La responsabilità della Pubblica Amministrazione e la tutela dell’interesse legittimo

Dicembre 24, 2025 - 13:00
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La responsabilità della Pubblica Amministrazione e la tutela dell’interesse legittimo

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La responsabilità della Pubblica Amministrazione e la tutela dell’interesse legittimo: tra principi costituzionali e orientamenti giurisprudenziali.


Indice dei contenuti

  1. Introduzione;
  2. La posizione privilegiata della Pubblica Amministrazione nella responsabilità civile. La fondatezza dell’interesse a ricorrere;
  3. Il tentativo dottrinale di fondare una responsabilità speciale di diritto pubblico e il consolidamento giurisprudenziale della natura civilistica della responsabilità della Pubblica Amministrazione;
  4. Responsabilità diretta e indiretta della Pubblica Amministrazione: dal dibattito dottrinale alla teoria dell’immedesimazione organica;
  5. La responsabilità contrattuale;
  6. La responsabilità aquiliana;
  7. Responsabilità oggettiva e responsabilità civile indiretta;
  8. Cassazione civile, SS.UU., sentenza 22/07/1999 n. 500. La risarcibilità dell’interesse legittimo;
  9. Il caso. Il Piano Regolatore del Comune di Fiesole.;
  10. La disamina della Suprema Cort;
  11. Gli indici giurisprudenziali: le precedenti pronunce della Cassazione;
  12. Gli indici normativi: la Costituzione;
  13. Gli indici dottrinali;
  14. Il risarcimento del danno per lezione da interesse legittimo. La sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, n. 157 del 10 gennaio 2003;
  15. Il ruolo della Legge n. 241 del 1990 nella decisione della Cassazione del 2003;
  16. Conclusioni

1. Introduzione

L’articolo ricostruisce l’evoluzione della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, inizialmente caratterizzata da una sostanziale assenza di responsabilità rispetto agli atti autoritativi e progressivamente ricondotta nell’alveo del diritto comune. Centrale è il superamento della distinzione rigida tra responsabilità indiretta e diretta dell’ente, grazie alla teoria dell’immedesimazione organica.

Ampio spazio è dedicato alla storica sentenza della Cassazione n. 500/1999 e alla successiva Sentenza di perfezionamento, la n. 157 del 10 gennaio 2003, che hanno riconosciuto la risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo ex art. 2043 c.c. quando, ad essere inciso, sia un bene della vita meritevole di tutela. Le pronunce valorizzano una lettura costituzionalmente orientata del danno ingiusto, fondata sui principi di solidarietà, imparzialità e buona fede.

Si analizza, infine, la natura della responsabilità della P.A., evidenziando le tensioni tra schema aquiliano, contrattuale e modelli alternativi, alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale.

2. La posizione privilegiata della Pubblica Amministrazione nella responsabilità civile

Per lungo tempo, nell’ordinamento italiano, all’esercizio dei pubblici poteri è stata riconosciuta una posizione privilegiata sul piano della responsabilità civile, configurandosi una parziale esenzione dall’applicazione del diritto comune. Fino al 1950, infatti, il sistema giuridico nazionale non si era dotato né di una disposizione di carattere generale in materia di responsabilità della pubblica amministrazione, né di una disciplina specifica relativa alla responsabilità dei suoi dipendenti per i danni arrecati a terzi nell’esercizio illegittimo delle funzioni.

In una fase piuttosto risalente, collocabile negli anni Settanta del XIX secolo, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza negavano, seppure attraverso argomentazioni differenti ma convergenti negli esiti, l’assoggettabilità dell’amministrazione alla responsabilità civile. Tale responsabilità era, infatti, ammessa esclusivamente con riferimento agli atti di gestione privata, nei quali lo Stato operava iure privatorum.

