Ex Ilva, 6mila in cassa integrazione e sirene di chiusura: a Genova si alza la tensione

Novembre 13, 2025 - 08:00
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Ex Ilva, 6mila in cassa integrazione e sirene di chiusura: a Genova si alza la tensione
sciopero ilva 2maggio

Genova. Incremento della cassa integrazione da 4.550 a 5.700 unità entro fine dicembre, poi stop a tutte le cokerie per arrivare a 6mila lavoratori a casa (su circa 9.700) dal 1° gennaio. È quanto prevede il piano per l’ex Ilva presentato dal ministro Adolfo Urso ai sindacati. Un “piano di decarbonizzazione in quattro anni”, lo chiama il Governo, che assicura la continuità produttiva. “Un piano di chiusura“, lo definiscono invece senza mezzi termini le sigle dei metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm, che hanno abbandonato la trattativa e hanno chiesto alla premier Giorgia Meloni di prendere in mano direttamente il tavolo.

E la tensione è destinata ad alzarsi drammaticamente anche a Genova, dove qualche mese fa il dibattito ruotava intorno all’ipotesi del forno elettrico, mentre adesso ci si aspetta che lo stabilimento possa fermarsi da un momento all’altro. “La situazione è molto seria, questa è un’inversione di marcia a 360 gradi che non avevamo mai visto – tuona Armando Palombo, storica voce della Fiom Cgil e delegato della Rsu -. Questa è l’anticamera della chiusura. Ricordo che a Cornigliano la cokeria ha chiuso nel 2002, nel 2005 ha chiuso anche l’altoforno”.

C’è un termine, nelle slide preparate dal ministero delle Imprese, che toglie il sonno a chi lavora all’ex Ilva di Genova. È il “piano a ciclo corto” che verrebbe attivato dal 15 novembre. Significa, in buona sostanza, che la produzione si interrompe prima di rivestire i cosiddetti rotoli neri, cioè quelli che vengono inviati a Genova e agli stabilimenti del Nord per le linee di zincatura, stagnatura e cromatura. Così, nel giro di qualche settimana, a Cornigliano non arriverebbe più nulla da Taranto. L’unica alternativa sarebbe l’acquisto di acciaio da terzi, con una serie di problemi tecnici da risolvere e ben poche garanzie allo stato attuale.

Le stime dei sindacati, basate sulle proporzioni tra gli organici dei singoli siti produttivi, parlano di mille lavoratori in cassa integrazione al Nord, con una quota che a Genova potrebbe attestarsi sulle 600 unità. “In pratica vuol dire chiudere tutto, noi non ci stiamo – avverte Palombo -. Faremo assemblee a tappeto in tutti gli stabilimenti, verosimilmente da lunedì, anche perché bisognerà vedere cosa farà il governo adesso. Ora sangue freddo e carichiamo le truppe“.

C’è poi un altro fatto interpretato come un segnale nefasto. L’azienda ha comunicato alla Rsu la sospensione dell’accordo del 2024 che prevedeva la possibilità per i lavoratori di trasformare la cassa integrazione straordinaria in smaltimento di ferie pregresse. Un accordo che era stato strappato proprio dai delegati di Cornigliano con l’obiettivo di limitare la perdita di salario per i dipendenti. “È inaccettabile, la situazione sta precipitando con tutte le conseguenze”, il commento di Palombo in una nota diffusa in giornata.

Nei prossimi giorni, insomma, la lotta è destinata a ripartire dopo mesi di attendismo. Anche perché nel frattempo, a Roma, il Governo ha tirato fuori il tema aree, quelle di Taranto e quelle di Genova. Come è noto, oltre un milione di metri quadrati vicino al mare e all’autostrada fanno gola a tanti, in particolare agli operatori della logistica. La linea della Fiom è netta: “Su quelle aree ci sono 1.200 codici fiscali, come dico io, che difenderemo in tutti i modi, se necessario anche con nidi di mitragliatrici lungo i confini – è la metafora usata da Palombo -. Quei lavoratori non devono perdere neanche un euro, c’è un accordo di programma che prevede continuità occupazionale e salariale”.

E le trattative per la vendita? Il ministro Urso ha parlato ai sindacati di quattro soggetti potenzialmente interessati, citando ancora Baku Steel e i due fondi che si erano fatti avanti a settembre, Flacks Group e Bedrock. A questi si aggiungerebbe un altro “operatore estero” con cui è stato firmato un “accordo di riservatezza” in vista di un’eventuale manifestazione di interesse. Una trattativa che finora non era emersa, sulla quale c’è il massimo riserbo nella flebile speranza che possa essere quella giusta per traghettare l’ex Ilva fuori dalla palude.

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Redazione Redazione Eventi e News