotos

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