Non solo rinnovabili, serve investire nella rete elettrica: in Ue 400 miliardi di euro al 2030

Agosto 20, 2025 - 03:30
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Non solo rinnovabili, serve investire nella rete elettrica: in Ue 400 miliardi di euro al 2030

Nel suo ultimo minibook, la fondazione Utilitatis parla di prezzi negativi dell'elettricità, della espansione delle rinnovabili e della necessità di investimenti giganteschi nella rete elettrica in Europa. Si parte dai prezzi negativi dell'energia elettrica. Fenomeno in aumento in Europa, che nel 2024 ha registrato oltre 4.000 ore con prezzi dell’elettricità pari a zero o addirittura negativi nel mercato day-ahead, quasi il doppio rispetto agli anni precedenti. In Paesi come Finlandia, Svezia, Olanda e Germania, il fenomeno ha assunto proporzioni rilevanti, con valori negativi presenti rispettivamente per l’8%, 7% e 5% dell’intero anno.  Si tratta di valori percentuali ancora bassi, ma in crescita e in alcuni casi rilevanti.

prezzi negativi utilitatis

Questo fenomeno comincia a manifestarsi anche in Italia con sempre maggiore frequenza. A maggio 2025, il Prezzo unico nazionale (Pun) ha toccato valori prossimi allo zero per molte ore consecutive, per la prima volta in modo simultaneo su tutte le zone del Paese. Si tratta di un evento inedito che evidenzia come i prezzi nulli o bassissimi stiano diventando strutturali anche nel contesto italiano. Basti pensare che il solo mese di maggio ha già concentrato oltre il 50% delle ore con Pun inferiore a 1 €/MWh rispetto all’intero 2024, quando si erano registrate solo 15 ore con simili valori (si veda il grafico seguente).

media pun gen lug 2025

Fenomeno bizzarro per i non esperti e di per sé poco intuitivo, ma che rappresenta l'effetto economico dei momenti in cui l'offerta di energia, specie da fonti rinnovabili, eccede la domanda, e quindi di fatto viene "regalata" piuttosto che non produrla. In realtà scatta anche il meccanismo dello stop alla produzione, il cosiddetto "curtailment" per cui un produttore di energia rinnovabile ferma automaticamente la produzione nei momenti di eccesso di offerta e viene remunerato lo stesso dalla tariffa, con una quota fissa che è generalmente molto minore rispetto al valore del Pun, comportando comunque un risparmio complessivo rispetto alla produzione a gas.

Di per sé il fenomeno potrebbe avvantaggiare ulteriormente i consumatori, se capaci di adattare le proprie attività ai momenti di prezzo bassi (demand response) o di accumulare elettricità tramite batterie proprio in quei momenti. Anche se non sempre l 'abbassamento del prezzo si ribalta davvero nella bolletta, in quanto dipende dal tipo di contratti, e naturalmente se un consumatore sceglie profili tariffari che registrano i prezzi negativi si prende anche tutti gli “spikes” in altro.

Lo stesso fenomeno è rischioso invece per i produttori e per i loro bilanci e piani di investimenti, troppo rischiosi e fronte di scenari di possibili prezzi negativi: da qui l’utilità di promuovere la diffusione di contratti a lunga durata a prezzo fisso, come previsto da Ppa o anche dai Cfd.

In ogni caso il mercato elettrico sta evolvendo rapidamente sia sul lato dell'offerta, con una crescente penetrazione delle fonti rinnovabili discontinue, sia sul lato della domanda, con una crescente elettrificazione dei consumi (mobilità elettrica, pompe di calore) spesso concentrata in alcuni momenti della giornata. Bilanciare questo mercato è sempre poi difficile e il rischio di crisi e black out aumenta. La soluzione? Rendere la rete di distruzione più flessibile e resiliente, aperta alla produzione distribuita e discontinua, più capace di stoccare e più digitale. Ma anche modificare le strategie dei consumatori, specie quelli energivori. 

Si stima che adattare la rete elettrica europea alle nuove esigenze di questo mercato in trasformazione necessiti di investimenti per 400 miliardi di euro entro il 2030, ovvero nei prossimi 5 anni. Una cifra gigantesca, ma non lontana da quanto spende annualmente la Ue per importare combustibili fossili (376 miliardi di euro nel solo 2024). Certo non è corretto fare semplicemente questo confronto. L'import di gas e carbone è un costo operativo annuale che si ribalta in bolletta elettrica solo per la quota destinata alla produzione di elettricità (circa il 40%). Lo stock di investimento necessario per adeguare la rete è invece un costo di capitale che impatterebbe sulle bollette per la quota annuale di ammortamento e remunerazione del capitale. 

Ma si può ragionevolmente dire che se dimezzassimo i costi di import di fossili (peraltro già adesso in calo) si libererebbero risorse per l'investimento nella rete, che sarebbe così in grado di assorbire in sicurezza una offerta di fonti rinnovabili discontinue, come previsto dai target europei di decarbonizzazione al 2040 e 2050. Insomma l’investimento nella modernizzazione della rete elettrica è strategico, per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione: quello che adesso rappresenta un collo di bottiglia per lo sviluppo delle rinnovabili potrebbe diventare un asset fondamentale per il loro sviluppo e ottimizzazione nel mix energetico.

Acclarato che la diffusione delle fonti rinnovabili permette di abbattere drasticamente i costi all’ingrosso dell’elettricità – l’Agenzia europea dell’ambiente informa che, per l’Italia, raggiungere gli obiettivi al 2030 permetterebbe di tagliare tali costi di due terzi –, restano da mettere in campo le modifiche di market design che saranno indispensabili per accompagnare il processo e ridurre il costo delle bollette, ad esempio facendo spazio ai già citati contratti a lungo termine a prezzo fisso

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia