Russia. Gli attacchi ucraini ai bombardieri strategici: una mossa che rischia l’escalation
di Alessandro Pompei –
I rapporti ucraini riportano la distruzione con droni FPV, lanciati dal rimorchio di alcuni camion civili, di almeno 18 bombardieristrategici. Sette di questi velivoli appartenevano alla forza di deterrenza nucleare strategica russa, e non risultano impiegati nelle operazioni militari contro l’Ucraina essendo destinati esclusivamente al compito di deterrenza nucleare. Secondo le ricostruzioni disponibili e le prime immagini satellitari, gli aerei distrutti sarebbero 4 Tu 95MS, quattro Tu 22M3. Le forze ucraine rivendicano la distruzione del 34% della flotta strategica russa; tuttavia, considerato che quest’ultima conta circa 70 velivoli, la perdita di sette bombardieri rappresenta una percentuale significativamente inferiore, intorno al 9 – 10%. Va comunque ricordato che la capacità di deterrenza strategica della Russia si fonda principalmente sui vettori balistici, che costituiscono l’asse portante del suo arsenale nucleare. Entro domani si attendono immagini satellitari aggiornate degli aeroporti colpiti, che permetteranno di valutare con maggiore precisione l’entità effettiva dei danni.
Al momento il ministero della Difesa russo ha riportato che ad essere interessati sono stati “aeroporti nelle regioni di Murmansk, Irkutsk, Ivanovo, Ryazan e Amur; sono stati respinti tutti gli attacchi nelle regioni di Ivanovo, Ryazan e Amur; nelle regioni di Murmansk e Irkutsk, a seguito del lancio di droni FPV dal territorio situato nelle immediate vicinanze degli aeroporti, diverse unità di aeromobili hanno preso fuoco; gli incendi sono stati spenti e non si sono registrate vittime tra il personale militare o civile; alcuni dei partecipanti agli attacchi terroristici sono stati arrestati”.
È significativo che dei cinque aeroporti attaccati, l’operazione sia riuscita soltanto in tre. In particolare, presso l’aeroporto militare di Irkutsk l’attacco è stato parzialmente sventato grazie all’intervento improvvisato di alcuni camionisti, che hanno assalito il container automatizzato trainato da un camion civile da cui venivano lanciati i droni, danneggiandone le eliche con mazze e sassi, per poi bloccare il vano d’uscita dei droni stessi.
Questi attacchi si collocano a poca distanza temporale da due precedenti azioni di sabotaggio, al momento non rivendicate, che hanno coinvolto tre linee ferroviarie russe. Gli episodi hanno interessato due convogli passeggeri civili: due nella regione di Briansk e uno nella regione di Kursk, entrambe zone di confine con l’Ucraina e già teatro, nei mesi scorsi, di tentativi ucraini di penetrazione militare. Nel primo di questi attacchi si registrano 70 feriti e 7 morti. I ponti ferroviari sarebbero stati fatti esplodere al passaggio delle motrici, e secondo fonti russe, la responsabilità di almeno uno degli attacchi sarebbe attribuibile a commandos ucraini infiltratisi oltre confine.
È verosimile pensare che questi attacchi siano volti a rafforzare la posizione ucraina nelle trattative, sebbene è assai improbabile che i russi accettino queste azioni di sabotaggio e soprattutto la deriva terrorista dell’SBU ucraino.
L’attacco sferrato contro l’apparato di deterrenza nucleare russo appare più come un “regalo” che Volodymyr Zelensky intende offrire alla NATO, piuttosto che un’azione orientata al diretto beneficio dell’Ucraina. Il messaggio implicito è chiaro: “continuate a supportarci”. Tuttavia resta poco chiaro con quali mezzi l’Unione Europea, ormai divenuta l’unico pilastro della NATO a sostenere attivamente Kiev, possa proseguire questo supporto, considerando che ha esaurito gran parte delle proprie riserve di munizioni d’artiglieria. Colpire componenti della triade nucleare russa e presentarlo come un successo da offrire all’Alleanza Atlantica difficilmente potrà essere interpretato come un contributo alla sicurezza della NATO stessa. Al contrario rischia di innescare un’escalation pericolosa e conseguenze difficilmente controllabili. E a giudicare dal silenzio generale delle cancellerie occidentali, e dall’assenza del consueto giubilo per i “clamorosi successi ucraini”, è verosimile ipotizzare che non tutte le capitali stiano gioendo per la spregiudicatezza delle azioni condotte da Kiev.
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