Gorizia: terra di incroci, aperta sull’Europa



Il confine, pur simbolo di separazione, è anche un punto di incontro. La città di Gorizia, insieme a Nova Gorica, è un esempio emblematico di come le divisioni possano trasformarsi in occasioni di dialogo e integrazione. Quest’anno, entrambe le città sono state scelte come Capitale europea della cultura, un riconoscimento del loro ruolo nella promozione della pace e della riconciliazione, specialmente in un’epoca in cui la guerra sta tornando a essere una minaccia per l’Europa.
Gorizia, che per secoli è stata un crocevia di culture latine e slave, ha attraversato momenti di grande difficoltà: dalla sua inclusione nell’Impero austriaco fino alla divisione post-bellica tra Italia e Jugoslavia, che ha tracciato un confine fisico, ma anche emotivo, tra le due popolazioni. Il confine ha diviso famiglie, generando sofferenza e tensioni, ma ha anche segnato la possibilità di un dialogo che, pur fra le difficoltà, è rimasto vivo.
Monsignor Carlo Redaelli, Arcivescovo di Gorizia – già Vescovo ausiliare e Vicario generale a Milano – sottolinea come questo territorio abbia sempre vissuto una sorta di incrocio di culture, con la convivenza tra italiani e sloveni che ha caratterizzato la città. Un incontro spesso difficile, ma anche fonte di ricchezza. Dopo la Grande guerra, la politica fascista cercò di italianizzare la zona, creando tensioni che si intensificarono con la Seconda guerra mondiale e la successiva divisione del territorio. Il confine, che separava Gorizia da Nova Gorica, ha avuto un impatto devastante sulla vita quotidiana delle persone, separando famiglie e creando un dramma che ha segnato il destino della città per decenni.
La memoria storica, riflette, se non ben gestita, può alimentare odi generazionali che si radicano profondamente, creando divisioni difficili da sanare. Questo è particolarmente vero nei contesti post-bellici, dove le ferite emotive lasciate dalla violenza sono dure da guarire. Tuttavia, la memoria condivisa, se accompagnata dal dialogo e dalla comprensione reciproca, può essere anche un mezzo per superare l’odio e ricostruire relazioni. È un processo complesso che implica non solo il rispetto per le identità culturali e storiche degli altri, ma anche un impegno costante per la pace.
La Chiesa, secondo Redaelli, ha un ruolo cruciale in questo processo di guarigione: deve promuovere il rispetto reciproco, aiutare a superare le divisioni e incoraggiare un dialogo costruttivo, senza imporre una visione unica, ma cercando di ascoltare tutte le sensibilità.
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