Dingwalls, cuore musicale di Camden

Nel cuore di Camden Lock, a due passi dal Regent’s Canal e immerso nell’energia pulsante del mercato più iconico di Londra, sorge uno dei templi della musica dal vivo che hanno fatto la storia della capitale britannica: il Dingwalls. Nato nel 1973 in un ex magazzino vittoriano appartenuto alla compagnia T.E. Dingwall, il locale ha attraversato mezzo secolo di evoluzioni culturali, diventando da semplice dance hall a epicentro della controcultura londinese. Per generazioni di artisti, fan e curiosi, questo spazio ha rappresentato non solo un palco, ma una vera e propria casa musicale, luogo in cui i generi si mescolavano e le barriere cadevano. Il Dingwalls è stato testimone del passaggio dal folk al jazz, dall’irruenza del punk al fermento dell’indie, fino alle performance rock e pop che ancora oggi animano le sue serate. Raccontare la sua storia significa raccontare anche l’anima di Camden: un quartiere che non ha mai smesso di reinventarsi, restando fedele al proprio spirito ribelle e alternativo.
Le origini di un’icona musicale
Quando aprì le porte nel giugno del 1973, il Dingwalls era conosciuto come Dingwalls Dancehall. La scelta della location non fu casuale: Camden Lock, già allora un crocevia di creatività e multiculturalismo, offriva lo scenario perfetto per un club diverso da tutti gli altri. L’edificio, con i suoi mattoni a vista, i soffitti alti e il carattere industriale, venne trasformato in un luogo capace di accogliere centinaia di persone, mantenendo però un’atmosfera intima e diretta con il palco. Con una capienza di circa 500 spettatori nella sala principale, era sufficientemente grande per ospitare nomi importanti, ma anche abbastanza raccolto da permettere al pubblico di sentire il respiro degli artisti.
Inizialmente il Dingwalls non era ancora legato alla scena punk che avrebbe travolto Londra pochi anni dopo. Al contrario, si presentava come un club eclettico, dove trovavano spazio il folk, il jazz e i primi esperimenti di rock alternativo. Nel 1973 ospitò persino un evento che sarebbe rimasto nella storia: il Greasy Truckers Party, documentato nell’album “Greasy Truckers Live at Dingwalls Dance Hall”, con esibizioni di band come Camel, Gong, Global Village Trucking Company e Henry Cow. Era la dimostrazione che fin dall’inizio il Dingwalls rappresentava un terreno fertile per la musica sperimentale, senza timore di rischiare.

La facciata del Dingwalls di Camden negli anni in cui fu noto come Lock 17, prima del ritorno al nome originale.
L’ambiente era informale, caotico, perfettamente in linea con lo spirito di Camden. Il pubblico che frequentava il locale era variegato: giovani creativi, studenti, musicisti emergenti, appassionati di cultura alternativa. A differenza di altre sale londinesi, spesso più rigide e gerarchiche, qui la musica era l’unica vera protagonista. Non importava chi fossi o da dove venissi: dentro il Dingwalls contava solo la voglia di condividere l’energia di un concerto.
Già nei primi anni, il locale riuscì ad attrarre figure di spicco. Sul suo palco salirono artisti del calibro di Etta James e Blondie, che proprio qui tenne uno dei suoi primi concerti in Inghilterra. La storia vuole che Debbie Harry, con il suo carisma magnetico, conquistò immediatamente i presenti, dando il via a una relazione speciale tra la band newyorkese e il pubblico londinese. Non meno significativo fu il passaggio dei Ramones, che contribuirono a consolidare la fama del Dingwalls come incubatore del punk e della nuova ondata musicale.
Ma ciò che davvero rese unico questo luogo fu la capacità di anticipare i tempi. A Camden si respirava un’atmosfera di fermento culturale: i mercati erano pieni di giovani artigiani, stilisti, venditori di vinili e poster; le strade erano un palcoscenico di mode eccentriche e linguaggi artistici in continua mutazione. Il Dingwalls diventò immediatamente parte integrante di questo ecosistema, una sorta di estensione naturale del mercato, dove la creatività trovava la sua espressione più potente nella musica dal vivo.
