Broncopneumopatia cronica ostruttiva: “stabilizzarla” è possibile


Stabilizzare la BPCO è oggi un obiettivo clinico realistico: gli studi mostrano che è possibile mantenere per mesi la malattia sotto controllo, riducendo peggioramenti, riacutizzazioni e migliorando la qualità di vita. Evidenze recenti (pubblicazione Singh et al. 2025, abstract dai congressi ERS e ATS 2024/2025) dimostrano che la triplice terapia consente a oltre 1 paziente su 4 di mantenere tale stabilità fino a un anno, un risultato significativo per una patologia cronica e ingravescente. Un nuovo paradigma per il trattamento dei pazienti e per il sistema sanitario: stabilità significa prospettive più positive, minori ospedalizzazioni, a fronte di una malattia così grave da essere la terza causa di morte a livello globale.
Cronica. Ingravescente. Recidivante. Quando si parla della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), sigla che riunisce le vecchie bronchite cronica ed enfisema polmonare, la percezione è quella di una patologia inarrestabile nel suo decorso.
Ma oggi, almeno in alcuni casi, non è più così. Si può finalmente cambiarne la prospettiva: la BPCO si può stabilizzare, per diversi mesi, grazie ad un approccio terapeutico appropriato ed efficace.
L’obiettivo diventa raggiungibile con il concetto emergente di COPD Stability (chronic obstructive pulmonary disease), inteso come obiettivo terapeutico: mantenere nel tempo una condizione di stabilità clinica che consenta di “rallentare” anche per mesi il danno delle vie respiratorie.
Questo obiettivo si traduce in un azzeramento delle riacutizzazioni senza avere un peggioramento della qualità di vita e dei sintomi. Esistono già evidenze che mostrano come grazie alla triplice terapia, si possa arrivare addirittura ad un anno di “stabilizzazione” della patologia in oltre 1 malato su 4. Lo dicono i dati post hoc derivanti dagli studi IMPACT e FULFIL, presentati pochi mesi fa al Congresso dell’ATS (American Thoracic Society) negli USA.
Secondo The Lancet Respiratory Medicine (2025), basato su dati aggiornati al 2021, la BPCO colpisce oltre 213 milioni di persone nel mondo, cifra basata sui casi diagnosticati e confermati.
Tuttavia, stime epidemiologiche più ampie, riferite dalla International Respiratory Coalition, che includono anche i casi non diagnosticati, indicano che il numero reale possa superare le 300 milioni di persone, corrispondenti a una prevalenza globale dell’11,7%.
Sempre con riferimento al 2021, le malattie croniche non trasmissibili (NCDs) hanno causato oltre 43 milioni di morti, di cui 4,4 milioni per patologie respiratorie croniche, con quasi il 40% dei decessi in persone con meno di 70 anni.
In Italia, i dati confermano un aumento delle patologie respiratorie croniche, troppo spesso diagnosticate tardivamente, mentre i sintomi iniziali – tosse persistente, affanno, infezioni ricorrenti – restano sottovalutati.
“Negli over 65 fumatori la prevalenza di BPCO è del 20%”, sottolinea Marco Contoli, Direttore Pneumologia Territoriale AUSL Ferrara, “ma solo il 31% di loro ha smesso di fumare”.
“La COPD Stability significa la presa in carico del paziente cronico sul territorio, cioè rivalutare la sua condizione nel tempo e aggiustare il tiro”.
“Stabliizzare significa anche rendere il paziente privo riacutizzazioni, allungando così la prognosi: le cause di morte infatti sono dovute a problemi cardiovascolari indotti dalla patologia ed è per questo che bisogna intervenire il prima possibile; ci sono pazienti che ricevono la prima diagnosi in ospedale, quando vengono ricoverati per crisi respiratoria”.
“Si deve lavorare su tre punti: stop al fumo, fare movimento e vaccinarsi”; inoltre disponiamo di farmaci che possono prevenire il rischio di mortalità al pari di quelli per le malattie cardiovascolari”.
