L’ultimissimo paradosso siciliano, il governatore premiato per l’acqua (che manca)

La Regione che premia il presidente della Regione. Questa non si era ancora vista, ma è accaduto davvero. In una terra dove la realtà supera costantemente la satira, l’ultima trovata istituzionale ha toccato vette che neppure Pirandello o Ionesco avrebbero osato immaginare.
Siamo ad Agrigento, Capitale italiana della Cultura 2025, cornice perfetta per un evento che entra di diritto negli annali del surrealismo politico: la prima edizione del premio “Custode dell’Ambiente”. Istituito dall’assessorato regionale al Territorio e all’Ambiente, in collaborazione con Arpa Sicilia, il premio aveva un ineludibile vincitore per il titolo di “Ambasciatore dell’Ambiente Sicilia 2025”: Renato Schifani, presidente della Regione Siciliana. Sì, la Regione ha premiato il proprio capo.
La notizia ha colto di sorpresa l’opposizione, che ha reagito con un misto di sdegno e divertimento. La vicesegretaria del Pd Sicilia, Valentina Chinnici, ha parlato di un «parossismo di assurdità» e ha ammesso: «Pensavamo di esserci imbattuti in una pagina satirica… Invece è tutto vero». Le fa eco la deputata M5S Cristina Cimminisi, che ha liquidato l’iniziativa come «l’apoteosi dell’autoglorificazione» e come un «capolavoro assoluto». Ma la parte migliore è la motivazione. Schifani è stato premiato per aver sostenuto «con determinazione» un nuovo modello di gestione dei rifiuti, in particolare la realizzazione dei termovalorizzatori di Palermo e Catania, presentati come soluzioni innovative per trasformare i rifiuti in risorsa.
Il premio, consegnato dall’assessore Giusi Savarino, celebra anche la «visione e il coraggio» del governatore nella lotta alla siccità, citando una lista di interventi che va dal potenziamento dei pozzi al riutilizzo delle acque reflue, fino ai tanto decantati impianti di desalinizzazione.
Il governatore, ricevendo la targa, non si è risparmiato: «La tutela dell’ambiente è un valore non negoziabile, un valore primario, insito nel nostro essere siciliani». Parole solenni che echeggiano in una Sicilia che, al netto dei premi, è la vera protagonista di un disastro ambientale che non ammette autocelebrazioni.
Lasciamo per un attimo il palcoscenico di Agrigento e guardiamo la realtà che ha reso necessaria la “lotta alla siccità” per cui il Presidente è stato premiato: l’emergenza idrica. Nonostante gli annunci, i commissari e i poteri speciali, la Sicilia non è semplicemente in emergenza; è sempre lì, sull’orlo di un collasso idrico. L’ultima pagina, clamorosa, è stata scritta proprio in questi giorni. Giorni di pioggia torrenziale e nubifragi. Eppure, in tutto ciò, le province di Palermo e Agrigento, insieme a una vasta area del Trapanese, sono in piena crisi idrica. Il motivo, come in ogni buona trama siciliana, è un misto di tragedia e farsa burocratica: alla diga Garcia (intitolata al giornalista Mario Francese, assassinato dalla mafia) i conti non tornano. Anzi, non tornavano affatto: c’è stato un errore clamoroso nei conteggi dell’acqua disponibile.
Secondo la cabina di regia regionale «si pensava bastasse fino a febbraio, invece rischia di finire a Natale». L’errore ammesso dalla Regione è stato sbalorditivo: si stimavano 3 milioni di metri cubi ancora in sicurezza. Su quella valutazione – sbagliata – erano state autorizzate settimane fa anche le immissioni in rete per l’agricoltura, accelerando il prosciugamento. Ora l’invaso, che avrebbe dovuto servire circa 150 mila abitanti, è ridotto a malapena a mezzo milione di metri cubi, una “pozzanghera”, come l’ha definita il deputato Davide Faraone dopo il sopralluogo.
Di fronte all’ammissione pubblica dell’errore, il dibattito è scivolato rapidamente dall’incompetenza al sospetto. «Bisogna capire se siamo davanti a un errore o a un dolo», ha tuonato Faraone annunciando un esposto alla Procura.
Le conseguenze per l’entroterra sono immediate e pesanti: in molti Comuni la portata è stata dimezzata, in altri la Protezione Civile ha dovuto inviare delle autobotti. Va detto che finalmente, dopo mesi di ritardo, il dissalatore è a pieno regime, ma il costo dell’acqua così prodotta è astronomico: servono tra i 2 e i 3 euro al metro cubo. Per fare un raffronto, il costo di produzione dell’acqua dei pozzi, comprensivo anche dell’energia necessaria per i potabilizzatori, è di circa 0,10 centesimi al metro cubo
Il vero problema non è solo l’errore di calcolo. È la manutenzione assente. Un quadro che Legacoop Sicilia sintetizza perfettamente: «Il sistema idrico regionale è un colabrodo. Piove, ma l’acqua non c’è. Le reti perdono, gli invasi non vengono mantenuti e ogni emergenza diventa una catastrofe annunciata». Ma quello dell’acqua che manca è solo l’ultimo dei problemi in una Regione che, nonostante i premi e gli assessori, resta agli ultimi posti per la tutela dell’ambiente. Dagli incendi devastanti alle discariche sature di rifiuti, fino all’altra specialità della casa: l’abusivismo edilizio.
In un’isola dove la costa è stata violentata dal cemento selvaggio, una recente battaglia ha ottenuto un pronunciamento storico: la Corte Costituzionale ha ribadito il divieto assoluto di costruzione entro 150 metri dalla battigia, bloccando di fatto qualsiasi tentativo di salvare centinaia di immobili abusivi. Il pronunciamento riguarda in particolare le richieste di condono per case abusive costruite tra il 1976 e il 1983 in quella fascia costiera. In Sicilia si contano circa 200 mila case abusive realizzate sul mare e così l’ultima proposta di sanatoria – avanzata proprio da Fratelli d’Italia all’Ars – è stata di fatto bocciata. In sostanza, la Corte Costituzionale ha ribadito ciò che i premi sembrano ignorare: la centralità della tutela ambientale in una regione che, troppo spesso, ha piegato il diritto a interessi speculativi ed elettorali.
Mentre il presidente Schifani viene insignito del premio di “Ambasciatore dell’Ambiente” per aver promosso soluzioni (termovalorizzatori) e annunciato altre (dissalatori), la crisi idrica rivela l’essenza del sistema siciliano: un’infrastruttura fatiscente che trasforma la pioggia in siccità. L’errore nei conteggi della diga Garcia e il colabrodo della rete non sono solo negligenza; sono l’esito di un sistema che ignora la manutenzione (dove l’acqua costa 10 centesimi al metro cubo) in favore di soluzioni costosissime e tardive (dove l’acqua prodotta costa tra i 2 e i 3 euro al metro cubo).
La targa consegnata ad Agrigento è, in questo senso, una foglia di fico: la diga prosciugata per un errore di calcolo, le 200 mila case abusive sul mare che la Regione tenta ancora di salvare, e la nuova condanna della Corte Costituzionale con cui si ribadisce ciò che dovrebbe essere ovvio: la centralità della tutela ambientale. Per meritare davvero il titolo di “Custode dell’Ambiente”, forse, basterebbe non premiare nessuno e limitarsi a fare il lavoro, garantendo che almeno quando piove l’acqua non venga sprecata. E che, soprattutto, i conti tornino.
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