Durante gli anni Settanta e Ottanta, il locale consolidò la propria reputazione come punto di riferimento per il pub rock e il nascente movimento punk britannico. Qui si incontravano musicisti destinati a scrivere pagine fondamentali della storia del rock, ma anche band minori che trovavano finalmente uno spazio per esibirsi. Non era raro che le serate finissero in episodi di eccesso e scontri, come quello passato alla storia nel 1976, quando The Clash, The Sex Pistols e The Stranglers furono coinvolti in una rissa fuori dal club. Episodi del genere contribuirono ad alimentare la leggenda del Dingwalls, rendendolo non solo un luogo di musica, ma anche di narrazioni ribelli e cronache underground.
Parallelamente, il locale divenne un punto di riferimento per la critica musicale. Riviste e giornalisti cominciarono a seguirne i concerti, consapevoli che al Dingwalls era possibile intercettare le nuove tendenze prima che diventassero mainstream. Non a caso, band come R.E.M. decisero di esibirsi qui nel 1983, quando erano ancora agli inizi della loro carriera europea, trovando un pubblico pronto ad accoglierli.
L’atmosfera del Dingwalls era così particolare che persino Charlie Watts, leggendario batterista dei Rolling Stones, non resistette al fascino del palco di Camden e partecipò a jam session indimenticabili. Questo intreccio tra grandi nomi e artisti emergenti rimane una delle cifre distintive del club: un luogo dove la storia del rock e del folk si intrecciava continuamente con il futuro della musica indipendente.
Ancora oggi, camminando lungo il Regent’s Canal e osservando la facciata del Dingwalls, è possibile immaginare il rombo dei concerti che negli anni Settanta scuotevano le mura di mattoni. Camden, con i suoi mercati e il suo spirito bohémien, continua a vivere in simbiosi con questo locale, che ha saputo attraversare i decenni senza perdere la propria identità. E forse è proprio questa capacità di evolversi senza snaturarsi a spiegare perché il Dingwalls, a distanza di cinquant’anni, sia ancora considerato il cuore pulsante della scena musicale londinese.
Dal punk all’indie: gli anni d’oro del Dingwalls
Negli anni Ottanta il Dingwalls Camden si trovò al centro di una rivoluzione musicale e sociale che trasformò radicalmente l’identità del locale e la percezione che Londra aveva della propria scena underground. Se gli anni Settanta erano stati il periodo della scoperta e della contaminazione tra folk, jazz e prime avvisaglie di punk, gli Ottanta portarono il locale a consolidarsi come epicentro di un movimento che avrebbe cambiato per sempre la musica britannica.
Uno degli episodi più ricordati di quegli anni fu il concerto dei Ramones, che già avevano incendiato i club di New York ma che a Camden trovarono un pubblico pronto a recepire quella scarica di energia travolgente. L’eco del loro passaggio al Dingwalls fu enorme e contribuì a diffondere il verbo punk nel Regno Unito, al pari delle esibizioni di band come The Clash e Sex Pistols, spesso presenti nelle cronache del locale anche per episodi extra-musicali. La famosa rissa del 1976 fuori dal club, che coinvolse Clash, Pistols e Stranglers, resta un aneddoto che ancora oggi circola come una sorta di mito fondativo del punk londinese: il Dingwalls come arena in cui le tensioni della gioventù ribelle trovavano spazio non solo sul palco ma anche nella strada adiacente.

I Killerhertz durante un concerto al Dingwalls di Camden nel 1981, uno dei periodi d’oro del locale.
Ma il locale non si fermava al punk. Negli stessi anni ospitò artisti più eclettici, capaci di traghettare la musica verso nuove direzioni. R.E.M., ad esempio, nel 1983 salì sul palco del Dingwalls in una delle prime date europee, dimostrando che Camden era un trampolino perfetto anche per band americane destinate a diventare icone planetarie. Non meno significativa fu la presenza di Blondie, che proprio al Dingwalls trovò terreno fertile per presentarsi al pubblico britannico con l’energia carismatica di Debbie Harry.
