Convegno promosso dall’IRCCS Auxologico, dall’Arcidiocesi di Milano (Servizio per la Pastorale della Salute) e della Fondazione Culturale Ambrosianeum: “Cura il prossimo tuo come te stesso. Potremo ancora curare tutti?”
1. Un’interpretazione della realtà e della sua evoluzione
Sarò ingenuo, ma ho fiducia. Troveremo la via, impareremo come l’umanità possa continuare a vivere, a sperare e a morire.
La lettura allarmistica e catastrofica della storia non può essere costruttiva in forza della paura: l’esempio dell’allarme demografico, la “bomba demografica”. La lettura prometeica della storia animata dalla presunzione dell’onnipotenza ha probabilmente come esito la desolazione del fallimento. La lettura cristiana e sapienziale della situazione riconosce che ogni situazione è occasione, è provocazione ad assumere responsabilità e a prendere decisioni.
2. Dalla cultura del calcolo alla cultura della libertà spirituale
La questione che risulta insolubile dichiara: è impossibile curare tutti. Infatti crescono le esigenze di cura in modo sproporzionato alla crescita delle risorse, delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Il tema della cura rischia così di essere ridotto alla dimensione quantitativa. Suggerisce quindi di parlare delle risorse disponibili, della necessità di riorganizzare la distribuzione delle risorse, di vigilare sullo sperpero delle risorse, di colpevolizzare il dispendio di risorse utilizzate in modo scorretto.
Lo scandalo dello sperpero e delle spese per le armi deve certo essere oggetto di una contestazione intelligente per correttivi promettenti. Si deve però riflettere sul fatto che le risorse sono in ogni caso limitate, come del resto la vita delle persone è limitata. Perciò la cultura del calcolo che ci interroga sul rapporto tra spese delle cure e risorse disponibili per curare ha inevitabilmente l’esito drammatico della selezione: se non possiamo curare tutti, è necessario decidere chi curare (I giovani? Quelli che pagano? Gli italiani? Quelli che hanno problemi sanitari più diffusi, rispetto a coloro che hanno malattie rare?).
Come si può uscire dal dilemma e dal dramma? Mi sembra che l’unica via di uscita sia una rivoluzione culturale. La rivoluzione consiste nel passare dalla cultura del calcolo e alla cultura della libertà spirituale. La cultura del calcolo calcola quanto costa e quante risorse sono disponibili. La cultura della libertà spirituale induce a desiderare anzitutto la vita buona, la vita in cui è possibile amare ed essere amati, la vita in cui c’è una vocazione a cui rispondere e una scelta di cui prendersi la responsabilità.
La cultura della libertà non ha come principio il diritto alla salute, ma la chiamata iscritta nella vita a vivere bene nella condizione precaria in cui tutti prima o poi si ammalano e muoiono. La cultura della libertà assume la condizione come occasione: non si immagina che la normalità sia la salute e la malattia l’ingiustizia, ma pensa che la normalità sia la possibilità di scegliere, di esercitare la libertà, nella salute e nella malattia. La cultura della libertà può decidere di aprirsi alla vocazione alla speranza, invece che rassegnarsi alla logica della disperazione. La cultura della libertà contrasta il dolore che impedisce di essere liberi, contrasta l’aggressione del male che impedisce di essere liberi, ma professa la libertà anche nel dolore e nell’aggressione del male.
3. La cultura della libertà si confronta con il calcolo
La cultura della libertà non può esonerarsi dal confrontarsi con le risorse, le potenzialità della tecnologia, la considerazione realistica dell’ineguaglianza (che pensare quando si considera la situazione e l’evoluzione del nostro sistema sanitario con quello di altre regioni d’Italia, del mondo?).
In questo confronto complesso è forse possibile approfondire criticamente i termini delle questioni e immaginare e realizzare percorsi perché una cultura diversa da quella del calcolo non suoni come una vaga ed improponibile fantasia spiritualistica.
4. Aggiungere domande
In particolare si possono forse porre alcune domande: che cosa significa curare?
Come si può valorizzare nel percorso di cura il coinvolgimento nella relazione personale prima che la prestazione di una competenza tecnica?
Come si può riconoscere nel percorso di cura una dimensione spirituale nella vicenda personale dell’essere malato, dell’essere paziente, dell’essere “in cura”?
Come si può articolare il sistema sanitario perché si produca una modalità diversa del rapporto tra servizio territoriale e servizio ospedaliero?
Quale formazione del personale sanitario perché le dimensioni relazionali e spirituali siano integrati nella competenza tecnica?
Qual è la tua reazione?
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