Yotam Ottolenghi e la nuova rivoluzione dei ristoranti londinesi

Novembre 4, 2025 - 12:00
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Yotam Ottolenghi e la nuova rivoluzione dei ristoranti londinesi

Negli ultimi anni la ristorazione londinese ha attraversato la tempesta perfetta: costi schizzati alle stelle, clienti più cauti, inflazione record e un mercato in continua evoluzione. Eppure, come spesso accade a Londra, dalla crisi nasce la creatività. Yotam Ottolenghi, chef e autore amato a livello internazionale, racconta su The Guardian una città gastronomica che non si arrende. Tra cucine multiculturali, nuovi format ibridi e un ritorno alla semplicità, Londra sembra vivere una seconda età dell’oro, più libera, autentica e sperimentale che mai.

Il ristorante londinese dopo la crisi: più costoso, ma più vivo

Secondo Ottolenghi, parlare oggi della ristorazione di Londra significa parlare di un settore ferito ma vitale. I numeri sono impietosi: le utenze sono aumentate di oltre il 50% rispetto al 2019, il prezzo dell’olio d’oliva è salito del 121%, quello del cioccolato è raddoppiato, mentre anche gli ingredienti più comuni – come le cipolle verdi – costano il 55% in più. E i clienti? Il 72% dei britannici dichiara di aver ridotto i pasti fuori casa.

A questo si aggiungono affitti sempre più proibitivi: in media il 41% del reddito londinese se ne va per pagare la casa, lasciando poco spazio ai piaceri extra. Eppure, osserva Ottolenghi, la risposta dei ristoratori non è stata la ritirata, ma un sorprendente rinnovamento. “Londra non muore mai”, scrive lo chef, “si trasforma, cambia pelle e torna più forte”.

La pandemia ha costretto i locali a ripensarsi: i ristoranti d’élite hanno sperimentato il delivery, quelli di quartiere si sono reinventati come gastronomie o negozi temporanei. Quello che allora era una necessità oggi è diventato una filosofia: flessibilità, creatività e autenticità sono le nuove parole chiave del mangiare londinese.

La semplicità come nuova forma di lusso

Uno dei fenomeni più curiosi emersi negli ultimi anni è il ritorno alla semplicità. In una città famosa per le mode culinarie e le aperture spettacolari, i ristoranti che funzionano meglio oggi sono quelli che riducono tutto all’essenziale.
Ottolenghi cita il boom dei locali di pollo arrosto – da Norbert’s a East Dulwich, a Cocotte, fino a Chick’n’Sours e Chicken Shop – simbolo di una nuova ondata di comfort food sostenibile. Sono ristoranti accessibili, veloci, ma curati, che fanno della qualità e del calore umano la loro forza.

Per molti londinesi, sedersi a mangiare un piatto semplice ma cucinato bene è tornato un lusso vero: un piccolo piacere quotidiano in un mondo sempre più frenetico.
“Il pollo arrosto è la nuova aragosta”, scherza Ottolenghi, ma non troppo. Dietro questa battuta c’è una verità più profonda: il desiderio di esperienze autentiche e comprensibili, capaci di unire tutte le classi sociali.

Allo stesso tempo, Londra resta la patria della sperimentazione. Accanto ai locali familiari nascono progetti radicali come The Yellow Bittern a King’s Cross: solo 18 coperti, nessun sito web, nessun menu, e un ritratto di Lenin alle pareti. È la risposta artistica e ironica a un’epoca di eccessiva prevedibilità gastronomica.

Londra multiculturale e “auto-nutriente”

Tra le qualità che rendono unica la capitale britannica, c’è la sua inesauribile capacità di assorbire influenze da ogni parte del mondo e trasformarle in innovazione. Ottolenghi definisce Londra una città “auto-nutriente”, che si rigenera grazie alla forza delle sue comunità migranti. In ogni quartiere, da Dalston a New Malden, da Peckham a Soho, le cucine del mondo si mescolano, si contaminano e raccontano storie di identità, nostalgia e riscatto.

Un esempio emblematico è la famiglia Dirik, originaria della Turchia, che gestisce i celebri Mangal I e II a Dalston. Il loro successo è frutto di una perfetta combinazione tra autenticità e modernità: carne alla griglia come da tradizione anatolica, ma con una sensibilità contemporanea nella presentazione e nei sapori. La stessa energia si ritrova nella cucina filippina di Sarap Filipino Bistro a Soho, o nei ristoranti coreani di New Malden, come Cah Chi, punto di riferimento per la comunità asiatica.

Secondo Ottolenghi, questa vitalità nasce dal basso: “Londra si alimenta da sé, grazie a chi la abita. Ogni nuova comunità che arriva porta con sé una cultura gastronomica che non sostituisce, ma arricchisce quella precedente.” In questo senso, la città è un organismo vivente, che cresce e si trasforma a ogni nuova migrazione.

