Ambientalisti in gabbia alla Fao contro gli allevamenti intensivi, per salvare il clima e l’Amazzonia

È al via a Roma – nella sede Fao – la seconda Conferenza mondiale sulla trasformazione sostenibile dell'allevamento delle Nazioni Unite, dove i delegati sono stati accolti da grandi gabbie con dentro attiviste e attivisti di Greenpeace mascherati da mucche e maiali, per denunciare l’insostenibilità dell’attuale filiera agroalimentare a partire da quella zootecnica.
Molte delle politiche per lo sviluppo sostenibile sono chiamate, giocoforza, a passare dalle nostre tavole: basti osservare ai dati sulle emissioni di gas serra o allo spreco di cibo nella filiera agrifood.
A livello globale, la Fao stima (dati 2022) che dai sistemi agroalimentari arrivi il 29,7% di tutte le emissioni di gas serra – la CO2eq emessa è aumentata del 10% rispetto al 2000 –, con gli allevamenti in prima fila dato che costituiscono oltre un quarto (26,5%) di tutte le emissioni agrifood; secondo il sesto rapporto di valutazione Ipcc il dato sulle emissioni dei sistemi alimentari – produzione, lavorazione, distribuzione, consumo di alimenti e gestione dei rifiuti – oscilla tra il 23 e il 42%, ovvero il 31% circa di tutte le emissioni di gas serra antropiche.
In Italia invece l’Ispra documenta (dati 2022) che dal macrosettore agricoltura arrivi il 7% delle emissioni nazionali di gas serra, con gli allevamenti a fare la parte del leone (79% delle emissioni del comparto agricolo), oltre a essere la seconda fonte di emissione – dietro alla sola climatizzazione degli edifici – per un importante inquinante atmosferico come il particolato.
Non va meglio guardando allo spreco di cibo: mentre 13,5 milioni di italiani sono a rischio povertà o esclusione sociale, lo spreco di filiera del cibo in Italia costa complessivamente oltre 14 miliardi euro, pari a un peso di 4 milioni e mezzo di tonnellate di cibo gettato dai campi e dalle nostre tavole, passando per le fasi di distribuzione e commercializzazione.
«La zootecnia industriale sta inquinando l’acqua, impoverendo i terreni e accelerando il riscaldamento globale. Eppure, i giganti della carne e dei latticini continuano a promuovere soluzioni tecnologiche riduttive o false, bloccando la vera trasformazione di cui il nostro sistema agroalimentare ha urgente bisogno – dichiara Simona Savini della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia – Con la COP30 all’orizzonte, i leader mondiali devono opporsi agli interessi acquisiti delle multinazionali e ridurre le emissioni di gas serra accompagnando l’agricoltura, e in particolare la zootecnia, fuori da una produzione industriale dominata da poche grandi aziende, che sta distruggendo l’ambiente e le comunità rurali».
Nel merito, Greenpeace Italia ricorda che più di un anno fa, insieme ad altre associazioni, ha depositato in Parlamento la proposta di legge “Oltre gli allevamenti intensivi”, ancora in attesa di discussione: un testo che indica la strada per una trasformazione in chiave sostenibile del settore zootecnico. In occasione del summit alla Fao, Greenpeace ha inoltre lanciato un appello firmato da oltre 90 organizzazioni ambientaliste, per lo sviluppo, l’alimentazione e l’agricoltura, tra cui anche Action Aid International, Oxfam International e l’Alleanza per la sovranità alimentare in Africa: un invito ai governi a ridurre urgentemente le emissioni agricole e a sostenere una giusta transizione da un’agricoltura di tipo industriale a un sistema alimentare basato sull’agroecologia, per contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5°C e proteggere ecosistemi vitali come l’Amazzonia. La lettera arriva poche settimane prima della COP30 sul clima che riunirà i leader mondiali in Brasile, dove si prevede una presenza significativa dei lobbisti del settore agricolo.
«L’agricoltura industriale controllata dalle multinazionali è la seconda causa della crisi climatica e il principale motore della deforestazione. Affermare che abbiamo bisogno di agrochimici, allevamenti intensivi e accaparramento delle terre per nutrire il mondo non è che un falso mito. I metodi di coltivazione basati sull’agroecologia lavorano insieme alla natura anziché contro di essa e sono la scelta più ovvia per difendere il clima. Gli agricoltori necessitano di pianificazione sistematica, formazione e supporto – conclude Teresa Anderson, responsabile globale per la giustizia climatica di ActionAid International – La COP30 si terrà a Belém, in Amazzonia, il più grande ecosistema al mondo minacciato dalla deforestazione aggressiva legata all’agricoltura industriale: una giusta transizione del comparto sarebbe un risultato potente e appropriato».
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