Di contro, quando lo Stato agiva nella sua posizione di supremazia, ponendo in essere i cosiddetti atti di imperio, beneficiava di una sostanziale irresponsabilità; l’ostacolo principale al riconoscimento della responsabilità civile della pubblica amministrazione era individuato nella difficoltà di applicare la disciplina codicistica della responsabilità civile ordinaria, allora interamente imperniata sull’elemento della colpa umana. Tale problematica era avvertita anche dalla dottrina civilistica, la quale, com’è noto, si schierava a tutela della generalità e dell’applicabilità del diritto comune della responsabilità a tutti i soggetti dell’ordinamento, compresi quelli pubblici. Nondimeno, autorevole dottrina dell’epoca sottolineava il paradosso dell’amministrazione irresponsabile, osservando che “attribuire ad una persona o a un ente la possibilità di violare ogni diritto senza che il diritto stesso sia capace di una reazione, significa negare la stessa esistenza obiettiva del diritto, il quale se è violato impunemente, cessa di essere diritto[1].

3 Il tentativo dottrinale di fondare una responsabilità speciale di diritto pubblico e il consolidamento giurisprudenziale della natura civilistica della responsabilità della Pubblica Amministrazione

Al fine di superare tale limite, una parte della dottrina propose l’elaborazione di una autonoma e distinta fattispecie di responsabilità speciale di diritto pubblico, del tutto svincolata dall’elemento soggettivo del dolo e della colpa. Si prospettava, in sostanza, una forma di responsabilità oggettiva, fondata esclusivamente sull’elemento oggettivo dell’illegittimità della condotta[2].

La giurisprudenza prevalente, tuttavia, non aderì all’impostazione dottrinale, ribadendo piuttosto la natura civilistica della responsabilità dell’amministrazione e affermando che quest’ultima, in materia di responsabilità, è soggetta alle norme comuni applicabili a tutti i soggetti dell’ordinamento. Si riteneva pertanto persistente l’irresponsabilità dell’amministrazione per i pregiudizi derivanti dall’attività provvedimentale autoritativa, restringendo di fatto l’ambito della responsabilità amministrativa ai danni causati da attività materiali non sorrette da provvedimenti efficaci[3].

4. Responsabilità diretta e indiretta della Pubblica Amministrazione: dal dibattito dottrinale alla teoria dell’immedesimazione organica

Il dibattito si concentrò, dunque, sulla natura diretta o indiretta della responsabilità della pubblica amministrazione. Da parte di alcuni autori, tale responsabilità venne qualificata come “indiretta” e ricondotta alle regole del Codice civile in materia di responsabilità per fatto altrui mentre, parallelamente, altra dottrina ammetteva una responsabilità indiretta dell’ente pubblico. Il ragionamento giuridico seguito muoveva dalla constatazione che la pubblica amministrazione, in quanto persona giuridica, fosse incapace di volere e di agire se non attraverso l’attività di persone fisiche individuando, conseguentemente, la possibilità di una responsabilità indiretta o per fatto altrui dell’ente.

Con l’affermarsi, alla fine dell’Ottocento, della teoria dell’immedesimazione organica, si iniziò invece a considerare l’ente pubblico, in virtù del rapporto organico intercorrente tra dipendente e amministrazione, come capace di volere e di agire e, quindi, idoneo a integrare in capo a sé la fattispecie dell’illecito civile.

Su tale presupposto si realizza un passaggio di fondamentale rilievo: la responsabilità dell’amministrazione viene configurata come responsabilità diretta o per fatto proprio, con significativi vantaggi pratici per il terzo danneggiato, il quale può agire senza l’onere di individuare il singolo agente responsabile all’interno della persona giuridica e, soprattutto, può convenire in giudizio un soggetto dotato di maggiore solvibilità rispetto all’agente. In questo contesto, il soggetto agente non rispondeva verso l’esterno, ma era chiamato a rispondere esclusivamente nei confronti della stessa amministrazione mediante un’azione di regresso promossa da quest’ultima. Tale responsabilità si riteneva, pertanto, assorbita da quella dell’amministrazione, salvo il caso di un’azione personale ed egoistica dell’agente che escludesse qualsiasi collegamento, anche solo di occasionalità necessaria, con i compiti di servizio.

Nell’accingersi verso l’analisi dei più recenti approdi in ordine alla questione della responsabilità della Pubblica Amministrazione, al fine di meglio comprenderne la ratio, preliminarmente giova richiamare brevi cenni sulla responsabilità civile in generale.

