Fer X, dal decreto che esclude il fotovoltaico cinese costi più alti e vantaggi incerti per l’industria

Grazie a una catena di approvvigionamento moderna e ottimizzata, al controllo delle materie prime e ad una crescente automazione sostenuta da risorse adeguate – in altre parole, grazie a una strategia industriale a lungo termine – la Cina oggi domina l’industria del fotovoltaico, controllando oltre l'80% di ogni fase di produzione dei pannelli solari. Per provare a ridurre questa dipendenza, è entrato ieri in vigore il decreto n. 220 del 4 agosto scorso, con cui il ministero dell’Ambiente modifica il decreto Fer X transitorio – approvato a fine 2024, il cui orizzonte di vita arriva appena al 31 dicembre prossimo – per incentivare un contingente da 1,6 GW di fotovoltaico con caratteristiche specifiche: la principale è che non arrivi dalla Cina.
L’asta per aggiudicarsi “l’incentivo” tramite contratti per differenza a due vie (Cfd), la seconda bandita nell’abito del Fer X transitorio, è attesa per settembre. La parola incentivo è tra virgolette perché in realtà il Cfd è uno strumento per stabilizzare nel tempo il prezzo a cui viene venduta l’elettricità. Se il prezzo spot sul mercato all’ingrosso (Pun) è più basso di quello aggiudicato in fase d’asta tramite Cfd – che si muove nell’intorno di uno strike price definito dallo Stato –, la differenza la pagano i consumatori in bolletta per assicurare la redditività dell’investimento. Se invece il Pun è più alto del prezzo emerso per i vari impianti in fase d’asta (come sta accadendo, visto che è trainato verso l’alto dal gas fossile) il Cfd di fatto alleggerisce la bolletta, perché in questo caso è il produttore a colmare la differenza, in quanto sta incassando dal mercato più di quanto stabilito. Man mano che le rinnovabili contribuiranno a far calare il Pun, il costo dell’incentivo Cfd tenderà dunque a crescere, ma si abbasserà al contempo il costo della componente energia in bolletta con beneficio netto.
La decisione di escludere la componentistica cinese andrà dunque a vantaggio dei produttori presenti in tutti gli altri Paesi – italiani compresi, si pensi alla fabbrica siciliana 3Sun di Enel green power –, ma tagliando fuori una grande fetta del mercato farà aumentare i costi in bolletta. Il gioco potrebbe valere la candela – e inserirsi appieno all’interno della logica del Net-zero industry act (Nzia) approvato dall’Ue – se contribuisse a far aumentare la produzione interna di pannelli, in favore di una maggiore autonomia strategica, risultato però tutt’altro che scontato.
«La misura che privilegia il 'Made in Europe' ha sollevato molte discussioni, ma per noi non è un ostacolo – argomenta nel merito Francesco Emmolo, general manager di Longi solar technology Italia, ramo dedicato al nostro Paese del colosso industriale cinese – Abbiamo un piano industriale solido e una presenza produttiva strategicamente diversificata. Con fabbriche consolidate in Vietnam e Malesia, e un nuovo impianto in costruzione in Indonesia, siamo in grado di servire i mercati internazionali in modo flessibile. Queste sedi produttive ci permettono di mantenere standard elevati e di fornire moduli di ultima generazione che competono su tutti gli altri criteri di merito premiati dal decreto, come l'efficienza e l'impronta di carbonio. Non escludiamo certo investimenti in Europa, ma servirebbe un piano chiaro che ci dia una prospettiva di lungo periodo. Purtroppo, iniziative di singoli stati non spostano molto e non ci permettono la programmazione necessaria per investire. Riteniamo che ci sia un rischio concreto che questa misura possa tradursi in un aumento dei costi complessivi, sia in termini di incentivi statali che di spesa per gli operatori. L'obiettivo di supportare la filiera europea è condivisibile, ma l'approccio scelto potrebbe non portare i benefici sperati, rischiando al contempo di rallentare l'adozione di energia pulita. A nostro avviso, anziché creare barriere, sarebbe più efficace promuovere una cooperazione internazionale tra i maggiori player del settore».
In altre parole, con interventi spot e senza un’adeguata politica industriale alle spalle, sperabilmente di respiro europeo, il rischio è quello di rallentare ulteriormente la transizione ecologica senza al contempo ottenere benefici tangibili sul fronte dell’autonomia strategica. Vale infatti la pena notare che l’Italia è molto lontana rispetto ai pur timidi obiettivi che si è data al 2030 per l’installazione di nuovi impianti rinnovabili, con l’alternativa dei combustibili fossili – d’importazione, viste le risibili e comunque climalteranti riserve interne – che nel solo 2024 è costata al Paese 48,5 miliardi di euro (che salgono a 375,9 a livello Ue).
Senza dimenticare che ci sono differenze fondamentali tra l’importare combustibili fossili e pannelli fotovoltaici. La prima, banalmente, è che il Paese d’esportazione può minacciare d’interrompere da un momento all’altro le forniture di gas o petrolio in caso di conflitto (la Russia di Putin rammenta qualcosa?) ma al contrario, una volta installato, il pannello solare continuerà a produrre elettricità per i suoi trent’anni di vita utile. La seconda, altrettanto importante, è che una volta bruciato il barile di petrolio non c’è più; al contrario, ancora una volta, il pannello solare – anche se acquistato all’estero – continuerà a dare energia per trent’anni.
Come osservano da Ember, importare 1 GW di pannelli solari costa 100 mln di dollari e garantisce 1,5 TWh di elettricità all’anno; anche importare gas naturale liquefatto (Gnl) per produrre 1,5 TWh di elettricità costa 100 mln di dollari, ma col fotovoltaico si risparmiano 100 mln di dollari per i 29 anni successivi.
In modo analogo, secondo una recente analisi dell'Agenzia internazionale per l’energia (Iea) appena rilanciata da Carbon brief, i pannelli solari trasportati da una singola nave portacontainer genereranno, nel corso della loro vita utile, la stessa energia di oltre 50 navi che trasportano gas naturale liquefatto (Gnl) o 100 che trasportano carbone. La strada maestra per l’autonomia strategica – nonché per frenare la crisi climatica coi relativi danni – passa dunque dall’accelerare il più possibile l’installazione di impianti rinnovabili: un fronte sul quale invece il Governo resta col freno a mano tirato, come mostra da ultimo la decisione di ricorrere al Consiglio di Stato sulle aree idonee.
Qual è la tua reazione?