La forza del Dingwalls stava nella sua capacità di anticipare le tendenze. Mentre altre venue londinesi tendevano a concentrarsi su generi consolidati, Camden e il suo club più celebre erano un laboratorio aperto. Qui trovavano spazio band emergenti, serate improvvisate, jam session di artisti già affermati, e soprattutto una comunità che non giudicava. Il club non era solo un luogo per ascoltare musica, ma un crocevia di stili, di culture, di linguaggi.
Negli anni Novanta, con l’esplosione delle sonorità elettroniche e la diffusione della club culture, il Dingwalls seppe reinventarsi ancora una volta. La serata “Talkin’ Loud and Saying Something”, curata dal celebre DJ Gilles Peterson e da Patrick Forge, divenne rapidamente un’istituzione della scena londinese. Lì si mescolavano jazz, soul, acid-house e nuove sonorità ibride che avrebbero poi influenzato il fenomeno dell’acid jazz. Queste notti hanno contribuito a trasformare il Dingwalls in un punto di riferimento non solo per il rock, ma anche per le nuove generazioni di clubbers che cercavano un’alternativa sofisticata ai grandi rave. Peterson, con il suo gusto enciclopedico, trasformò la dance hall di Camden in una fucina di talenti, dando spazio ad artisti che sarebbero diventati protagonisti del panorama internazionale.
Proprio in quegli anni, il locale acquisì la reputazione di palestra musicale per chiunque volesse farsi notare. Non erano solo le grandi star a riempire la sala da 500 posti: al Dingwalls trovarono visibilità anche band agli inizi come Radioheado Coldplay, che qui si esibirono in contesti intimi prima di riempire gli stadi. Nel 2011, ad esempio, i Coldplay scelsero proprio questo palco per un concerto trasmesso in diretta dalla BBC Radio 2, confermando come ancora oggi il locale venga percepito come spazio simbolico per performance di grande intensità emotiva.
Parallelamente, il Dingwalls continuava a essere il cuore pulsante del quartiere. Camden negli anni Ottanta e Novanta era un luogo che attirava turisti, appassionati di moda alternativa, giovani in cerca di esperienze autentiche. Passeggiare tra i mercati, acquistare vinili rari, fermarsi a bere una birra lungo il Regent’s Canal e poi entrare al Dingwalls per un concerto: questo era il rituale di intere generazioni di londinesi e visitatori. Non a caso, il locale è spesso citato in guide turistiche e articoli come un punto imprescindibile per comprendere l’anima del quartiere (Camden Market).
L’evoluzione della sua programmazione musicale non significò mai un tradimento delle radici. Al contrario, il Dingwalls riuscì a mantenere saldo il legame con il passato punk e rock, accogliendo allo stesso tempo nuove correnti. Le jam session con Charlie Watts dei Rolling Stones sono ricordate come momenti unici, in cui la leggenda si mescolava alla quotidianità di Camden. Watts, con la sua eleganza discreta, saliva sul palco quasi come un musicista qualsiasi, ma la sua presenza rendeva quelle notti memorabili.
Il locale fu anche protagonista di alcuni eventi speciali come il Camden Crawl, festival itinerante che coinvolgeva più venue del quartiere. Durante questo evento, centinaia di band emergenti e già affermate si alternavano sui palchi, e il Dingwalls rappresentava una delle tappe obbligate, grazie al suo prestigio storico e alla capacità di attrarre un pubblico eterogeneo. Su questo palco passarono, tra gli altri, nomi destinati a lasciare un segno profondo nella musica britannica, da Amy Winehouse a Florence + The Machine, consolidando ancora di più la reputazione del club.
L’aspetto architettonico e la disposizione interna contribuirono a creare un’aura particolare. A differenza delle grandi arene, il Dingwalls manteneva una struttura su più livelli, con balconate che circondavano il palco e permettevano una visuale ravvicinata. Questa intimità creava un contatto diretto tra artisti e pubblico, spesso ricordato dai musicisti stessi come un’esperienza unica. Il fotografo Roger Morton, che frequentava regolarmente il locale, lo descrisse come “buio, spartano e pieno di vita”, un ritratto che sintetizza perfettamente lo spirito del Dingwalls (The Guardian).