5 La responsabilità contrattuale

La responsabilità contrattuale trova disciplina nell’art. 1218 del Codice civile, il quale stabilisce che «il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, salvo che dimostri che l’inadempimento o il ritardo siano stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile». In altri termini, siffatta forma di responsabilità si configura nell’ipotesi in cui due o più soggetti siano vincolati da un rapporto contrattuale e, in forza di esso, ciascuno sia obbligato all’adempimento di una prestazione, all’osservanza di un determinato comportamento ovvero al compimento di uno specifico atto.

Laddove avvenga la violazione di detti obblighi, la controparte è legittimata a domandare la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno. Si pensi al caso di una compravendita di un immobile in cui la parte venditrice, sebbene obbligata a consegnare l’immobile libero da cose e persone ad una data stabilita, non ottemperi; il compratore ben può agire per ottenere la risoluzione del contratto a fronte dell’inadempimento del venditore e chiedere, altresì, il risarcimento del danno subito.

È necessario che l’inadempimento presenti carattere di gravità, ossia essere tale da compromettere in modo significativo l’interesse dell’altra parte al corretto svolgimento del rapporto contrattuale, e risultare imputabile al soggetto inadempiente. Una volta accertati tali presupposti e dimostrata l’effettiva sussistenza del pregiudizio, sorge il diritto al risarcimento del danno, il quale ricomprende tanto il c.d. danno emergente quanto il c.d. lucro cessante.

6. La responsabilità aquiliana

La responsabilità extracontrattuale o aquiliana è disciplinata dall’art.2043 c.c., rubricato “risarcimento per fatto illecito” a mente del quale “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga chi ha commesso il fatto al risarcimento del danno”. Questa, pertanti, deriva da un generico neminem laedere, espressione con la quale si enuncia un fondamentale principio rispetto al quale tutti sono tenuti al dovere di non ledere l’altrui sfera giuridica.

Tale dovere è posto alla base della responsabilità extracontrattuale e, l’inosservanza, comporta l’obbligo al risarcimento del danno,

Come conseguenza, la configurazione di illecito extracontrattuale non richiede il preesistere di un contratto tra le parti e la violazione di questo, ovvero l’inadempimento di un’obbligazione; si pensi ad esempio ai c.d. illeciti contro la persona, idonei a ledere l’integrità fisica, la salute e la stessa vita di un soggetto. L’esempio è l’incidente stradale; benché tra i soggetti coinvolti non sussista alcun contratto, le loro sfere giuridiche entrano in contatto a causa dell’illecito civile “incidente”.

In sintesi, dunque, la responsabilità contrattuale, scaturisce dalla violazione di obblighi imposti dal contratto; quella extracontrattuale o aquiliana, deriva dalla violazione di obblighi imposti dall’ordinamento e risponde, pertanto, all’esigenza di tutelare colui che abbia subito un danno ingiusto indipendentemente dall’esistenza di un contratto tra “danneggiato” e “danneggiante. Rispetto alla responsabilità contrattuale, però, il risarcimento del danno sarà subordinato alla dimostrazione del fatto illecito, del dolo o della colpa di chi ha cagionato il danno e del nesso di causalità tra l’evento dannoso e il danno subito.

7. Responsabilità oggettiva e responsabilità civile indiretta

Accanto alla regola generale, in conseguenza della quale a fondamento della responsabilità extracontrattuale vi è la colpa o il dolo, nell’ordinamento nazionale, tanto nel Codice civile che in talune leggi speciali, è fatta previsione di alcune ipotesi tipiche per le quali si prescinde dall’elemento psicologico. Si parla in questi casi di responsabilità oggettiva, una particolare forma di responsabilità aquiliana che, appunto, prescinde dall’esistenza del dolo o della colpa in capo al soggetto danneggiante e di cui alcuni esempi sono il danno cagionato da animali o l’esercizio di attività pericolose. In questi casi, il danneggiante è responsabile del danno causato anche se non ha agito con intenzionalità, o con negligenza.

