Eadweard Muybridge, il fotografo che diede vita al movimento
Nella storia della fotografia britannica, pochi nomi risuonano con la forza rivoluzionaria di Eadweard Muybridge. Nato nel 1830 a Kingston upon Thames, Muybridge fu un pioniere assoluto della fotografia scientifica e dell’analisi del movimento, un uomo capace di trasformare un esperimento tecnico in una forma d’arte e conoscenza. La sua eredità va oltre l’obiettivo fotografico: anticipò il linguaggio del cinema e creò un ponte tra la scienza ottocentesca e l’immaginazione visiva del XX secolo. Dalle vallate del West americano alle università della Pennsylvania, il suo lavoro fuse estetica e tecnica, diventando un simbolo della modernità.
Le origini di un innovatore tra due mondi
Eadweard Muybridge, all’anagrafe Edward James Muggeridge, nacque nel 1830 a Kingston upon Thames, nel Surrey, in una famiglia di mercanti. Dopo un’infanzia modesta ma colta, emigrò negli Stati Uniti intorno ai vent’anni, come molti britannici dell’epoca in cerca di fortuna e nuove opportunità. A New York lavorò inizialmente come libraio e commerciante d’arte, ma fu a San Francisco, città in pieno fermento post-corsa all’oro, che la sua vita cambiò direzione.

Nel 1860, durante un viaggio verso il Texas, fu vittima di un grave incidente in carrozza che lo lasciò ferito alla testa. Il lungo periodo di convalescenza in Inghilterra, secondo alcuni studiosi, ne alterò parzialmente la personalità e ne accentuò il genio visionario e l’ossessione per il tempo e il movimento. Tornato in California, si reinventò fotografo, e già negli anni Sessanta dell’Ottocento realizzò paesaggi mozzafiato della Yosemite Valley, opere che gli valsero un riconoscimento immediato per la loro precisione e intensità atmosferica. Queste prime immagini, esposte anche al San Francisco Art Institute, rivelavano la mano di un uomo che cercava nella fotografia non solo la rappresentazione, ma la verità del visibile.
Durante questo periodo, Muybridge collaborò con istituzioni culturali e scientifiche americane e britanniche, stabilendo contatti che sarebbero stati fondamentali per i suoi esperimenti futuri. Come riporta il Victoria and Albert Museum(vam.ac.uk), la sua formazione autodidatta lo portò a un livello di sperimentazione tecnica raramente raggiunto in quegli anni.
Il cavallo in corsa che cambiò la storia
La vera svolta arrivò nel 1872, quando l’ex governatore della California e magnate delle ferrovie Leland Stanford, appassionato allevatore di cavalli, gli commissionò una serie di fotografie per risolvere una questione che divideva il mondo scientifico e sportivo: durante il galoppo, un cavallo solleva mai contemporaneamente tutte e quattro le zampe da terra?
Muybridge accettò la sfida e nel giugno 1878, dopo anni di tentativi e innovazioni tecniche, riuscì nell’impresa. Collocò dodici macchine fotografiche lungo una pista di Palo Alto, azionate da fili collegati al passaggio del cavallo e sincronizzate con otturatori elettrici. Il risultato fu una serie di immagini sequenziali che, osservate in rapida successione, mostravano chiaramente che sì, durante il galoppo il cavallo rimane sospeso per un attimo.
Questa sequenza, intitolata The Horse in Motion, pubblicata nel 1878 su Scientific American, divenne una pietra miliare nella storia della fotografia. Non solo risolse una disputa scientifica, ma aprì la strada alla cronofotografia, ovvero lo studio del movimento attraverso sequenze di immagini. L’esperimento di Muybridge, come spiega il San Francisco Museum of Modern Art (sfmoma.org), segnò l’inizio di un nuovo modo di percepire la realtà: non più come un insieme di istanti separati, ma come un flusso continuo scomponibile in fasi.
Il suo lavoro suscitò enorme interesse nel mondo accademico e artistico. Scienziati, fisiologi, artisti e pittori — tra cui Thomas Eakins e successivamente Marcel Duchamp — studiarono le sue immagini per comprendere le dinamiche del movimento umano e animale. In poche settimane, il nome di Muybridge divenne sinonimo di innovazione e precisione ottica.
L’invenzione dello Zoopraxiscope e la nascita del movimento
Spinto dal successo dell’esperimento californiano, Muybridge iniziò a interrogarsi su come dare vita a quelle immagini statiche. Nel 1879 inventò il Zoopraxiscope, un dispositivo ottico in grado di proiettare sequenze di immagini su un disco di vetro, creando l’illusione del movimento. Il principio era simile a quello che, decenni più tardi, sarebbe stato alla base del cinematografo dei fratelli Lumière.
Con questo strumento, Muybridge portò il movimento dalla scienza alla sala conferenze. Durante le sue lezioni pubbliche, proiettava sequenze di cavalli, uccelli o persone in azione, lasciando il pubblico stupefatto. Come riporta la Royal Photographic Society (rps.org), i suoi spettacoli furono tra i primi esempi di proiezione di immagini in movimento nella storia, combinando educazione scientifica e intrattenimento visivo.
