Il desiderio torna in scena, con la rilettura di Luigi Siracusa

Arriva al Teatro Franco Parenti Un tram che si chiama desiderio, in una nuova produzione che riporta in primo piano la scrittura di Tennessee Williams, autore che è stato capace di trasformare il realismo americano in tragedia. La traduzione è di Paolo Bertinetti, mentre la regia, le scene e i costumi sono firmati da Luigi Siracusa. In scena Sara Bertelà, Stefano Annoni, Silvia Giulia Mendola e Pietro Micci. Le luci sono di Pasquale Mari, le musiche di Laurence Mazzoni.
Lo spettacolo racconta le vicende di Blanche DuBois, ex insegnante di letteratura, che arriva a New Orleans dalla sorella Stella dopo aver perso la casa di famiglia. Porta con sé valigie e fantasmi, sperando in una forma di salvezza. Ma nel bilocale dove Stella vive con il marito Stanley Kowalski, la realtà si rivela brutale.
Tennessee Williams scrisse il testo nel 1947. Era il dopoguerra, l’America cercava una nuova identità e il sogno della rispettabilità borghese si incrinava. Un tram che si chiama desiderio fu uno shock, perchè portava in scena temi che fino a quel momento erano stati dei tabù: il sesso, la violenza domestica, l’omosessualità, e la follia. Argomenti che fino ad allora il teatro americano aveva rimosso, o trattato solo di sbieco. La figura di Blanche DuBois rappresentava la fine di un mondo e di una morale, ma anche la nascita di una nuova sensibilità.
Nella versione diretta da Luigi Siracusa viene scelto un impianto essenziale: lo spettatore osserva i personaggi come attraverso una persiana, una fessura che separa ed espone. Sara Bertelà affronta Blanche come una figura non tanto fragile quanto in lotta con la propria lucidità. L’attrice affronta il ruolo di Blanche DuBois in una chiave asciutta, concentrata sull’essenza del personaggio. «Il nostro è un tram essenziale per i personaggi, perchè siamo solo quattro: tutto si concentra sul dramma e sui rapporti, come se non ci fossero fronzoli. Un’essenzialità di racconto per andare ancora più in profondità», racconta a Linkiesta Etc. «Del contesto sociale rimane la deriva. Siamo tutti personaggi alla deriva, che vivono in un mondo alla deriva, persone che sono in una società in grande degrado, in cui ci troviamo tutti».
Per l’attrice, il cuore del personaggio non è solo la fragilità. «Blanche è un personaggio alla deriva, di cui spesso sono state sottolineate le fragilità, come il rapporto con l’alcol, con la menzogna». La regia di Luigi Siracusa, invece, sembra voler concentrare l’attenzione su altro. «A lui interessa la purezza dell’anima di Blanche: è una persona che ha fatto un profondo percorso di conoscenza, ha sofferto tantissimo». Bertelà descrive la protagonista come «un’anima inadeguata alla vita, perché ha una sensibilità troppo forte: è generosa, in ascolto, consapevole. Non è convenzionale, è sopraffatta dai ricordi». La sua dipendenza dall’alcol, per Bertelà, è «il ritorno delle onde nel suo mare, dei ricordi e delle angosce».
Nel racconto dell’attrice, le luci e le ombre attraversano Blanche come un destino. «Il primo amore per lei è stato la luce dopo un lungo periodo d’ombra. Ma quella luce si spegne, e da allora fatica a togliersi di dosso le ombre del passato». Nonostante sia una persona ferita, però, Blanche non perde la speranza: è sempre alla ricerca di una vita migliore, di una soluzione.
«Un altro tema è la ricerca della casa – continua l’attrice –. Blanche è un’anima errante che cerca un tetto, un luogo dove stare. La parola “casa” racconta il desiderio di un’accoglienza e di appartenere a un luogo. In questo c’è una grande contemporaneità, perché oggi facciamo fatica a sentire di appartenere a qualcosa. Ci aggrappiamo a delle mode, a delle abitudini, ma ci manca un senso di appartenenza». «La sorella Stella – aggiunge –, è uno dei porti in cui lei spera di poter approdare».
Il lavoro attoriale, dice Bertelà, è «un grande impegno dal punto di vista attoriale. Spero di portare insieme una trasparenza, che possa anche togliere peso all’interpretazione. Come farlo rinascere».
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