Infine, si configura la c.d. responsabilità civile indiretta quando si è tenuti al risarcimento del danno causato, non per effetto di un proprio comportamento dannoso, bensì per quello tenuto da un altro soggetto. Si pensi, ad esempio, alla responsabilità dei genitori per i danni causati dai figli minorenni e la responsabilità del datore di lavoro per i danni cagionati da fatti illecito dei suoi dipendenti, se l’evento dannoso è provocato nello svolgimento delle mansioni lavorative.

Affinché si possa configurare questa particolare responsabilità, è necessario che tra il soggetto chiamato a rispondere del comportamento dannoso e colui che materialmente lo ha attuato, sussista un particolare rapporto in virtù del quale colui che è responsabile del comportamento tenuto danneggiante, rispetto a questo riveste una particolare posizione. È esclusa la responsabilità se il soggetto dimostra di non aver potuto impedire il fatto.

8. Cassazione civile, SS.UU., sentenza 22/07/1999 n. 500. La risarcibilità dell’interesse legittimo

Tornando all’analisi degli attuali approdi in materia di responsabilità aquiliana della Pubblica Amministrazione, posti i brevi cenni di cui sopra, affinché questa venisse riconosciuta si è dovuto attendere fino agli inizi del nuovo secolo, e precisamente l’epocale sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, 22 luglio 1999, n. 500.

Prima del suo intervento, infatti, si riteneva che nei confronti della Pubblica Amministrazione che con il proprio agire avesse leso un interesse legittimo, non potesse trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 2043 c.c. in materia di risarcimento del danno da fatto illecito. Ciò in quanto dottrina e giurisprudenza, in via largamente prevalente, reputavano necessario che la posizione giuridica lesa assumesse la forma di un diritto soggettivo pieno e perfetto.

9. Il caso. Il Piano Regolatore del Comune di Fiesole

Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguardava il piano regolatore adottato nel 1971 dal comune di Fiesole nel 1971 nell’ambito del quale venivano esclusi, tra le zone considerate edificabili, alcuni terreni di proprietà di un privato, G.V. il quale, nel 1964, aveva stipulato una convenzione con il Comune di Fiesole in base alla quale, costui, si impegnava ad attuare delle opere di urbanizzazione.

Va premesso che nel 1990, il Consiglio di Stato aveva già annullato Piano Regolatore in argomento per difetto di motivazione in merito alle ragioni che avevano indotto l’amministrazione a disattendere la Convenzione stipulata con il G.V..

In conseguenza dell’annullamento, il comune si era semplicemente limitato a riadottare il piano regolatore integrando la motivazione, specificando che i terreni oggetto di contenzioso erano da destinarsi a verde agricolo.

Nel 1995, il Consiglio di Stato viene nuovamente coinvolto nella vicenda in sede di ottemperanza: il ricorrente, infatti, chiedeva l’adozione di una pronuncia con la quale obbligare il Comune di Fiesole a rispettare la precedente sentenza. L’istanza veniva respinta poiché la precedente pronuncia non escludeva la possibilità per il comune di riadottare la delibera emendata del vizio accertato.

Il giudizio risarcitorio e le eccezioni del Comune

Nel 1996, il sig. G.V., conveniva davanti al Tribunale di Firenze il Comune di Fiesole invocandone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti proprio al mancato inserimento, nel summenzionato piano regolatore generale, dell’area di proprietà del ricorrente tra le zone edificabili, oggetto dell’anzidetta convenzione di lottizzazione già stipulata con il Comune di Fiesole nel 1964. Il risarcimento richiesto riguardava sia il danno emergente causato dalle spese sostenute, sia il lucro cessante cagionato dal mancato guadagno scaturente dalla vendita di quei lotti per effetto del mutato regime urbanistico.

Il Comune, appellandosi all’art. 41 c.p.c.[4], invocava la risoluzione della controversia per mano delle Sezioni Unite della Cassazione, ex art. 37 c.p.c. poiché il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”. Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo o dei giudici speciali è rilevato anche d’ufficio nel giudizio di primo grado. Nei giudizi di impugnazione può essere rilevato solo se oggetto di specifico motivo, ma l’attore non può impugnare la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui adito”.

