Edilizia e crisi climatica: servono materiali circolari e intelligenza artificiale
Un recente studio pubblicato su Nature Communications avverte che, anche se tutti i settori tranne l’edilizia raggiungessero la neutralità climatica oggi, le sole emissioni da costruzione supererebbero gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. La sfida passa da una rivoluzione dei materiali e da una gestione intelligente degli edifici
Basta il solo comparto delle costruzioni a superare la soglia di 1,5°C di riscaldamento globale entro il 2050 perché l’impronta carbonica legata alla produzione di cemento, acciaio, mattoni e altri materiali da costruzione è enorme: infatti, insieme rappresentano circa un terzo delle emissioni globali di CO2.
Secondo uno studio pubblicato su Nature Communications, nel 2022 il settore ha generato 12,2 gigatonnellate di CO2, di cui il 40% dovute a cemento, clinker e argilla, e un ulteriore 15% ai metalli.
Dal 1995 a oggi, l’intensità carbonica complessiva dei materiali da costruzione è cresciuta dal 39% al 57% delle emissioni del comparto, segno di un modello industriale che continua a consumare più risorse e produrre più CO2.
Gli autori dello studio invocano una material revolution globale, basata su materiali bio-based, riutilizzati e circolari. Tuttavia, questa transizione non sarà immediata: sostituire i materiali convenzionali con alternative a basso impatto richiederà decenni e investimenti dell’ordine dei trilioni di dollari.
La geografia globale delle emissioni edilizie
Il problema, secondo Nature Communications, ha una chiara distribuzione geografica. L’Asia produce oggi oltre il 70% della CO2 legata all’edilizia, con la sola Cina responsabile di 6 gigatonnellate e l’India di poco più di una, più di quanto emettano insieme Europa, Nord America e Africa.
Nei Paesi industrializzati, invece, la sfida è diversa: si costruisce meno, ma si continua a dipendere da cemento e acciaio per le ristrutturazioni e gli ampliamenti urbani. Le regioni in rapido sviluppo, come Africa e Medio Oriente, registrano invece la crescita più veloce del settore, man mano che le città si espandono.
Per i ricercatori, la chiave sarà ridurre la quantità di materiali impiegati nei Paesi emergenti e ottimizzare la gestione energetica degli edifici esistenti in quelli sviluppati.
L’Europa, osservano gli autori, non ha bisogno di più cemento, ma di sistemi energetici più intelligenti, mentre l’Asia deve evitare di bloccare inefficienze strutturali sin dall’inizio.
La seconda metà del problema: gli edifici che sprecano energia
Mentre la ricerca accademica si concentra sull’impronta dei materiali, le imprese che operano nel settore dell’efficienza energetica avvertono che il problema non si esaurisce nei cantieri.
Secondo l’azienda Exergio – che sviluppa piattaforme di intelligenza artificiale per l’ottimizzazione energetica – anche gli edifici costruiti con materiali a impatto zero continuano a sprecare energia una volta entrati in funzione.
In molti edifici, infatti, il consumo energetico invisibile nasce da sistemi che lavorano in conflitto tra loro – impianti di riscaldamento e raffrescamento attivi contemporaneamente, sensori imprecisi, stanze mantenute a temperatura anche quando sono vuote. Questi sprechi possono arrivare a rappresentare fino al 40% dell’energia globale consumata dagli edifici.
Puntare solo su nuovi materiali o su ristrutturazioni profonde rischia di spostare il problema anziché risolverlo. Per Exergio, infatti, rifare facciate, finestre o impianti Hvac su larga scala comporta enormi quantità di cemento, acciaio e plastica, proprio i materiali che oggi alimentano la crescita delle emissioni.
La soluzione proposta è invece quella di un retrofit digitale, un intervento soft che non sostituisce le apparecchiature ma le rende intelligenti.
La piattaforma dell’azienda si collega ai sistemi di gestione degli edifici esistenti e regola automaticamente riscaldamento, ventilazione e condizionamento in base a parametri in tempo reale – come l’occupazione degli spazi, le condizioni meteorologiche e le variazioni di temperatura.
Questo approccio può ridurre gli sprechi energetici fino al 30% senza necessità di lavori strutturali. In sostanza, è un modo per intervenire subito, evitando di generare nuove emissioni da costruzione.
Una doppia sfida: efficienza e responsabilità
L’edilizia è oggi un settore paradossale: costruisce le infrastrutture della transizione ecologica, ma continua a essere una delle principali fonti di inquinamento. Per questo la soluzione non può limitarsi a un’unica dimensione.
Da un lato serve una trasformazione radicale dei materiali, orientata al riuso e alla bioedilizia; dall’altro è necessario ripensare l’uso e la gestione energetica dell’intero patrimonio edilizio esistente.
La rivoluzione, insomma, non passa solo per i mattoni ma anche per i bit: unire sostenibilità dei materiali e intelligenza artificiale significa ridurre oggi ciò che non possiamo più permetterci di sprecare – l’energia, il tempo e il clima stesso.
Crediti immagine: Depositphotos
L'articolo Edilizia e crisi climatica: servono materiali circolari e intelligenza artificiale è stato pubblicato su GreenPlanner Magazine.
Qual è la tua reazione?
Mi piace
0
Antipatico
0
Lo amo
0
Comico
0
Furioso
0
Triste
0
Wow
0




