Il presidente della Lettonia si oppone all’uscita di Riga dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne
Bruxelles – Il presidente della Lettonia, Edgars Rinkēvičs, ha annunciato che non firmerà il disegno di legge approvato il 30 ottobre dal Parlamento di Riga per uscire dalla Convenzione di Istanbul, il trattato internazionale sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne. Se l’Aula dovesse tirare dritto e confermare la decisione, a quel punto il presidente sarà praticamente obbligato a farsi da parte e la Lettonia diventerà il primo Paese dell’Unione europea a ritirarsi dalla Convenzione.
In una lettera indirizzata al presidente della Saeima, il Parlamento lettone, Rinkēvičs ha sollevato alcune perplessità e timori, tra cui l’impatto sulla credibilità del Paese baltico e sul suo impegno nei confronti degli obblighi internazionali nell’ambito del quadro giuridico europeo. La stessa Unione europea ha infatti ratificato il trattato due anni fa, obbligando tutti i Paesi membri – anche i pochi reticenti che ancora non l’avevano fatto, tra cui, al tempo, la stessa Lettonia – ad uniformarsi alla Convenzione di Istanbul.
Rinkēvičs, esponente del partito di centro-destra Unità, lo stesso della premier Evika Siliņa, ha evidenziato che il ritiro della Lettonia sarebbe il primo caso di uno Stato membro dell’UE che abbandona un trattato internazionale sui diritti umani. Il presidente ha avvertito che ciò potrebbe costituire un pericoloso precedente e minacciare l’architettura comune dello Stato di diritto in Europa.

Pur ammettendo che “non c’è dubbio che sia la Saeima ad avere il diritto di decidere in merito al ritiro della Lettonia da un accordo internazionale approvato dalla Saeima”, il presidente sostiene che “i lavori preparatori necessari non sono stati completati affinché tale recesso sia adeguatamente giustificato”. Secondo Rinkēvičs, il ritiro dalla Convenzione prima dell’elaborazione di una legge nazionale completa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica creerebbe un vuoto giuridico e incertezza, indebolendo i meccanismi di protezione delle vittime.
Nella sua lettera alla presidente del Parlamento, Daiga Mieriņa – che due anni fa, in seguito alla decisione di Bruxelles, aveva votato per la ratifica della Convenzione e la scorsa settimana contro -, Rinkēvičs ha suggerito che la questione possa essere esaminata dalla prossima Saeima, che si insedierà dopo le elezioni previste il prossimo autunno.
Il fatto è che il presidente lettone ha il diritto costituzionale di rinviare all’Aula la questione, ma non può revocare unilateralmente una decisione del Parlamento. Se, dopo aver proceduto a una seconda lettura, il Parlamento deciderà di non accogliere le obiezioni del presidente, quest’ultimo non potrà respingere la legge una seconda volta, a meno di non essere pronto a innescare uno scontro costituzionale che ne metterebbe a rischio la stessa presidenza.
L’ultima ratio, in quel caso, sarebbe un potenziale referendum sull’abrogazione della legge. L’universo progressista – e non solo, vista la posizione del presidente e della premier, entrambi conservatori moderati – si è già mobilitato, con oltre 60 mila firme che hanno chiesto a Rinkēvičs di mettersi di traverso.
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