Tra le difese addotte dall’Ente Locale, accanto al predetto difetto assoluto di giurisdizione, veniva altresì invocato il “mero interesse legittimo” del ricorrente in luogo di un diritto soggettivo perfetto. Il Comune, infatti, poggiava la propria argomentazione sul fatto che l’Amministrazione Pubblica fosse titolare di un vero e proprio potere potestativo di carattere pubblicistico rispetto all’assetto territoriale.

10. La disamina della Suprema Corte

Esaminata la questione, la Cassazione sentenzia definitivamente la propria posizione in questi storici temini: “la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente rilevante, rientra nelle fattispecie della responsabilità aquiliana (ovvero responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.) solo ai fini della qualificazione del danno come ingiusto. Ciò non equivale certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilità degli interessi legittimi come categoria generale.

Potrà infatti pervenirsi al risarcimento soltanto se l’attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. In altri termini, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo”.

Si afferma dunque, per la prima volta, che a rilevare ai fini dell’applicabilità dell’art.2043 non è la qualificazione formale della posizione vantata dal soggetto, bensì la consistenza dell’ingiustizia del danno da non considerare più come una lesione a un diritto soggettivo ma ad una situazione giuridicamente rilevante che ben può rinvenirsi tanto in un diritto soggettivo, quanto in un interesse legittimo.

Il superamento dell’interpretazione tradizionale dell’art. 2043 c.c.

Nell’argomentata sentenza, tra i richiami giurisprudenziali in questa richiamati, vi è la stessa Cassazione del 1958 in cui il Giudice, ancora non completamente e pienamente consapevole dell’impatto della Carta costituzionale, affermava il principio della non risarcibilità del danno per lesione di interessi legittimi per l’effetto concorrente di due elementi, uno di carattere formale – o processuale – ed uno di carattere sostanziale.

Quello formale supportato dal riparto di competenze tra giudice ordinario e giudice amministrativo, centrato proprio sulla dicotomia tra diritto soggettivo e interesse legittimo. Così, infatti, il Giudice Ordinario può disporre il risarcimento del danno ma non “conosce” degli interessi legittimi; il Giudice Amministrativo, di converso, conosce degli interessi legittimi ma non può disporre il risarcimento del danno, potendosi dunque limitare ad annullare l’atto ex art. 7 della Legge 1034 del 1971, istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali.

Sul profilo sostanziale invece, il giudice del ‘58 rilevava la tradizionale interpretazione dell’art.2043 a mente della quale, quel concetto di danno ingiusto, andasse interpretato nel senso di risarcibilità rispetto al danno cagionato al diritto soggettivo. A mezzo di tale richiamo, la Cassazione del 1999 riconosce che già da tempo vi fossero chiari «indici» sulla concreta possibilità di ritenere superata la tradizionale interpretazione dell’art.2043 e che tali indici fossero divisibili in base ai tre formanti del diritto: giurisprudenziali, normativi, dottrinali.

11. Gli indici giurisprudenziali: le precedenti pronunce della Cassazione

La giurisprudenza lasciava intendere che già in precedenza fosse possibile procedere a un’interpretazione estensiva dell’art. 2043; la stessa Cassazione, infatti, aveva già ampliato l’ambito applicativo della norma a fattispecie non strettamente riconducibili al diritto soggettivo assoluto, quale il diritto di proprietà, riconoscendo il risarcimento del danno per la lesione di un diritto relativo, e dunque di credito, come affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 174 del 26 gennaio 1971, nota come “caso Meroni”. Sebbene la pronuncia richiamata riguardasse rapporti tra privati e la Corte fosse pienamente consapevole delle maggiori difficoltà incontrate dalla giurisprudenza nell’estendere l’art. 2043 alla lesione dell’interesse legittimo, la Suprema Corte risolse la questione riconoscendo che, già prima dell’intervento in esame, la giurisprudenza aveva comunque assicurato tutela a situazioni riconducibili all’interesse legittimo mediante un’operazione di trasfigurazione, ossia “mascherando” tali situazioni come diritti soggettivi.

