Celle chiuse? Così non si rieducano i detenuti
Agenzia FotogrammaUna recente circolare del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, a firma di Ernesto Napolillo, Direttore generale dei detenuti e del trattamento, sta facendo molto discutere. Si tratta di un’indicazione relativa alle autorizzazioni «degli eventi di carattere educativo, culturale e ricreativo» svolte negli istituti penitenziari italiani: attività proposte e realizzate, in gran parte, da organizzazioni e associazioni del terzo settore, molte cattoliche e legate alla Caritas e alla Diocesi ambrosiana, che danno forma e senso alla partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa prevista dall’articolo 17 dell’ordinamento penitenziario del 1975. Formazione, ascolto e accompagnamento socio-educativo, incontri culturali e con le scuole, musica, teatro, sport, laboratori artigianali e artistici: tutte attività che rendono viva e vitale la tensione rieducativa delle pene, scolpita nell’articolo 27 della Costituzione.
La circolare del Dap afferma che, per gli istituti penitenziari che hanno sezioni di “Alta sicurezza”, “41bis” e “Collaboratori di giustizia”, l’autorizzazione per gli “eventi di carattere trattamentale”, cioè tutti quelli che animano e riempiono di contenuti il tempo altrimenti vuoto della detenzione, dovrà essere richiesta proprio alla Direzione generale che fa capo a Ernesto Napolillo. Ma c’è di più, perché l’autorizzazione andrà chiesta al Dap di Roma anche per le attività svolte nelle sezioni, ben più affollate, di media sicurezza presenti in quegli stessi istituti.
Di fatto si tratta di una complicazione burocratica che rischia di rendere molto difficile, quando non impossibile, la realizzazione delle attività in molti istituti penitenziari e che non pare giustificata da effettive ragioni di sicurezza. Prima della circolare le stesse attività erano infatti già sottoposte alla valutazione del magistrato di sorveglianza e dovevano avere il preventivo parere favorevole del direttore del carcere in cui si sarebbero dovute svolgere. Di fatto era il direttore che decideva in merito, conoscendo sia le caratteristiche e le esigenze dell’istituto, sia le persone lì detenute, oltre a conoscere spesso direttamente e per esperienza, persone e organizzazioni della comunità esterna che sarebbero entrate in carcere per svolgere le attività proposte. Tutto ciò avveniva, peraltro, secondo quanto disposto dall’articolo 17 delle norme sull’ordinamento penitenziario che prevede che siano «ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l’autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che avendo concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera». Nella circolare, che è un semplice provvedimento amministrativo, invece il parere del direttore è subordinato a quello della Direzione del Dap e l’autorizzazione del magistrato di sorveglianza competente per l’istituto non è contemplata.
In merito alla circolare del Dap, il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio, Stefano Anastasia, ha espresso un parere netto: in un post sul proprio profilo Facebook ha scritto che «è la fine della partecipazione della comunità esterna alle iniziative culturali e ricreative promosse (…) nelle carceri. Dalle celle chiuse alle carceri chiuse, è un attimo. Un balzo all’indietro di più di quarant’anni». Altrettanto negativi sono i pareri degli altri garanti locali e delle associazioni che operano negli istituti penitenziari e per i diritti delle persone detenute, a partire dalla Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia, a cui Caritas partecipa. Insomma, in molti stanno chiedendo un ripensamento rispetto a quello che persino il Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza ha definito, in un comunicato, come «un deciso arretramento rispetto al modello di esecuzione penale che l’ordinamento penitenziario, proprio nell’anno del suo cinquantenario, aveva immaginato e previsto».
In effetti, quest’ultima circolare rafforza un processo di progressiva chiusura dei reparti detentivi inaugurato con un’altra circolare del 2022, la quale, nel “rilanciare” regime e trattamento penitenziario, poneva di fatto fine alla pur positiva esperienza della “sorveglianza dinamica” introdotta per le sezioni di bassa e media sicurezza nel 2013, sulla base del principio per cui «la vita del detenuto normalmente deve svolgersi al di fuori delle celle». In base a quel regime, le celle rimanevano aperte per gran parte del giorno, consentendo lo svolgimento di attività e una maggiore socialità all’interno delle sezioni; in quel modo l’Italia aveva risposto alle condanne disposte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il trattamento inumano e degradante che il sovraffollamento penitenziario infliggeva alle persone detenute.
La circolare attuale chiude di fatto quell’esperienza e c’è il fondato timore che finisca per far chiudere le celle per gran parte del tempo e per la maggior parte delle persone detenute. Già se ne ha avvisaglia in alcuni istituti, con le prime attività sospese per mancanza dell’autorizzazione del Dap. Nella situazione di sovraffollamento e tensione in cui versano le carceri italiane, è forte il timore che questo ulteriore passo verso una gestione sicuritaria degli istituti penitenziari, già perseguita da precedenti provvedimenti del governo, per esempio negli ultimi “pacchetti sicurezza”, finisca per accrescere il malessere delle persone detenute e per far aumentare i gesti di insofferenza, individuali e collettivi.
Nel frattempo, in attesa di una nuova sentenza della Corte europea (chiamata di nuovo a pronunciarsi su un regime di detenzione che assomiglia sempre di più a un trattamento inumano e degradante) e a dieci mesi dall’apertura della Porta Santa giubilare nel carcere di Rebibbia a Roma, 69 persone detenute si sono suicidate. Triste sigillo del naufragio, proprio mentre si approssima il 14 dicembre, Giubileo dei detenuti, delle pur timide proposte tese a ridurre l’affollamento carcerario nel nostro Paese.
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