In questi anni, Muybridge non fu solo inventore ma anche divulgatore. Viaggiò tra gli Stati Uniti e l’Europa, tenendo conferenze a Londra, Parigi e Berlino. Fu invitato anche dalla Royal Society, dove illustrò le sue tecniche fotografiche di sincronizzazione e sviluppo. Il suo lavoro dimostrò che la fotografia poteva essere un potente strumento scientifico, non solo artistico, capace di svelare fenomeni invisibili all’occhio umano.
“Animal Locomotion”: la scienza incontra l’arte
Tra il 1883 e il 1886 Muybridge lavorò alla University of Pennsylvania, dove realizzò il suo progetto più ambizioso: Animal Locomotion. Con l’aiuto dell’università e di un’équipe di tecnici, installò una batteria di 24 fotocamere per catturare sequenze di uomini e animali in movimento. Gli studi comprendevano attività quotidiane — dal camminare al correre, dal sollevare pesi al saltare — e furono eseguiti spesso con soggetti nudi, per mostrare con maggiore chiarezza l’anatomia del corpo in azione.

Nel 1887 pubblicò l’opera in 11 volumi e 781 tavole, una collezione di oltre 100.000 immagini che rappresentano una delle più straordinarie sintesi tra scienza e arte dell’Ottocento. Il progetto fu finanziato in parte dalla Pennsylvania Academy of Fine Arts e attirò l’attenzione di studiosi, artisti e medici.
Questa monumentale raccolta non solo consolidò la fama di Muybridge come pioniere della fotografia del movimento, ma aprì anche nuovi orizzonti per l’arte moderna. Le sue immagini influenzarono profondamente la rappresentazione del corpo nel futurismo, nel cubismo e nel cinema delle origini. Pittori come Marcel Duchamp si ispirarono direttamente ai suoi studi per opere come Nudo che scende le scale, mentre registi come Sergej Ėjzenštejn riconobbero in lui un precursore del montaggio cinematografico.
Oggi, le tavole di Animal Locomotion sono custodite in musei come il Smithsonian American Art Museum(americanart.si.edu) e continuano a essere oggetto di studi interdisciplinari. Muybridge riuscì, in definitiva, a trasformare la fotografia in scienza visiva, fondendo estetica, anatomia e tecnologia.
Un’eredità che anticipa il cinema
Negli anni successivi, Muybridge continuò le sue ricerche e collaborò con università e istituzioni europee. Nel 1894 tornò definitivamente in Inghilterra, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita a Kingston upon Thames, il luogo dove tutto era cominciato. Morì nel 1904, lasciando dietro di sé un patrimonio tecnico e intellettuale immenso.

La sua influenza, tuttavia, non si spense con la sua morte. I suoi esperimenti furono studiati da Étienne-Jules Marey, fisiologo francese che ne sviluppò le tecniche per creare la cronofotografia a singola macchina, e successivamente dai pionieri del cinema come Thomas Edison e i fratelli Lumière. Ogni sviluppo successivo della fotografia in movimento — dalle prime bobine di celluloide alle proiezioni cinematografiche — deve qualcosa alle sue intuizioni.
Molti studiosi definiscono Muybridge “il primo regista della storia”, non per l’intenzione narrativa ma per la sua capacità di comprendere che il movimento poteva essere rappresentato e analizzato come un fenomeno visivo continuo. Come sottolinea il British Film Institute (bfi.org.uk), il suo Zoopraxiscope è considerato il primo dispositivo a proiettare immagini in movimento, rendendo Muybridge un vero anello di congiunzione tra la fotografia e il cinema.
L’eredità scientifica e artistica di Muybridge
La figura di Eadweard Muybridge si colloca in una zona di confine tra arte e scienza, un equilibrio precario che ha influenzato profondamente non solo la fotografia, ma anche la percezione moderna del movimento. Con i suoi esperimenti, Muybridge ha anticipato alcune delle teorie che sarebbero poi divenute fondamento dell’ottica fisiologica e della percezione visiva. I suoi studi sul “persisting image” – l’immagine residua che l’occhio umano conserva per una frazione di secondo dopo l’esposizione a un’immagine luminosa – furono decisivi per comprendere come la mente interpreti le sequenze in movimento. La sua intuizione che la percezione visiva potesse essere scomposta in istanti distinti ma continui avrebbe trovato applicazione non solo nella cinematografia, ma anche nella fisiologia, nella biomeccanica e nella psicologia sperimentale.