Emblematico è il caso del c.d. diritto affievolito, vale a dire quella situazione originariamente qualificabile come diritto soggettivo che, a seguito dell’incisione da parte di un provvedimento amministrativo, degrada ad interesse legittimo; secondo tale impostazione, qualora l’atto risultasse illegittimo, la situazione tornerebbe ad espandersi, consentendo al titolare di ottenere tutela in due diverse sedi: davanti al giudice amministrativo, mediante l’annullamento dell’atto, e davanti al giudice ordinario, attraverso il risarcimento del danno. La Suprema Corte, inoltre, richiamando l’art. 13 della legge n. 142 del 1992, evidenziava altresì la possibilità di richiedere il risarcimento dei danni derivanti da atti adottati in violazione del diritto comunitario in materia di appalti e forniture.

12. Gli indici normativi: la Costituzione

Ma la Cassazione  non si limita ai precedenti tentativi di superamento della netta distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo sotto il profilo della tutela risarcitoria da parte delle precedenti pronunce; accanto alla richiamata norma di rango ordinario, infatti, sul piano normativo, fa menzione all’art.24 della Costituzione a mente del quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela degli interessi legittimi […]” e l’art 113 “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”. In tal senso, va ammesso implicitamente che la Costituzione assegna pari dignità a diritto soggettivo e interesse legittimo, non discriminando tra l’una o l’atra fattispecie.

13. Gli indici dottrinali

Sul piano delle elaborazioni dottrinali, invece, gli Ermellini argomentano in sentenza che la centralità del diritto soggettivo rispetto alla tutela risarcitoria, non può essere evinta nemmeno attraverso il tenore letterale dell’art. 2043: la circostanza che il danno ingiusto ivi richiamato possa essere riferibile al solo diritto soggettivo non è desumibile in maniera alcuna. Il carattere del contra ius, ovvero lesivo di una situazione giuridica soggettiva rilevante per l’ordinamento, può essere rintracciabile tanto nel diritto soggettivo, quanto in un interesse legittimo; ambedue situazioni soggettive, infatti, sono meritevoli di tutela.

Pregevolissima dottrina[5], sul punto, traduce magistralmente il concetto di ingiustizia del danno nella violazione stessa del principio solidaristico, desumibile dall’art.2 della Carta costituzionale e legato all’adempimento di un dovere di solidarietà desumibile altresì nell’art. 41 comma 2 della Costituzione che impone il dovere di agire in modo da non arrecare danno alla sicurezza, dignità e libertà umana. Il danno ingiusto è sì riferibile a qualunque situazione meritevole di tutela, ma rimane comunque solo uno degli elementi costitutivi dell’illecito civile, e non il solo.

I presupposti della responsabilità della Pubblica Amministrazione

La lesione dell’interesse legittimo è un requisito necessario ma non sufficiente; il giudice dovrà verificare che sia stato commesso il fatto lesivo, che questo abbia cagionato danno ingiusto, che ci sia nesso di causalità tra Amministrazione e danno e la colpevolezza, ossia la sussistenza di dolo o colpa dell’amministrazione che deve agire secondo criteri di imparzialità e buona fede ai sensi dell’art.97 della Carta costituzionale.  In presenza di tutti questi elementi, certamente la responsabilità della Pubblica Amministrazione è ben presente; Secondo altra autorevole dottrina, quanto affermato dalla Cassazione in questa sentenza, dimostra l’importanza di interpretare le norme ordinarie alla luce dei valori costituzionali, a partire dalla persona. Il diritto soggettivo, quindi, perde la centralità, di fronte alla complessità delle situazioni giuridiche soggettive per cui, entrambe le parti, hanno il dovere di considerare l’altra facendo alternare momenti di potere a momenti di dovere[6].

14. Il risarcimento del danno per lezione da interesse legittimo. La sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, n. 157 del 10 gennaio 2003.

Sul piano del risarcimento del danno, la Corte osserva che, sebbene il tribunale di Firenze avesse già riconosciuto il risarcimento del danno in favore del ricorrente, all’esito dell’appello promosso dal Comune soccombente, detto risarcimento era stato negato dal giudice per effetto della carenza di due elementi fondamentali ai fini del riconoscimento: il danno ingiusto e il nesso causale.

