Come il linciaggio di Prina cambiò le sorti di Milano e dell’Italia nel Risorgimento

Nella gran confusione, sin dalle ore 16.30 era corsa voce che Prina fosse stato catturato: alcuni dicevano che lo si fosse trovato nascosto in una buca del giardino in terrazza, altri in un granaio, altri in una soffitta, altri ancora in una vasca destinata a raccogliere l’acqua piovana, altri sotto i tetti, dopo che era stato fatto crollare un controsoffitto, altri – e saranno i più – nella galleria di un camino. Sembra che fosse pressoché svestito, perché intento a cambiarsi d’abito e indossasse giusto una calza nera di quel vestito da prete ricevuto dal cugino. A scovarlo fu un giovane carpentiere che lavorava nel vicino Teatro alla Scala – da dove era con tutta probabilità arrivato richiamato dal trambusto – e il cui cognome, Colombo, lo qualificava come un esposto, dapprima cresciuto e poi avviato al lavoro grazie alla generosità del popolo di Milano.
Pare che alla vista del ministro lanciasse un urlo per avvertire gli altri e non avesse neppure il tempo di comprendere che la figura tremante davanti a sé gli stava promettendo molto denaro (addirittura un sacco di monete d’oro) in cambio della vita. Ma ormai era tardi per farsi corrompere: mentre altri alle ricchezze del ministro avevano subito pensato – la governante di casa si arricchì per il resto dei suoi giorni e lo stesso dicasi per uno stipettaio, che mise le mani su qualche gioiello –, Colombo era tra quelli che con tutta probabilità si prefiggevano solo di punire Prina per avere affamato il popolo di Milano. Il ministro venne subito preso, fatto scendere dabbasso a furia di spintoni, per le scale cadde e si infortunò, ma ancora rintronato venne strattonato di nuovo fino a raggiungere il cortile interno e da lì il retro del Palazzo Sannazzari.
Nel locale sopraelevato gli passarono una corda attorno agli arti per immobilizzarlo e poi lo calarono in basso da una finestra che dava sulla contrada del Marino cui già avevano asportato l’inferriata. Sotto lo attendevano molti parapioggia alti puntati, ma la corda, più corta del dovuto, gli impedì di toccare terra, sicché il ministro rimase per qualche tempo sospeso, mentre gli astanti lo tempestavano di colpi e lo ferivano con la punta degli ombrelli. Urlava e chiedeva perdono, dicendo che aveva solo risposto alle indicazioni che gli giungevano dall’alto, ma quelle scuse non sembra impietosissero i suoi aspiranti carnefici, che lo chiamavano traditore e urlavano di volerlo bruciare. Alla fine in qualche modo fu fatto scendere e come toccò terra si ritrovò a pochi metri dall’ingresso della casa Blondel, già di proprietà Imbonati, il palazzo dove solo qualche anno prima Alessandro Manzoni aveva contratto matrimonio secondo il rito calvinista con Enrichetta.
Nel luogo, attirato dalle urla e dagli strepiti, si trovò a passare Lodovico Giovio, che pur appartenendo a una delle più importanti famiglie nobili del Comasco, aveva fatto sin dal 1796 la scelta a favore di Bonaparte. Poi però era entrato in rotta con la prepotenza d’oltralpe e nel 1798, ai tempi della prima Repubblica Cisalpina, presidente del Consiglio dei Giuniori, aveva guidato la protesta contro un trattato commerciale che gli sembrava penalizzare Milano a esclusivo vantaggio di Parigi e da allora, pur rimanendo nell’orbita del potere napoleonico, aveva assunto un atteggiamento critico verso le invadenze delle armi francesi. Nel 1814 era appena rientrato da una missione nei dipartimenti di confine per tentare di contenere le proteste popolari e aveva guardato con interesse alla possibilità che il Regno d’Italia acquisisse una piena indipendenza. Aveva infatti firmato la petizione trasmessa al Senato ed era quindi della cerchia di quanti guidavano le proteste anche se si era presto preoccupato della piega presa dagli avvenimenti: tentò di avvicinarsi allo sciagurato ministro pronunciandone a più riprese il nome, ma tanto bastò perché fosse subito allontanato e l’uomo pensò bene di ritirarsi in buon ordine e di raggiungere il Broletto. […]Insomma, la situazione era ormai fuori controllo, tanto che in parallelo, proprio sull’altro lato della piazza, si compiva il destino del ministro
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