Negli anni successivi alla pubblicazione di Animal Locomotion, Muybridge collaborò con scienziati e studiosi di diversi campi, tra cui l’Università della Pennsylvania e la Royal Society di Londra, presentando le sue fotografie come dati empirici piuttosto che opere d’arte. Tuttavia, l’impatto visivo delle sue immagini era innegabile: la simmetria, la tensione, la drammaticità delle figure congelate nel tempo trasformavano i suoi studi in qualcosa di più profondo di una semplice analisi scientifica. In un’epoca in cui la velocità e il progresso stavano ridefinendo l’identità della società industriale, Muybridge offrì agli osservatori l’illusione di poter controllare il movimento stesso – di dominarlo, di sezionarlo, di comprenderlo.
La sua opera influenzò non solo i fotografi coevi, ma anche artisti di epoche successive. Marcel Duchamp riconobbe in Muybridge una delle fonti del suo celebre Nudo che scende le scale, così come i Futuristi italiani trovarono nella scomposizione del gesto una nuova grammatica visiva. Pittori come Francis Bacon e registi come Stanley Kubrickcitarono o reinterpretarono le sue sequenze come simbolo del rapporto tra corpo, movimento e potere visivo. In ambito accademico, l’approccio sistematico di Muybridge alla catalogazione del moto umano e animale divenne una base per le prime ricerche cinematiche e per la nascita della fotogrammetria.
Muybridge e il mito del pioniere moderno
Negli ultimi decenni, la figura di Muybridge è stata oggetto di una rinnovata attenzione critica. I suoi archivi, conservati in parte alla University of California, Berkeley e in parte alla Royal Photographic Society di Bath, sono stati studiati come esempio di come la fotografia ottocentesca possa essere allo stesso tempo strumento di indagine scientifica e costruzione estetica del sapere. L’artista-fotografo, con il suo sguardo severo e la sua vita tormentata, incarna perfettamente il mito del pioniere moderno: l’uomo che cerca di catturare il tempo, di renderlo misurabile, di fissarlo in un’immagine.
La sua biografia, segnata da viaggi, scandali e sperimentazioni, riflette l’inquietudine di un’epoca in transizione tra il mondo analogico e quello meccanico. Muybridge non era semplicemente un tecnico, ma un visionario. I suoi panorami dello Yosemite, le fotografie urbane di San Francisco e le sequenze di cavalli al galoppo non sono solo documenti, ma tentativi di costruire una nuova percezione della realtà. La tensione tra arte e scienza, che percorre tutta la sua produzione, continua a renderlo attuale: oggi le sue immagini sono lette anche in chiave di proto-cinema e di anticipazione dei media digitali, dove la manipolazione del tempo visivo è al centro dell’esperienza percettiva.
Il suo Zoopraxiscope, spesso considerato un precursore del proiettore cinematografico, rappresenta simbolicamente il punto di convergenza tra l’immaginazione artistica e l’innovazione tecnologica. Attraverso la proiezione di immagini su un disco di vetro rotante, Muybridge trasformò la fotografia statica in narrazione visiva, aprendo la strada al linguaggio del cinema. Oggi il suo nome figura tra i precursori di Georges Méliès e dei fratelli Lumière, ma la sua influenza si estende ben oltre il cinema: le sue ricerche trovano eco nei moderni studi di motion capture, animazione digitale e neuroscienze visive.
In un mondo dominato dalle immagini in movimento, la lezione di Muybridge rimane più attuale che mai: ci ricorda che ogni progresso tecnologico nasce da un atto di meraviglia, dalla volontà di fermare l’istante e di comprenderlo nella sua essenza più profonda. La sua ossessione per il tempo, il corpo e la luce continua a ispirare artisti, registi e scienziati, facendo di lui non solo un pioniere della fotografia, ma anche un architetto del movimento moderno.
L’uomo dietro l’obiettivo
Al di là delle sue invenzioni, Eadweard Muybridge fu un personaggio complesso, affascinante e a tratti contraddittorio. La sua vita privata fu segnata da drammi e scandali. Nel 1874 uccise Harry Larkyns, l’amante della moglie, ma fu assolto con la motivazione di “omicidio giustificato”. Questo episodio, pur macchiandone la reputazione, contribuì a costruire il mito dell’artista geniale e tormentato.

Il suo carattere eccentrico si rifletteva persino nella sua identità: nel corso della vita cambiò più volte nome e ortografia (Edward Muggeridge, Eadweard Muygridge, fino all’attuale Eadweard Muybridge), ispirandosi alle radici sassoni del suo luogo di nascita. Il suo stile di vita nomade, diviso tra America e Inghilterra, tra arte e scienza, incarnava perfettamente lo spirito vittoriano del progresso, in cui la curiosità umana si univa al desiderio di dominare la natura attraverso la tecnologia.
Muybridge fu un uomo di confine: tra arte e scienza, tra follia e genio, tra immagine e movimento. La sua opera ha ispirato generazioni di artisti, scienziati e cineasti, ed è ancora oggi un riferimento imprescindibile per chi studia la rappresentazione visiva del tempo e del corpo.
Come scrisse il critico Beaumont Newhall, “Muybridge non fotografò solo il movimento, ma il tempo stesso”.
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