Come può cambiare la situazione
“Oggi la stabilizzazione della malattia nelle persone con BPCO può rappresentare un obiettivo terapeutico realistico – spiega Fulvio Braido, Direttore Clinica Malattie Respiratorie e Allergologia – Ospedale Policlinico IRCCS San Martino di Genova – Si può definire come l’assenza di peggioramento o peggioramento minimo di FEV (parametro chiave dell’esame spirometrico) e, sul fronte clinico, di assenza di riacutizzazioni oltre che di peggioramento significativo dello stato di salute. Gli studi dicono che la triplice terapia può modificare profondamente il quadro, rispetto alla duplice, con sostanziale rallentamento dell’evoluzione negativa più significativo e quindi potenziale miglior prognosi per il malato”.
Per definire la stabilità della BPCO, è importante considerare tre aspetti fondamentali: la funzione polmonare, il rischio di riacutizzazioni e lo stato generale di salute del paziente.
La funzione polmonare si misura attraverso un test spirometrico che valuta la capacità di respirare (ad esempio il FEV1, che indica il volume d’aria espirato in un secondo).
Lo stato di salute e la qualità della vita, invece, vengono analizzati con strumenti validati, come questionari che indagano l’impatto della malattia sui sintomi e sulle attività quotidiane (ad esempio CAT o SGRQ). Questi parametri sono fondamentali per monitorare i progressi e personalizzare il trattamento.
La COPD Stability è quindi un nuovo paradigma che punta a dare una prospettiva diversa a una malattia tradizionalmente percepita come inevitabilmente ingravescente.
“Oggi abbiamo la possibilità di fissare obiettivi concreti e misurabili – come il mantenimento della funzione polmonare, l’assenza di riacutizzazioni e un buono stato di salute riferito dal paziente – e di monitorarli nel tempo per orientare scelte terapeutiche più efficaci – segnala Braido – Per i pazienti, significa vivere meglio e più a lungo, riducendo le ospedalizzazioni, affrontando con maggiore serenità le attività quotidiane e beneficiando di percorsi terapeutici più lineari. Insomma: parlare di stabilità nella BPCO significa offrire ai pazienti una prospettiva nuova e positiva. Non è solo limitarsi a gestire il peggioramento, ma puntare a un equilibrio duraturo che consenta di guardare al futuro con più fiducia”.
Importante aumentare le conoscenze
La pubblicazione Singh et al., pubblicata nel marzo 2025 sull’American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, ha chiaramente dimostrato come la stabilizzazione della malattia possa essere considerata un obiettivo clinico raggiungibile con un trattamento ottimale in maniera significativamente migliore rispetto al trattamento a due farmaci.
Gli stessi dati, presentati anche al recente congresso ERS 2025 di Amsterdam hanno confermato i benefici in tre domini fondamentali: funzione polmonare, riduzione delle riacutizzazioni e qualità di vita “Gli studi ci dimostrano che la stabilità non è un concetto astratto – commenta Marco Contoli – Disponiamo di dati di real life, come quelli dello studio di comparative effectiveness (Professoressa Wedzicha et al. Luglio 2025), che mostrano differenze statisticamente significative tra le opzioni terapeutiche disponibili, in particolare sugli outcomes di riacutizzazioni (tasso e rischio) e mortalità. Questo ci dice che le terapie non sono tutte uguali e che le scelte terapeutiche, se personalizzate caso per caso, possono davvero fare la differenza. In questo senso, in futuro, auspico una sempre più ottimale collaborazione con il medico di medicina generale, per identificare i pazienti che più possono necessitare di risposte specifiche per una prognosi migliore, affinché la stabilizzazione diventi un obiettivo condiviso nel percorso di cura”.
L’impegno di GSK
Donato Cinquepalmi, Respiratory & CEP Medical Head di GSK, sottolinea: “Come in azienda sosteniamo la ricerca e il confronto scientifico perché crediamo che la stabilità possa diventare un obiettivo concreto nella gestione della BPCO. Il nostro impegno è quello di accompagnare i clinici e i pazienti in questo percorso, affinché i dati della ricerca si traducano in un beneficio reale nella vita delle persone”.
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