L’illusionismo climatico dell’Unione europea, medaglia d’oro in “flessibilità”

Novembre 6, 2025 - 13:30
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L’illusionismo climatico dell’Unione europea, medaglia d’oro in “flessibilità”

Quasi ventiquattro ore di negoziato per un accordo debole che, nei fatti, snaturerà l’obiettivo intermedio sulla riduzione delle emissioni del novanta per cento (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2040. Il Consiglio straordinario dei ministri dell’Ambiente degli Stati membri dell’Unione europea, interrotto alle 2 di notte e ripreso alle 9 del mattino del 5 novembre, è terminato con tanti punti di domanda che rischiano di annacquare ulteriormente il Green deal.  

La riunione è stata convocata per dare continuità alle indicazioni emerse un paio di settimane fa durante il Consiglio europeo. A vincere è stata la linea della flessibilità e delle deroghe dettata (anche) da Giorgia Meloni, che ha mandato il ministro Gilberto Pichetto Fratin a Bruxelles con un unico obiettivo: alzare dal tre al cinque per cento la soglia consentita per ridurre le emissioni interne attraverso progetti fuori dall’Unione europea. La clausola si riferisce al già citato target intermedio al 2040, verso l’obiettivo delle emissioni nette zero al 2050. 

Missione compiuta. A partire dal 2036 – ma la sperimentazione inizierà nel 2031 – i governi dell’Ue potranno esternalizzare la riduzione delle loro emissioni, coprendo fino a cinque punti percentuali il target del -90 per cento al 2040. Questo meccanismo sarà possibile grazie al ricorso ai crediti internazionali di carbonio associati a progetti extra-Ue: riforestazioni, impianti per la cattura e lo stoccaggio della Co2, e così via. 

Bruxelles, quindi, non considererà soltanto la riduzione interna delle emissioni, che potrà fermarsi al -85 per cento: una piccola parte del risultato (il cinque per cento, appunto) potrà essere coperta grazie alle emissioni risparmiate attraverso progetti green finanziati e realizzati all’estero. L’aumento dal tre al cinque per cento ha soddisfatto le richieste dell’Italia e della Francia. Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia – che puntavano al dieci per cento – hanno votato contro, mentre Bulgaria e Belgio si sono astenuti. L’intesa è dunque arrivata con una maggioranza qualificata.  

Per Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia di Wwf Italia, il passaggio dal tre al cinque per cento è l’ennesimo «gioco di prestigio» per camuffare l’appiattimento dell’ambizione delle politiche climatiche europee. «Una volta eliminate le compensazioni e il potenziale uso strumentale dell’assorbimento del carbonio – continua – la cifra reale sarà inferiore all’ottantacinque per cento. L’Ue dovrebbe dare l’esempio, non sfruttare le scappatoie».

La ministra della Transizione ecologica spagnola, Sara Aagesen, ha detto che l’accordo raggiunto «è comunque buono, anche se non perfetto», dato che il suo Paese era pronto a votare la versione originaria – presentata a luglio dalla Commissione europea – con il tre per cento. La Francia, invece, si è aggrappata al fatto che il contributo dell’Ue sulle emissioni globali oscilla tra il sei e l’otto per cento: «Anche se l’Ue azzererà le sue emissioni climalteranti, l’impatto sul riscaldamento globale sarà pressoché nullo, quindi ha senso lavorare anche sulle emissioni di altri Paesi», ha spiegato la ministra Monique Barbut. 

Il problema è che spesso i crediti di carbonio sono «fantasma», dunque associati a progetti irrilevanti o dannosi sulle comunità locali e sugli ecosistemi dei Paesi in via di sviluppo. Per questo, l’Unione europea dovrà applicare un monitoraggio stretto e rigoroso. Secondo il Comitato scientifico consultivo europeo sui cambiamenti climatici, solo il sedici per cento delle compensazioni ha finora portato a una reale riduzione delle emissioni. «Se fossero compensazioni di alta qualità, sarebbero costose e affidarsi a esse distoglierebbe gli investimenti dalla trasformazione delle industrie, dell’economia e dei lavoratori dell’Ue», ha scritto in una nota il Wwf Italia. 

Un altro risultato raggiunto al Consiglio Ambiente è l’accordo sull’Ndc collettivo dell’Unione europea per il 2035. Ndc è l’acronimo di Nationally determined contributions – contributi determinati a livello nazionale –, ossia i documenti che contengono le strategie dei vari Stati sulla riduzione delle emissioni. Anche l’Ue, avendo firmato l’accordo di Parigi e facendo parte della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), doveva obbligatoriamente redigere un suo Ndc. 

Senza nessuna sorpresa, l’Ue ha confermato gli impegni anticipati da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, all’Assemblea generale dell’Onu a settembre. Entro il 2035, Bruxelles dovrà tagliare le proprie emissioni restando in una forbice tra il 66,25 e il 72,5 per cento. L’obiettivo non è vincolante. 

Sulla carta, è una riduzione allineata all’obiettivo vincolante al 2030 (-55 per cento), ma per rispettare i target al 2040 (-90 per cento) e al 2050 (net-zero) sarà necessario uno sforzo in più. «L’Ue – sempre secondo il Wwf – ha accettato troppo poco e troppo tardi, senza compiere alcun progresso dalla riunione di settembre, perdendo solo tempo e prestigio». Al momento, l’Unione europea ha ridotto le proprie emissioni del trentasette per cento rispetto ai livelli del 1990. 

Nessuna ufficialità, invece, sull’uso dei biocarburanti «avanzati» nelle auto a motore termico dopo il 2035, anno in cui scatterà il divieto di immatricolazione dei veicoli inquinanti. «Noi li abbiamo inseriti nella proposta che va al trilogo della Legge sul Clima. Naturalmente dovranno essere inseriti anche nella discussione, che partirà i primi giorni di dicembre, l’ipotesi è il 10», ha detto un Gilberto Pichetto Fratin visibilmente soddisfatto. 

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