Dopo decenni di attività ininterrotta, il locale dovette affrontare la sfida del nuovo millennio. Negli anni 2000 l’industria musicale cambiava rapidamente, con l’avvento del digitale e la trasformazione dei modelli di consumo. Tuttavia, il Dingwalls non perse mai il proprio ruolo centrale: band come i Foo Fighters, i Red Hot Chili Peppers, i Stereophonicse persino gli Imagine Dragons scelsero questo palco per concerti speciali o date esclusive. Era il segno che, nonostante la crescente globalizzazione della musica, Camden e il suo club simbolo continuavano a rappresentare un luogo dal fascino irresistibile, capace di mantenere intatta l’aura di autenticità.
Persino le difficoltà legate alla pandemia non riuscirono a spegnere il mito. Nel 2020, il promoter Vince Power acquistò il locale e lo ribattezzò temporaneamente The PowerHaus a causa di una controversia legale sul marchio. Una scelta che suscitò reazioni contrastanti tra i fan storici, ma che non intaccò l’attività musicale del club. Fortunatamente, nel 2023, a ridosso del cinquantesimo anniversario, il nome originale fu recuperato, restituendo a Camden uno dei suoi simboli più autentici (Camdenist).
Così, dagli anni Ottanta fino ai primi anni Duemila, il Dingwalls non solo sopravvisse ma rafforzò la propria leggenda. Continuò a essere crocevia di generi, di epoche e di storie, mantenendo quella caratteristica che da sempre lo contraddistingue: la capacità di adattarsi ai tempi senza perdere mai la propria anima.
Un’eredità viva: dal 2010 a oggi
Entrare oggi al Dingwalls Camden significa attraversare la storia della musica britannica e, al tempo stesso, partecipare a un presente in continua trasformazione. Se negli anni Settanta il locale rappresentava la voce del folk e del nascente punk, se negli Ottanta e Novanta era stato il cuore dell’indie e dell’acid jazz, negli ultimi quindici anni il Dingwalls si è affermato come un punto di incontro intergenerazionale. È un luogo in cui il passato non è solo memoria, ma parte integrante dell’esperienza del pubblico.
Negli anni 2010, il club è tornato a ospitare serate che hanno segnato una rinascita della sua immagine. La scelta di band affermate come i Coldplay, che nel 2011 decisero di esibirsi qui in un concerto esclusivo trasmesso dalla BBC, confermò la reputazione del locale come palco dal valore simbolico. L’esibizione fu una celebrazione dell’intimità: vedere una delle band più popolari del mondo suonare in una sala da poche centinaia di posti era un richiamo alla dimensione autentica dei concerti dal vivo, lontana dagli stadi e dalle produzioni mastodontiche.
Non meno significativa è stata la presenza di artisti contemporanei come George Ezra, Imagine Dragons e Noel Gallagher, che hanno trovato nel Dingwalls non solo un luogo per esibirsi, ma anche uno spazio in cui dialogare con le radici della musica inglese. Ezra, in particolare, ha spesso sottolineato come la vicinanza con il pubblico e l’atmosfera calda del locale abbiano reso le sue performance qui tra le più emozionanti della sua carriera.
Il club non ha mai smesso di sostenere anche la scena emergente. Camden resta un quartiere che attira giovani musicisti da tutto il mondo, e il Dingwalls continua a rappresentare la porta d’ingresso per chi sogna di affacciarsi sul panorama londinese. In questo senso, il locale mantiene intatto il ruolo che ebbe negli anni Settanta: essere un incubatore di talenti, un palcoscenico in cui sperimentare, rischiare, crescere.
Il legame con il quartiere resta fortissimo. Camden, con i suoi mercati, i suoi murales, i negozi alternativi e le folle di turisti, è un microcosmo che ancora oggi vive di contrasti e contaminazioni. Il Dingwalls, incastonato lungo il Regent’s Canal, continua a incarnare lo spirito ribelle e creativo del luogo. Passeggiare sul ponte che attraversa il canale, fermarsi a osservare l’edificio in mattoni con il suo storico nome riportato alla luce, significa comprendere quanto il club sia parte integrante del paesaggio urbano e culturale londinese.
