La storia del Vichy (e perché è tornato nel 2025)

Ci sono pattern che superano le mode, tornando di stagione in stagione con nuove sfumature. Il Vichy — o gingham, nella versione inglese — è uno di questi. Nato come tessuto semplice in cotone a quadretti, ha attraversato secoli e stili: dalle origini artigianali, al debutto sulle passerelle, fino a diventare simbolo di un’eleganza senza tempo.

Il momento che lo ha reso leggenda? Il 1959, quando Brigitte Bardot scelse un abito da sposa in Vichy rosa firmato Jacques Esterel, trasformando un motivo da tovaglia campestre in un’icona glamour. Negli Anni 60 e 70, attrici e it-girl lo hanno fatto proprio, facendolo convivere con minigonne e occhiali da sole oversize.
Oggi, il Vichy vive una nuova rinascita. Non più solo in versione romantica e rétro, ma reinterpretato da grandi Maison in chiave grafica, destrutturata e persino couture. Dall’estate 2025 — con i giochi di volumi di Cavia e le silhouette studentesche di IFM Paris — fino all’autunno-inverno 2025-26, dove Vuitton, Comme des Garçons, Miu Miu e Schiaparelli, lo hanno reso protagonista su cappotti, completi sartoriali e abiti da sera. E dimostra che il fascino del Vichy è proprio questo: trasformarsi senza mai perdere la sua anima.

Lady Diana con pantaloni Vichy
Le origini del Vichy
Il Vichy affonda le sue radici nel tessile europeo del XVII secolo, quando veniva tessuto in cotone leggero o lino, alternando fili bianchi e colorati per creare piccoli quadretti regolari. Il nome francese si lega alla cittadina termale di Vichy, ma il pattern si diffuse ben oltre, diventando sinonimo di freschezza e praticità. All’inizio, era un tessuto da lavoro o da biancheria domestica: tovaglie, grembiuli, camicie da campagna. La svolta fashion arrivò negli Anni 50, quando la moda iniziò a reinterpretarlo in chiave urbana.
Bardot e il mito

Il matrimonio di Brigitte Bardot con Jacques Charrier nel 1959
Il 1959 segna il punto di svolta nella storia del Vichy: Brigitte Bardot, all’apice della sua popolarità, sposa Jacques Charrier indossando un abito a quadretti rosa firmato Jacques Esterel. Un modello semplice, con scollo tondo e gonna a ruota, che trasforma per sempre un motivo da tovaglia campestre in un’icona glamour. Le fotografie di quel matrimonio, scattate in un piccolo municipio della Provenza, fecero il giro del mondo e consacrarono il Vichy come simbolo di femminilità disinvolta e un po’ civettuola.
Negli anni successivi, Jane Birkin, Françoise Hardy e le icone della Swinging London ne seguirono le orme, portandolo in mini abiti, camicie slim e pantaloni Capri, spesso abbinati a ballerine e cesti di paglia.
Il Vichy sul grande schermo

Joan Crawford in Rain, United Artists Picture, 1932
Se Bardot consacrò il Vichy come mito glamour, in realtà il tessuto aveva già fatto capolino molto prima sul grande schermo. Negli Anni 30 Joan Crawford lo indossava con naturalezza in abiti femminili dalla vita sottile, trasformandolo in un segno di eleganza accessibile ma sofisticata, lontano dall’idea di stoffa “casalinga”. Tre decenni più tardi, negli Anni 70, il quadretto conquistò una nuova generazione di icone. Indimenticabile Ornella Muti, ritratta nel 1972 con un bikini Vichy e lunghi fili di collane, incarnazione di un’estetica fresca, ribelle e sensuale che avrebbe segnato l’immaginario di quegli anni. Dalle dive hollywoodiane al cinema italiano, il Vichy attraversa decenni e stili, confermandosi un pattern capace di adattarsi a corpi, epoche e linguaggi sempre diversi.

Ornella Muti nel 1972
Il ritorno sulle passerelle
Dopo aver fatto qualche apparizione sulle passerelle della primavera-estate 2025, il quadretto sopravvive alla stagione calda e si reinventa per l’inverno. Da Comme des Garçons, Rei Kawakubo lo plasma in forme scultoree: abiti oversize attraversati da pieghe e nodi tridimensionali, dove il quadretto si trasforma in materia viva. In casa Louis Vuitton, Nicolas Ghesquière lo declina in versioni macro e grafiche, alternando bluse incrociate, capi genderless e giochi di layering tra rosso e nero.

Louis Vuitton A/I 2025-2026
Schiaparelli lo porta sul piano della couture prêt-à-porter, con cappotti monumentali dalle spalle imponenti e colletti che sembrano architetture. Infine, Miu Miu ne firma una rilettura nostalgica: cappotti e bomber in vichy marrone e grigio convivono con abitini leggeri, calze spesse e sneakers rétro, in un’estetica che mescola borghesia d’archivio e ribellione giovanile. È la conferma che il Vichy non appartiene più a un solo immaginario: oggi è un pattern camaleontico, capace di raccontare storie diverse a seconda delle mani che lo interpretano.
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