Ha 600 anni il capolavoro di Beltramino per il Duomo



Beltramino era davvero soddisfatto. Felice, persino. La commissione della Fabbrica del Duomo aveva decretato quel che lui stesso già sapeva: il suo lavoro era perfetto, straordinario, unico. Una gigantesca testa di Dio Padre, in rame sbalzato e dorato, decorata in ogni minimo dettaglio: dai capelli alle rughe, dalle pupille ai lobi delle orecchie. Un’opera così non si era mai vista, non solo a Milano, ma nella cristianità intera: degna di essere paragonata – avrà forse pensato Beltramino – ai capolavori mitici e perduti degli antichi… Erano gli ultimi giorni di agosto del 1425. Esattamente sei secoli fa.
Quel monumentale volto dell’Onnipotente fu realizzato per essere posto a sigillo della chiave di volta dell’abside della cattedrale ambrosiana, a 50 metri d’altezza. In una collocazione cioè, di grande visibilità, ma soprattutto di assoluta valenza simbolica: sopra l’altare maggiore, al cuore stesso del nuovo Duomo di Milano. Ancora oggi, in quel sito, se ne vede la copia (anche se ora nascosta dai ponteggi dei restauri), realizzata negli anni Sessanta del secolo scorso, quando per preservare quel capolavoro eccezionale e renderlo più fruibile all’ammirazione di tutti, l’originale venne portato nel Museo del Duomo, di cui ancora oggi costituisce uno dei pezzi più preziosi.
Il maestro Beltramino, dunque, ne fu l’autore. Originario di Rho, nato attorno al 1470, citato come «de Zuttis» nei documenti, ebbe bottega nella parrocchia di San Michele in Gallo a Milano, membro tra i più autorevoli della corporazione degli orafi, nella quale ricoprì diverse cariche fino a diventarne «abate». Nel cantiere del Duomo era attivo già agli inizi del XV secolo, quando, trentenne, fu chiamato a valutare le opere eseguite da altri artisti.
Erano gli anni in cui si doveva decidere come decorare la chiave di volta dell’abside alla fine di quel primo lotto di lavori, titanici, per la nuova cattedrale. All’inizio i fabbricieri avevano pensato di affidare l’impresa al celebre scultore Jacopino da Tradate, vero «archistar» dell’epoca, già direttore dei lavori nel Duomo di Milano. Ma, una volta presa la decisione di collocarci proprio la figura dell’Eterno, come se si affacciasse sulle navate e sui fedeli direttamente dalle nubi del cielo, fu forse lo stesso Jacopino a far presente che una scultura in marmo di quelle dimensioni (circa un metro e mezzo di diametro) sarebbe stata troppo pesante per la «nevralgica» chiave di volta, suggerendo di porre, invece, una struttura metallica a sbalzo, decisamente più leggera e anche ben più visibile, nel gioco di ombre e luci della basilica…
Beltramino colse al volo l’opportunità e si offrì per realizzare il lavoro, non chiedendo anticipi e rimettendosi alla soddisfazione del «cliente» per il pagamento finale (dimostrando, insomma, grande sicurezza nei suoi mezzi e abile capacità promozionale…). Il risultato è il capolavoro che ancora oggi possiamo ammirare.
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