Perché conviene un cambio di regime in Iran

Ottobre 25, 2025 - 00:30
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Perché conviene un cambio di regime in Iran

Questo è un articolo del numero di Linkiesta Magazine 02/25 – “Tempi Impazziti”, ordinabile qui.

L’operazione militare di Israele e Usa “Rising Lion” si è conclusa dopo soli dodici giorni e ha rappresentato l’ultimo tassello del ridimensionamento radicale dell’influenza della Repubblica Islamica dell’Iran nell’intero Medio Oriente. 

L’Iran aveva raggiunto, al di fuori di ogni legalità internazionale, un livello di arricchimento dell’uranio intorno al sessanta per cento, sufficiente per la costruzione di diverse testate nucleari che, unitamente al proprio programma di costruzione di missili balistici, rappresentava una minaccia esistenziale per Israele. 

Israele ha dunque promosso un’azione militare nei confronti di un regime che non ha mai nascosto l’intenzione di voler «estirpare il cancro sionista» con ogni mezzo possibile. 

Accanto all’azzeramento della catena di comando militare del regime di Teheran, l’operazione “Rising Lion” ha colpito novecento obiettivi fra basi di lancio missilistiche, sistemi di difesa aerea, aeroporti, centri di produzione bellica e infine con gli attacchi ai siti di Natanz, Arak e Isfahan che hanno drasticamente ridotto le capacità del regime di Teheran di arricchimento dell’uranio. 

La Guerra dei Dodici Giorni è stato l’ultimo capitolo della distruzione di quell’Asse della Resistenza, finanziato e armato da Teheran, che sembrava fino a pochi mesi fa inattaccabile: la cancellazione di Hamas, con tutti i suoi leader eliminati e oramai ridotta a una banda criminale con in mano solo più la carta degli ultimi ostaggi israeliani; l’attacco ibrido ai quadri di Hezbollah con la manomissione degli strumenti personali di comunicazione e l’eliminazione dell’intera catena di comando dell’organizzazione terroristica a partire dal suo leader Hassan Nasrallah; e la caduta del regime siriano di Bashar Assad e la sua fuga a Mosca; hanno mutato in modo radicale il panorama geopolitico del Grande Medio Oriente. 

Ma il regime degli Ayatollah ha fatto di più: ha sequestrato un intero Paese e un’in tera generazione, sacrificandola sull’altare dell’esportazione sistematica di terrorismo e instabilità in tutta la regione: armi e risorse ad Hamas, Hezbollah, Bashar Al Assad e Houthi, che per vent’anni hanno depauperato in modo drammatico le risorse del Paese. 

L’inflazione insostenibile, l’economia a pezzi, le infrastrutture decadenti, i continui black-out di gas ed elettricità, sono il risultato del sostegno ad avventure belliche fallimentari lungo quella Mezzaluna Sciita che oggi non esiste più. 

Come sostiene tutta la variegata opposizione in esilio, dai due Premi Nobel Shirin Ebadi e Narges Mohammadi; alle donne intellettuali come Masih Alinejad, Azar Nafisi, Ladan Boroumand; ai monarchici nostalgici dello Shah; ai Mujahideen del Popolo; alle minoranze etniche di Curdi, Beluci e Arabi del Khuzestan, è tempo di lavorare seriamente a un cambio di regime. 

E le opposizioni, nella loro frammentazione e nella loro diversità, concordano tutte su un punto: le differenze fra i cosiddetti “riformisti” del presidente Masoud Pezeshkian e gli ultraconservatori della guida suprema Ali Khamenei non sono rilevanti in un Paese dove praticamente tutto il potere è accentrato nelle mani della guida religiosa e nelle organizzazioni militari dei Guardiani della Rivoluzione. 

Un cambio di regime in Iran non è solo giusto, ma è anche conveniente. 

Conviene agli iraniani, da quarantasei anni sequestrati da un regime che odia le donne e ogni diversità, che nega ogni diritto fondamentale, che ha investito risorse illimitate all’esportazione del terrore impedendo lo sviluppo del Paese, che abusa dello strumento della pena di morte, che tortura i dissidenti, che massacra le ragazze per un velo portato in modo non consono. 