Il libro “London Feeds Itself” del food writer Jonathan Nunn – spesso citato dallo chef – documenta questo fenomeno con rigore e poesia. Non i ristoranti stellati o i grandi nomi, ma le mense comunitarie, le cucine sociali, i chioschi di quartiere. È lì, lontano dalle vetrine del centro, che Londra rivela il suo vero carattere gastronomico: quello di una città in cui il cibo è ancora un linguaggio di identità e solidarietà.

La rinascita dopo la pandemia

La pandemia di Covid-19 ha colpito duramente la ristorazione britannica, ma ha anche accelerato un processo di trasformazione che oggi appare irreversibile. Quando le sale erano chiuse e i tavoli vuoti, molti ristoratori hanno reagito inventandosi nuovi modelli: negozi temporanei, take-away creativi, consegne a domicilio, persino kit per cucinare a casa.

Ristoranti come Gymkhana, Lyle’s o Hoppers hanno trasformato la crisi in opportunità, esportando la propria identità attraverso l’esperienza domestica. “Non era solo una questione di sopravvivenza economica,” osserva Ottolenghi, “ma un modo per restare in contatto con la propria comunità.”

Da quella stagione difficile è nata una nuova consapevolezza: la ristorazione londinese non è solo un’industria, ma un tessuto culturale e sociale. È un modo per costruire appartenenze, per raccontare la città e, in molti casi, per dare una seconda possibilità a chi arriva da lontano.

Un esempio straordinario è Migrateful, iniziativa nata nel 2017 per aiutare rifugiati e richiedenti asilo a trovare lavoro e dignità attraverso la cucina. L’associazione offre corsi in cui cuochi migranti insegnano piatti delle loro tradizioni, trasformando ogni lezione in un momento di incontro e scambio. Oggi conta oltre 200 chef formati e più di 15.000 studenti. È la dimostrazione concreta di come il cibo, a Londra, possa essere anche uno strumento di integrazione e rinascita.

Dalla crisi alla creatività

Per Ottolenghi, la rinascita dei ristoranti londinesi non si misura solo nei numeri, ma nello spirito che li anima. “Le app di prenotazione impazzite, i costi altissimi, la pressione costante per innovare… non sono solo segni di crisi,” scrive, “sono la prova che il settore è più vivo e creativo che mai.”

Oggi i ristoranti non sono solo luoghi dove mangiare, ma spazi sociali, laboratori di cultura, microcosmi di sperimentazione. C’è chi usa ingredienti di recupero per ridurre lo spreco, chi trasforma il locale in un negozio di quartiere durante il giorno e chi fa del menu un manifesto politico, come The Yellow Bittern, che rifiuta ogni forma di omologazione.

A Londra, il cibo è sempre stato un linguaggio di appartenenza e di libertà. Dalle taverne del XVII secolo ai mercati multietnici di oggi, ogni piatto racconta una storia collettiva. In questo contesto, la figura di Ottolenghi – con la sua cucina mediterranea e la sua attenzione alla condivisione – diventa simbolica. Le sue parole non descrivono solo una scena gastronomica, ma un modo di vivere la città.

La lezione di Yotam Ottolenghi

La forza di Ottolenghi sta nell’aver trasformato la complessità della Londra contemporanea in una narrativa gastronomica comprensibile e umana. Nato a Gerusalemme da famiglia italo-israeliana, ha costruito in Inghilterra un ponte tra culture, mostrando che la contaminazione può essere fonte di bellezza e armonia.

Oggi, i suoi ristoranti – da Rovi a Nopi, fino ai celebri Ottolenghi Delis – sono luoghi in cui la cucina diventa linguaggio universale. Ingredienti provenienti dal Medio Oriente, tecniche europee, influenze asiatiche: tutto si mescola in un equilibrio che rispecchia la Londra di oggi.

Nel suo editoriale, lo chef invita i colleghi a non temere il cambiamento. La crisi economica, la pressione fiscale, la concorrenza dell’e-commerce non devono essere viste come ostacoli, ma come stimoli. “È proprio nei momenti più difficili,” scrive, “che nascono le idee più coraggiose.”

La città, in fondo, continua a essere la stessa: contraddittoria, diseguale, frenetica, ma anche straordinariamente fertile. Ogni giorno nascono nuovi ristoranti, spesso fondati da giovani migranti o imprenditori che scelgono la cucina come strumento di espressione. E se è vero che Londra cambia continuamente, è altrettanto vero che il cibo rimane uno dei suoi linguaggi più sinceri.

Londra, la città che si racconta a tavola

Camminando per la capitale, dal mercato di Borough fino a Soho, si percepisce un’energia che va oltre il lusso o la moda. Londra è diventata un mosaico di microstorie gastronomiche: ogni tavolo, ogni piatto, ogni profumo di spezie racconta un’identità, un viaggio, una memoria.

Le parole di Ottolenghi suonano come una dichiarazione d’amore per questa città in costante mutazione: “Londra non è solo il luogo in cui cucino. È il luogo che mi ha insegnato cosa significa cucinare per gli altri.”

In un’epoca in cui tutto sembra incerto, la ristorazione londinese trova la sua forza nella comunità e nella creatività. È la prova che la bellezza non nasce dal comfort, ma dal coraggio di reinventarsi ogni giorno.


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