Perché i dischi si chiamano «vinili»? Risponde la Crusca

Ottobre 12, 2025 - 06:30
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Perché i dischi si chiamano «vinili»? Risponde la Crusca

Tratto dall’Accademia della Crusca

Vinile è un sostantivo nato nell’àmbito della chimica, formato sulla base del latino vīn(um) ‘vino’ con l’aggiunta del suffisso -ile. La derivazione da vīn(um) si spiega col fatto che, in chimica, il vinile è un radicale monovalente derivato, tramite la sottrazione di un atomo d’idrogeno, proprio dall’etilene, il radicale dell’alcol etilico contenuto nel vino. Il suffisso -ile (dal francese -yle, a sua volta dal greco hýlē ‘materia’; cfr. GRADIT) è piuttosto comune nella nomenclatura della chimica organica, in particolare nella classificazione di gruppi alchilici come, ad esempio, metile, etile, propile, butile (cfr. Claudio Giovanardi, Formazione delle parole nelle terminologie tecnico-scientifiche, in Grossman-Reiner 2004, pp. 580-584). Per il significato tecnico-scientifico di ‘radicale derivato dall’etilene per perdita di un atomo d’idrogeno’, il DELI indica come data di prima attestazione il 1963, citando come fonte Bruno Migliorini (Appendice al Dizionario moderno di Alfredo Panzini, Milano, Hoepli, 1963), ma aggiunge che è “certo retrodatabile se vynil è entrato in inglese fin dal 1863 [in Henry Watts, A dictionary of chemistry and the allied branches of other sciences, 1863-1868, vol. I; cfr. OED, s.v. vynil]”. Basta infatti una rapida ricerca tra i testi in lingua italiana digitalizzati su Google libri per retrodatare vinile almeno al 1866:

Queste due ipotesi sono quella del vinile […] e quella dell’acetile […], se nelle seguenti esposizioni noi prendiamo l’aldeide acetica a mo’ d’esempio. (Ugo Schiff, Sopra una nuova serie di basi organiche, in “Giornale di scienze naturali ed economiche”, II, 1866, p. 240)

Stando sempre al DELI, sono attestati a partire dal 1938: cloruro di vinile “gas incoloro che polimerizza per dare resine viniliche” (retrodatabile almeno al 1870: Emmanuele Paternò, Considerazioni sopra gli acidi della serie acrilica, in “Il nuovo cimento. Giornale di fisica, chimica e storia naturale”, a. II, vol. III, p. 17), l’aggettivo vinilico (ma cloruro vinilico è già presente nel sopracitato articolo di Ugo Schiff del 1866) e la locuzione resina vinilica “materia plastica ottenuta per polimerizzazione di sostanze contenenti vinile”. Proprio quest’ultima, la resina vinilica, è il materiale di base con cui vengono realizzati i dischi fonografici o a microsolco, comunemente detti dischi in vinile o, meno di frequente, di vinile (espressioni in cui è sottinteso un verbo: ‘fatti (di)’, ‘realizzati (in)’); tuttavia, anche questa dicitura non sarebbe propriamente corretta.

Nel 1877 Thomas Edison inventò il fonografo, che registrava il suono su cilindri, ma fu Emile Berliner, dieci anni più tardi, a introdurre il disco piatto, più pratico e resistente. I primi dischi, prevalentemente realizzati in gommalacca, erano fragili e producevano rumori di fondo. Negli anni Trenta, la RCA Victor, società di Berliner, sperimentò i primi dischi realizzati con una resina vinilica basata sul cloruro di polivinile (PVC), più resistenti e con qualità audio superiore. Nel 1948 la Columbia Records lanciò negli Stati Uniti il “33 giri”, seguito dal “45 giri” della RCA nel 1949: tali formati sancirono il successo del disco in vinile, che perdurò fino agli anni Ottanta. Quindi, quando si parla di disco in vinile, si fa riferimento all’uso del PVC come materiale di base per la realizzazione del disco, anche se il termine corretto dal punto di vista chimico sarebbe disco in/di resina vinilica. Va però precisato che l’uso di vinile per ‘resina vinilica’ è presente anche nel linguaggio comune e registrato dalla lessicografia odierna.

Veniamo ora alla prima domanda dei lettori: è corretto l’uso di vinile per ‘disco in vinile, disco fonografico’? Tutti i dizionari consultati (Devoto-Oli online, Zingarelli 2025, Sabatini-Coletti 2024, GRADIT, GDLI) registrano tale accezione. Nel significato chimico, il sostantivo vinile entra nei vocabolari italiani a partire dagli anni Sessanta (ad esempio, lo Zingarelli lo registra per la prima volta nell’edizione “minore” del 1966, e precisamente nell’Appendice che comprende, appunto, “voci nuove”), ma è solo tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila che alla voce vinile i dizionari aggiungono il significato estensivo di ‘disco’ (Zingarelli 1994: “est. disco fonografico”; Devoto-Oli 2002/03: “estens. disco fonografico in vinile: i cultori del v.; certi pezzi preferisco ascoltarli su v.”). La registrazione nella lessicografia presuppone che l’uso da parte dei parlanti sia certamente precedente; e, infatti, troviamo prime, sporadiche attestazioni nei quotidiani nazionali già tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta:

Adesso finalmente Fred, abbronzato, il viso da indio rilassato, tutto in azzurro ha potuto tenere a battesimo il suo disco particolare, doppio indivisibile, tiratura limitata (circa 5000 copie) prezzo elevato (sulle 12.000 lire) dove l’effigie di Fred è stampata direttamente sul vinile, è il primo picture disc italiano. (Adele Gallotti, Le musiche di Bongusto per Bel Ami di Maupassant, “La Stampa”, sez. Spettacoli, 2/6/1979, p. X)

Il nuovo 33 giri porta stampato sul vinile il ritratto di Fred Bongusto. (Con Bongusto c’è anche il fotodisco, “Corriere della Sera”, sez. Spettacoli, 11/6/1979, p. 14)

«Soddisfazione garantita, per favore specificare»: il tono del banditore Neil Young si faceva sempre più oscuro, come quello di un vinile messo a velocità sbagliata su un piatto che perde colpi; […]. (Emio Donaggio, ROCK CITY STORY delirante avventura tra magie, duelli e massacri, “La Stampa”, 12/8/1983, p. 19)

Si tratta di un fenomeno linguistico abbastanza ricorrente nella lingua italiana, sia quella comune che quella letteraria: la metonimia (dal greco metōnymía ‘scambio di nome’; cfr. Beccaria 1994, s.v. metonimia). Tale figura retorica consiste nella sostituzione di un termine (o entità) con un altro che ha con esso una certa relazione di contiguità. A differenza della metafora, che si basa su un rapporto di somiglianza, la metonimia si basa su un rapporto reale e concreto tra i due termini: materia-oggetto (“abbassa il ferro” anziché “abbassa la pistola”, “i sacri bronzi” per indicare le campane, “il visone” per la pelliccia), strumento-persona (“il primo violino dell’orchestra è bravissimo” anziché “il violinista principale è bravissimo”), contenitore-contenuto (“bevo un bicchiere”), luogo/produttore-prodotto (“beviamo un Chianti, guido una Ferrari”), autore-opera (“ascolto Mozart, possiede un Van Gogh”), simbolo-cosa designata (“non tradire la bandiera”), ecc. La metonimia è uno dei tanti meccanismi che favoriscono l’arricchimento del vocabolario di una lingua: può accadere, infatti, che alcune metonimie entrino a far parte a pieno titolo del lessico di una lingua.

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