Rispetto al danno ingiusto, questo non appariva ravvisabile poiché l’atto era pienamente legittimo; l’indagine si limitava, pertanto, ad una considerazione avente carattere meramente formale potendo, come conseguenza, il Comune limitarsi a riadottare il piano regolatore integrandolo delle motivazioni. Quale conseguenza diretta della prima argomentazione, per la Corte non sussisteva nemmeno l’esistenza di nesso causale: la situazione del privato, secondo il giudice, sarebbe comunque rimasta inalterata anche se il comune non avesse contravvenuto all’obbligo derivante dalla convenzione.

La sentenza di perfezionamento e l’ampliamento della tutela risarcitoria

Il sig. G.V., anche in questo caso, decide di ricorrere in Cassazione al fine di vedersi confermato il risarcimento. Con sentenza n. 157 del 10 gennaio 2003, nota come sentenza di perfezionamento, la Cassazione conferma e ribadisce l’orientamento espresso nel 1999 apportando, però, ulteriori elementi di arricchimento supportati altresì dal mutato ordinamento: il primo elemento è che la Cassazione, non condividendo affatto la soluzione adottata del giudice d’appello, afferma che questo ha limitato e circoscritto l’indagine sul danno ingiusto all’analisi del mero elemento formale, della legittimità dell’atto.

Tale ultimo aspetto, secondo la Corte, non escludeva che questo fosse in ogni suscettibile di incidere su una posizione giuridicamente rilevante, ancorché non qualificabile come diritto soggettivo; come già sottolineato nella precedente pronuncia, infatti, secondo la Cassazione è ben possibile attribuire all’interesse legittimo uno spazio di tutela mediante una c.d. verifica sistematica, ovverosia interpretando la disposizione non in maniera isolata, bensì instaurando una relazione con le norme che compongono il complesso dell’ordinamento.

L’art.2043, ribadisce, non va interpretato nel senso di assicurare il risarcimento al solo caso di diritto soggettivo ma anzi, che il danno ingiusto va riferito più in generale ad una situazione meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, alla luce del principio di solidarietà.

15. Il ruolo della Legge n. 241 del 1990 nella decisione della Cassazione del 2003

Ma vi è di più. Nel citare la Legge n. 241 del 1990, La Corte sottolinea la presenza dei principi sanciti dall’art 1, connessi all’azione amministrativa. La norma esaminata dagli Ermellini, proprio poiché denominata “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, si riferisce alla partecipazione del privato all’azione amministrativa, funzionale al perseguimento di questi principi.

Per completezza, si fa notare che nel 2020 l’art.1 della L.241 del 1990 è stato altresì integrato dal comma 2 bis secondo il quale, i rapporti tra Pubblica Amministrazione e privato sono improntati a criteri di collaborazione e buona fede, criteri già affermati all’art. 1375 Codice civile e dai quali è possibile ribadire quella complessità del sistema per la quale non è possibile distinguere tra situazione attiva e passiva, ma da situazioni fatte da momenti di potere e dovere: la Pubblica Amministrazione, deve anche considerare l’interesse dell’altra parte.

16. Conclusioni

Tra gli aspetti maggiormente problematici in materia di responsabilità della pubblica amministrazione scaturente dalla lesione di interessi legittimi, vi è quello di riuscire a inquadrare detta responsabilità nell’ambito della disciplina della responsabilità aquiliana, benché anche lo schema caratterizzante l’illecito extracontrattuale non appaia del tutto adeguato.

Ciò che caratterizza la responsabilità aquiliana, come detto in precedenza, è il carattere di estraneità tra danneggiante e danneggiato; tale elemento, tuttavia, decisamente non sembra configurabile laddove il danno sia cagionato da un provvedimento amministrativo. Quando amministrazione danneggiante e privato danneggiato sono ambedue parti di un procedimento amministrativo, tra di essi  si instaura un rapporto giuridico suscettivo di dar luogo a precisi doveri in capo alla pubblica amministrazione e, al contempo, di far sorgere interessi legittimi in capo al privato;  quanto basta affinché si possa agevolmente escludere quel carattere di estraneità tipico della responsabilità extracontrattuale e anzi, al contrario, per dar luogo a una vera e propria responsabilità contrattuale. Questa, peraltro, era la strada già percorsa dalla summenzionata sentenza n.57 del 2003 in merito all’annullamento di un provvedimento per vizio procedimentale e relativo risarcimento del danno.

