Byhovskaya (H&M): “Puntiamo sull’Italia, ora nostro ottavo mercato”
Quanto pesa l’Italia per H&M? “Noi contiamo 79 mercati nel mondo e l’Italia è l’ottavo più importante in termini di vendite”. A dirlo, durante il 30° Pambianco-Pwc Fashion Summit, è Anna Byhovskaya, head of public affairs south of Europe del gruppo svedese di moda low cost a cui fanno capo, oltre al marchio omonimo H&M, anche Cos, & Other Stories, Arket tra gli altri brand.
La prima bandiera H&M è stata piantata a Milano nel 2003, e ora il marchio conta 151 negozi e 4mila dipendenti nel mercato tricolore. “Abbiamo anche diversi fornitori in Italia – ha proseguito la manager – e credo che anche questo sia importante. Naturalmente si tratta di produttori indipendenti, ma con cui intercorrono rapporti anche decennali”.
E ancora: “Questo significa che investiamo nel Paese per il profitto ma innanzitutto per il vostro savoir-faire, per le capacità e la creatività dei produttori italiani, dal tessile alla pelletteria fino al segmento lingerie e alla cosmetica”. Quest’ultima, in particolare, “altamente rappresentata in Italia per il gruppo H&M”.
Ma non è tutto qua: a livello europeo è stato definito il regime Epr, di ‘responsabilità estesa del produttore’, “grandissima opportunità strategica anche per l’Italia”. Aggiungendo: “Il vostro settore tessile e la vostra capacità di riciclo possono rappresentare delle basi per costruire ancora di più e fare dell’Italia un vero e proprio hub per un’economia e, soprattutto, una moda circolare. Che è quello a cui H&M punta”.
Il colosso svedese, ricorda Byhovskaya, è già tra i partner del consorzio votato al riciclo tessile Erion Textiles (che come tutti i consorzi è in attesa che la declinazione italiana dell’epr sia operativa per partire, ndr): “Vogliamo essere parte della discussione in merito e contribuire in quanto produttori”.
E alla domanda riguardo alle criticità legate all’ultra fast fashion, Byhovskaya risponde, prendendo le distanze in quanto rappresentante del gruppo H&M dai competitor asiatici: “Con l’ultra fast fashion il primo problema è la concorrenza nell’ambito di terreno d’azione che sia omogeneo. L’abbiamo visto emergere negli ultimi anni con delle pratiche di lavoro che non erano regolari. Noi in quanto player dell’Unione europea siamo tenuti a rispettare degli standard, a cui altre aziende invece non si adeguano. E che, grazie alla veicolazione di ordini molto piccoli, beneficiano di ulteriori benefit diventando ancora più competitivi”.
Sottolineando, ancora: “È un problema che è necessario risolvere e che vede l’ultra fast fashion differenziarsi nettamente da gran parte di noi, H&M compreso”. Aggiungendo: “Noi vogliamo produrre qualità, moda, prezzi inferiori con una grande agenda di sostenibilità alle spalle, che prendiamo molto seriamente”.
E proprio a proposito di circolarità, H&M sta puntando sempre di più anche nel segmento second hand (con la sua linea Pre-loved), “oggi disponibile in 25 mercati, compresa l’Italia, e che speriamo di portare anche in più negozi possibili in futuro, perché al momento si trova perlopiù online”.
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