Piantine che ci fanno bene in tutte e quattro le stagioni

Dente di leone, piscialetto, cicoria selvatica, dente di cane, pisciacane, grugno di porco, ingrassaporci. Sono tanti, e non sempre lusinghieri i nomi popolari del tarassaco. Eppure, è legato a un’immagine poetica, spesso usata nell’arte come simbolo di tutto ciò che è tanto bello quanto fragile: il soffione, con i suoi piccoli semini pronti a disperdersi nel vento. Da qui l’usanza antica e popolare di soffiarlo via esprimendo un desiderio, affidando all’aria i desideri, i sogni e le speranze, e il suo significato nel linguaggio dei fiori: fede nei desideri.
Nelle campagne, una volta, i soffioni erano anche un segnatempo, se volavano via facilmente si prevedeva vento; se restavano fermi, si attendeva la pioggia.
Nella realtà, il Taraxacum officinale è una pianta erbacea perenne, ovvero l’ennesima erbaccia di successo che, una volta strappata, conviene portare in cucina e non nella compostiera. Dell’erbaccia ha tutte le caratteristiche: è estremamente resistente, si adatta ai terreni poveri, all’inquinamento urbano e alle condizioni climatiche più variabili e cresce fino ai duemila metri di quota. Per questo dai luoghi di origine, Europa e Asia, si è diffusa nel mondo.
La sua capacità di colonizzare nuovi spazi, tuttavia, la rende una specie utile nell’arricchimento del terreno, grazie alle sue radici che smuovono e aerano la terra in profondità. Inoltre, i suoi fiori sono tra i primi a offrire polline e nettare agli insetti in primavera, in particolare ad api e farfalle, e molte specie di uccelli e piccoli mammiferi si nutrono dei suoi semi e delle sue foglie.
È anche una piantina elegante, protagonista degli erbari, che nel corso del tempo ha saputo conquistarsi le attenzioni di botanici, erboristi, cuochi amanti delle ricette della tradizione e chef creativi.
Nel suo nome c’è la sua storia. Tarassaco deriva dal greco taraxis (guarire) e come erba officinale è nota e apprezzata fin dal Medioevo; nella medicina cinese e ayurvedica è impiegata per le sue proprietà depurative.
In ogni sua parte, radice, foglie e fiori, il tarassaco è ricco di vitamine (A, C, K, alcune del gruppo B), minerali (ferro, calcio, potassio, magnesio), flavonoidi e polifenoli, e di taraxacina, che è il suo principio attivo e agisce stimolando la produzione e il flusso della bile e delle secrezioni digestive, promuovendo la depurazione dell’organismo e la digestione dei grassi.
Da qui i suoi numerosi effetti benefici: il tarassaco è depurativo e stimola la funzionalità epatica e renale, favorendo la diuresi e l’eliminazione delle tossine, è digestivo, utile soprattutto nelle dispepsie e nella digestione lenta, è antinfiammatorio, grazie ai flavonoidi, ed è antiossidante e aiuta a prevenire l’invecchiamento cellulare.
Pur essendo generalmente sicuro, il tarassaco può provocare reazioni allergiche in persone sensibili alle Asteraceae. L’uso di estratti o infusi è sconsigliato in caso di calcoli biliari o ostruzione delle vie biliari.
Se in autunno si raccolgono le radici, che servono per preparare infusi, decotti e tinture, e anche un surrogato del caffè oggi in disuso – ma ricercato in tempo di guerra – la primavera e l’estate sono dedicate ai fiori, utilizzati per preparare sciroppi, mieli aromatici e liquori, ma anche marmellate come la francese cramaillotte, una gelatina dal sapore delicato.
Conservati sottolio sono anche un’alternativa local ai capperi. Occorrono mezzo chilo di boccioli di tarassaco, mezzo litro di aceto, due bicchieri di vino bianco, due cucchiai di sale grosso e olio di oliva e si procede come per qualsiasi altra conserva, bollendo brevemente nell’aceto con il vino e il sale e conservandoli in vasetti di vetro a tenuta stagna. Sono ottimi per paste, risotti, insalate e crostini di pane.
E poi, e, soprattutto, ci sono le foglie fresche. Il loro gusto tipicamente ma gradevolmente amarognolo le rende adatte a molti usi. Se sono giovani e tenere, crude, in insalata, in classico abbinamento con le uova sode. Con tante varianti personali e locali; in Emilia-Romagna il tarassaco è alla base di piatti rustici come le misticanze di campo; in Sardegna diventa “cicoria selvatica”, in accordo a un’altra possibile origine del suo nome, dall’arabo ṭarahšaqūn, che significa appunto cicoria, e accompagna i formaggi locali.
Le foglie di tarassaco meno tenere si possono bollire o passare in padella e usare per frittate, zuppe di verdure, sformati, risotti, torte salate.
Il tarassaco si può anche coltivare e questo evita anche il rischio che le piante siano esposte a pesticidi o inquinanti. Dopo la semina, in terrenti ben esposti al sole, la raccolta inizia dopo poche settimane e le foglie, raccolte vicino alla radice, ricrescono velocemente, garantendo la continuità.
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