Conseguenze pratiche della qualificazione della responsabilità

Per completezza di analisi, va rilevato che per effetto di un procedimento amministrativo il rapporto tra amministrazione e privato assume connotati ben più intensi rispetto a quelli che si instaurano in una trattativa contrattuale: mentre rispetto a questi vige la generale clausola di buona fede, nel rapporto con i privati la Pubblica Amministrazione è tenuta a osservare e rispettare tutti i principi che ne caratterizzano l’azione. Chiaramente aderire alla tesi della natura contrattuale rispetto a quella extracontrattuale implica delle conseguenze sul piano pratico tra cui, una delle principali, è quella relativa all’onere probatorio dell’imputazione soggettiva, in aggiunta ad altre rilevanti distinzioni tra cui, ad esempio, i termini di prescrizione, la definizione di caso fortuito e l’estensione del danno risarcibile che, in caso di responsabilità contrattuale, resta limitata ai soli danni prevedibili, salvo il caso di inadempimento doloso.

Modelli alternativi di responsabilità e profili applicativi

Accanto alla responsabilità aquiliana e contrattuale, di recente numerose tesi sono state prospettate, tanto in dottrina che in giurisprudenza, in ordine alla natura della responsabilità; una su tutte, è quella che guarda al modello precontrattuale di cui all’art. 1337 Codice civile. Recentemente si è fatta spazio la tesi della responsabilità oggettiva senza colpa, la quale suggerisce di liberare completamente la responsabilità da esercizio illegittimo della funzione dall’ipoteca civilistica.

Sul piano applicativo la questione resta tutt’ora aperta; in effetti, rispetto al modello civilistico, alcuni limitati adattamenti appaiono possibili, poiché al giudice amministrativo è demandata la giurisdizione in tema del risarcimento per lesione di interessi legittimi ex art. 7 comma 4 Codice del processo amministrativo. Il G.A. in effetti ha la possibilità di interpretare con una certa autonomia la disciplina della responsabilità, soprattutto considerato che la Cassazione, il cui sindacato in tal senso è limitato alle sole questioni di giurisdizione, non può svolgere nei suoi confronti la funzione nomofilattica uniformante sull’interpretazione delle norme civilistiche.

Ultima particolare menzione si vuole riservare all’ipotesi della c.d. responsabilità da attività lecita. Talvolta il soddisfacimento di un determinato interesse pubblico comporta l’esercizio di poteri che implicano il sacrificio di particolati interessi privati quali, ad esempio, la stessa previsione costituzionale ex art.42 co.2 in merito alla proprietà privata che «può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale».

Tale esemplificativa ipotesi viene tradizionalmente ricondotta nell’ambito della c.d. responsabilità da attività lecita sebbene, a rigore, la responsabilità stricto sensu, come già riferito, presupponga la condotta antigiuridica del soggetto dalla quale sorge l’obbligazione risarcitoria.


Note

[1]   V.E. ORLANDO, la responsabilità regia e le disposizioni di re inglesi, in diritto pubblico generale. Scritti varii coordinati in sistema, Milano 1940, p. 499.

[2] V.E ORLANDO, Saggio di una nuova teoria sul fondamento della responsabilità, IN Arch. Dir. Pubb, III, 1983 pp251 e s.s.

[3]   F. SCOCA. Per un’amministrazione responsabile, in Giur Cost 1999 p 405

[4]Finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle sezioni unite della Corte di cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui all’articolo 37. […]” .

La pubblica amministrazione che non è parte in causa può chiedere in ogni stato e grado del processo che sia dichiarato dalle sezioni unite della Corte di cassazione il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri attribuiti dalla legge all’Amministrazione stessa, finché la giurisdizione non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato”.

[5] Stefano Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 1961; 1964.

[6] Giovanni Perlingieri: L’«interpretazione secondo costituzione» nella giurisprudenza Crestomazia di decisioni giuridiche.


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