Conviene all’Ucraina, all’Europa e all’Occidente. Sono già ventottomila i droni iraniani Shahed (martire, in farsi) lanciati dall’esercito russo sulle truppe e sulle città dell’Ucraina, e la partnership strategica politica e militare fra Teheran e Mosca è oggi uno degli architravi su cui poggia l’avventura bellica di Vladimir Putin: Iran e Russia condividono intelligence e un’intensa attività di produzione bellica nell’impianto di Alabuga in Tatarstan, nel quale ogni giorno vengono prodotti centinaia di nuovi droni, pronti per essere utilizzati contro i civili in tutta l’Ucraina. Istruttori iraniani hanno addestrato i soldati russi nel lancio e gestione dei droni Shahed. 

Il crollo del regime a Teheran indebolirebbe l’azione bellica della Russia in Ucraina e rappresenterebbe un vantaggio strategico per l’Europa e l’intero Occidente. 

Conviene ai Paesi arabi del Golfo. Senza l’Iran, il regime di Bashar al Assad in Siria non sarebbe sopravvissuto a lungo e con esso la lunga scia di mezzo milione di vittime civili, torture, massacri insieme a uno dei più grandi esodi di profughi degli ultimi decenni, con l’aumento della pressione migratoria verso l’Europa. Il Libano non avrebbe metà del proprio territorio sequestrato da un’organizzazione terroristica (Hezbollah). 

L’Iran è il nemico principale degli Accordi di Abramo, quella formidabile intesa che evocando nel suo nome il patriarca Abramo, Avraham, riconosciuto da tutte le tre religioni monoteiste, ha avviato una nuova stagione di pace nell’intero Medio Oriente, con i primi accordi siglati fra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco. Senza dimenticare che solo poche settimane fa l’aviazione della Giordania ha intercettato nel proprio spazio aereo decine di missili balistici iraniani e droni diretti verso le città dello stato di Israele. 

Conviene a Israele, che ha diritto a vivere in sicurezza, senza un regime che progetta in modo sistematico il suo annientamento. Hamas, Hezbollah e Houthi senza il sostegno politico, finanziario e militare dell’Iran semplicemente non sarebbero mai esistiti, e il 7 ottobre è stato realizzato dalle milizie di Hamas della Striscia di Gaza, ma pensato e progettato a Teheran. 

Ma cosa può fare la comunità delle democrazie per sostenere un cambio di regime in Iran? Molto. 

Primo. Favorire il coordinamento fra le varie opposizioni, che spesso rifiutano di dialogare fra loro, e facilitare una forma di coordinamento in grado anche di promuovere un embrione di Governo in esilio. L’idea di un incontro fra tutte le anime dell’opposizione iraniana al Parlamento europeo, lanciata recentemente sul Foglio da Pina Picierno, potrebbe essere un primo ed efficace passo in tal senso. 

Secondo. Sostenere con più decisione le varie opposizioni dotandole di strumenti efficaci di comunicazione, promuovendo anche una o più radio libere con trasmissioni in lingua Farsi, a cominciare da un finanziamento europeo di Radio Free Europe/ Radio Liberty che già oggi trasmette in farsi ed è a rischio di chiusura dopo l’interruzione dei finanziamenti da parte dell’amministrazione Trump. 

Terzo. Sostenere l’insorgenza delle minoranze etniche: ad arabi del Khuzestan, beluci e curdi, oggi duramente oppressi dal regime degli Ayatollah, va offerta la prospettiva di uno stato federale e democratico. 

Quarto. Il 16 settembre ricorre l’anniversario della morte di Mahsa Amini, la ragazza curdo-iraniana arrestata dalla polizia della virtù e della morale, con l’accusa di portare il velo in modo inappropriato, e per questo torturata e massacrata di botte in prigione. Dovremmo fare di quella giornata un momento di mobilitazione per i diritti e la democrazia in Iran e in sostegno a un cambio di regime nella Repubblica Islamica.

Questo è un articolo del numero di Linkiesta Magazine 02/25 – “Tempi Impazziti”, ordinabile qui.

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