Il periodo della pandemia fu forse uno dei più difficili della sua lunga storia. Il cambio di nome in The PowerHaus nel 2020, imposto da una controversia legale sul marchio, fu percepito da molti come un tentativo di recidere le radici. Tuttavia, la comunità musicale e i fan dimostrarono quanto forte fosse il legame con il nome originale. Quando nel 2023 il club poté tornare a chiamarsi Dingwalls, la notizia fu accolta come una vittoria collettiva: non era solo un cambio di insegna, ma il recupero di un’identità condivisa.
Questa capacità di resistere e reinventarsi è ciò che rende il Dingwalls un simbolo più ampio della cultura londinese. In una città in cui i grandi spazi per concerti rischiano di trasformarsi in arene impersonali, il club di Camden rappresenta la resistenza della musica dal vivo come esperienza autentica e comunitaria. Qui non c’è solo un palco, ma un rapporto diretto tra artisti e pubblico, che sopravvive da cinquant’anni.
L’importanza culturale del Dingwalls è riconosciuta anche al di fuori del contesto musicale. Diversi studi e articoli lo citano come esempio di come la rigenerazione urbana possa convivere con la memoria storica. Camden è cambiata radicalmente dagli anni Settanta: i mercati si sono trasformati, i turisti hanno preso il posto dei ragazzi ribelli che animavano le strade, ma il Dingwalls ha mantenuto un filo rosso che collega generazioni diverse. È un caso raro in cui l’autenticità non è stata sacrificata sull’altare della commercializzazione.
Dal punto di vista artistico, il club ha continuato a diversificare la propria programmazione. Accanto ai concerti rock e indie, ospita serate di stand-up comedy, eventi jazz e festival locali. Questa varietà è una delle chiavi del suo successo: non limitarsi a un solo genere, ma restare un punto di riferimento per la creatività a 360 gradi. Chi visita il sito ufficiale Dingwalls può trovare un calendario che alterna artisti affermati e giovani promesse, mantenendo viva la vocazione eclettica del club.
L’eredità del Dingwalls non è fatta solo di musica, ma anche di storie e aneddoti. Le serate leggendarie con Blondie o i Ramones, le risse fuori dal locale negli anni Settanta, le notti di acid jazz negli anni Novanta, le jam di Charlie Watts: tutti questi episodi fanno parte di una mitologia collettiva che arricchisce l’esperienza di chi oggi entra per un concerto. Per molti spettatori, la consapevolezza di trovarsi nello stesso luogo che ha visto nascere interi movimenti culturali aggiunge un’emozione in più.
Le prospettive future sembrano positive. Nonostante le difficoltà economiche che minacciano molti club indipendenti londinesi, il Dingwalls beneficia di una reputazione solida e di un sostegno costante da parte del pubblico. L’avvicinarsi del cinquantesimo anniversario nel 2023 ha rafforzato ulteriormente l’attenzione mediatica e istituzionale, garantendo visibilità e investimenti. La speranza è che il club possa continuare a svolgere il suo ruolo per altri cinquant’anni, mantenendo viva la fiamma della musica dal vivo a Camden.
Oggi, chi varca la soglia del Dingwalls non entra solo in un locale, ma in un pezzo di storia. Le mura di mattoni trasudano memoria, i palchi portano ancora l’eco delle chitarre punk, le luci soffuse ricordano le notti di acid jazz, e il pubblico continua a vibrare con la stessa passione di allora. Non è un museo della musica, ma un organismo vivo, capace di respirare e trasformarsi, restando fedele a sé stesso.
In questo senso, il Dingwalls rappresenta un raro esempio di continuità culturale: un club che, invece di piegarsi ai tempi, li ha sempre interpretati e a volte anticipati. E forse è proprio questo il segreto della sua longevità: la capacità di restare, da cinquant’anni, il cuore musicale di Camden.
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